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La disciplina dell’autoriciclaggio a seguito del decreto attuativo della IV direttiva antiriciclaggio

10 Luglio 2017

Enrico Di Fiorino, partner, Fornari e Associati; Pasquale Grella, senior associate, Clifford Chance

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Il D.lgs. n. 90/2017 (in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 140 del 19 giugno 2017) è stato emanato in attuazione della direttiva UE n. 2015/849 del 20 maggio 2015 (cd. IV Direttiva Antiriciclaggio), sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 e che abroga le precedenti direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE.

A dispetto dei dieci articoli di cui è composto il testo, trattasi di un provvedimento particolarmente complesso, in quanto va ad incidere su numerosi testi normativi. Peraltro, nel novellare la normativa in materia di antiriciclaggio prevista dal D.lgs. n. 231/2007, il decreto legislativo ridisegnava – in modo davvero inatteso – la disciplina di contrasto al fenomeno corruttivo, eliminando il riferimento al delitto di autoriciclaggio. Lo scalpore e la preoccupazione destati da tale apparente revirement hanno poi portato alla pubblicazione in data 28 giugno 2017 di un comunicato di rettifica (in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 149 del 28 giugno 2017), che desta più di una perplessità.

Si ricorda che la legge n. 186/2014, che regolava l’istituto della voluntary disclosure allo scopo di consentire la regolarizzazione dei redditi detenuti all’estero sottratti a tassazione in Italia, ha introdotto il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), oltre a prevedere un’ipotesi di responsabilità da reato dell’ente per tale nuovo delitto (art. 25-octies D.lgs. n. 231/2001). Nella legislazione previgente alla novella del 2014, invece, la rilevanza dell’autoriciclaggio era espressamente esclusa dalla clausola “fuori dai casi di concorso nel reato”, contenuto nell’art. 648 bis c.p., che non consentiva di punire le condotte di riciclaggio di chi risultasse autore o concorrente nel reato presupposto.

Alla base di tale esclusione, non condivisa da altri ordinamenti che da tempo puniscono anche l’autoriciclaggio, vi era la considerazione per cui la condotta di autoriciclaggio sarebbe da considerarsi un post factum non punibile, stante la necessità per l’autore, insita in tutti i reati di matrice economica, di impiegare il profitto illecito derivante dal delitto perpetrato.

Pur apparendo possibile un ripensamento della ratio postaalla base della punibilità della condotta di autoriciclaggio, risultava singolare che si procedesse ad una modifica così significativa attraverso il menzionato decreto (emanato al fine di attuare la IV Direttiva Antiriciclaggio), senza che un’eventuale abrogazione dell’autoriciclaggio fosse mai stata discussa.

2. Il decreto legislativo n. 90/2017

La versione originaria del D.lgs. n. 90/2017 non conteneva, come appena detto, alcun riferimento al reato di autoriciclaggio. Prima di valutare se la rettifica poi effettuata sia in grado di sopperire all’errore prima commesso, appare utile analizzare l’originaria lettera del decreto, così come licenziata dal legislatore.

Il primo indizio della segnalata lacuna si rinviene nell’originaria versione dell’art. 5 del D.lgs. n. 90/2017, che – nell’intervenire sul titolo V del D.lgs. n. 231/2007 – introduce l’art. 72, comma 3 del D.Lgs. n. 231/2007, prevedendo che “nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo l’articolo 25-septiesè inserito il seguente:

“Art. 25-octies (Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita). – 1. In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bise 648-terdel codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote..

Con tale disposizione, il legislatore si limita a richiamare il vecchio art. 63, comma 3 del medesimo decreto.

Tuttavia, il legislatore si è dimenticato che l’originaria formulazione dell’art. 25-octies D.Lgs. n. 231/2001, introdotto proprio dall’art. 63, comma 3 del D.Lgs. n. 231/2007, era stata successivamente modificata ad opera della citata legge n. 186/2014, che introduceva tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato anche l’ipotesi dell’autoriciclaggio.

La modifica operata determinava quindi la sostituzione dell’attuale art. 25-octies con quello di vecchio conio, ripristinato dall’art. 5 del D.lgs. n. 90/2017.

Seppur l’effetto non era voluto, non sembrava davvero possibile operare una lettura ermeneutica che consentisse di salvare la disposizione in vigore.

Il fatto che già esistesse un articolo 25-octies, motivo per cui appariva impreciso il riferimento alla (ancora una volta) introduzione di tale articolo dopo l’art. 25-septies, nulla toglieva a quanto ora sostenuto: ci saremmo trovati dinnanzi ad un’ipotesi di abrogazione tacita, dal momento che l’art. 25-septies non avrebbe potuto che essere seguito dalla versione del 25-octies contemplata dal D.Lgs. n. 90/2017, che andava inevitabilmente a travolgere – nell’applicazione concreta – la precedente versione, ovvero quella arricchita dal riferimento al reato di autoriciclaggio.

Il secondo indizio della dimenticanza, da parte del legislatore, dell’esistenza del reato di autoriciclaggio nell’attuazione della IV Direttiva Antiriciclaggio, si ha dalla lettura del successivo comma del nuovo art. 72 del D.lgs. n. 231/2007, sempre nella versione precedente alla rettifica.

Il comma 4, che anche in questo caso ricalca pedissequamente il comma 4 dell’originario art. 63 del D.lgs. n. 231/2007, prevede che “dopo l’articolo 648-terdel codice penale è inserito il seguente articolo:

“Art. 648-quater (Confisca). – Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli 648-bise 648-ter, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato.

Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

In relazione ai reati di cui agli articoli 648-bise 648-ter, il pubblico ministero può compiere, nel termine e ai fini di cui all’articolo 430 del codice di procedura penale, ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca a norma dei commi precedenti.”.

Anche in questa ipotesi, la conseguenza inevitabile appariva la seguente: il nuovo art. 648­-quater c.p. (che – ancora una volta – non poteva che prendere il posto, da un punto di vista applicativo, di quello già presente nel codice penale) avrebbe previsto un’ipotesi di confisca per equivalente per i soli reati di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Spariva invece il riferimento al reato di autoriciclaggio, che era stato introdotto – dalla legge n. 186/2014 – nella originaria versione dell’art. 648-quater c.p., poi resuscitata dal provvedimento del 2017.

Ed ancora, valorizzando il riferimento – come già detto, errato – all’introduzione del nuovo art. 648-quater c.p. “dopo l’articolo 648-terdel codice penale”, si sarebbe addirittura potuto affermare che il legislatore, con il D.lgs. n. 90/2017, avesse abrogato il reato di autoriciclaggio, che si colloca nel codice penale (con la singolare numerazione di 648-ter.1) proprio tra l’art. 648-ter e l’art. 648-quater.

Su tale ultimo punto, tuttavia, non sembrava che il riferimento al fatto che il nuovo art. 648-quater c.p. dovesse collocarsi dopo l’art. 648-ter c.p. fosse idoneo a determinare un’abrogazione tacita del delitto di autoriciclaggio, di cui il decreto del 2017 si era dimenticato (o, meglio, a cui il decreto del 2007 non faceva riferimento, dal momento che il reato sarebbe stato poi introdotto solo nel 2014).

Del resto, l’art. 15 delle Preleggi (“Disposizioni sulla legge in generale”) prevede che una legge sia abrogata, oltre che per dichiarazione espressa del legislatore (cd. abrogazione espressa) o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore (cd. abrogazione implicita), nel caso in cui vi sia incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti (cd. abrogazione tacita).

Se appariva inevitabile rilevare l’incompatibilità tra i “nuovi” articoli 25-octies D.lgs. n. 231/2001 e 648-quater c.p. e quelli già esistenti, non formalmente eliminati (ma destinati a non essere applicati), era possibile invece sostenere che non fosse incompatibile l’inserimento dell’art. 648-quater c.p. dopo l’art. 648-ter con il fatto che tra le due previsioni normative fosse presente – e continuasse ad essere in vigore – il reato di autoriciclaggio.

A fronte dell’originario contenuto della norma ora descritta, da più parti era stato invocato un intervento correttivo sul D.lgs. n. 90/2017.

3. La rettifica del 28 giugno 2017

Come già anticipato, proprio per scongiurare gli effetti da ultimo evidenziati (ovvero il venir meno della responsabilità da reato e della confisca per equivalente nel caso di autoriciclaggio), in data 28 giugno 2017 è stato diffuso un comunicato di rettifica.

Nell’intenzione del redattore, con tale intervento l’autoriciclaggio rimarrebbe fonte di responsabilità per le persone giuridiche, così come continuerebbe ad applicarsi la confisca per equivalente del relativo prodotto o profitto. Infine, precisando che il nuovo art. 648 quater c.p. viene introdotto dopo l’art. 648 ter.1 c.p., verrebbe meno ogni dubbio anche con riferimento alla possibile abrogazione in toto del delitto introdotto nel 2014.

Appare necessario verificare se il correttivo introdotto sia idoneo a garantire la sopravvivenza del precedente assetto normativo.

Si rileva che, ai sensi dell’art. 8, comma 2 del DPR n. 1092/1985, “gli errori e le omissioni vengono rettificati nei casi e secondo le modalità previsti dal regolamento di esecuzione del presente testo unico”. Tale regolamento (DPR n. 217/1986) consente la possibilità di rettifica unicamente in due casi, ovvero in ipotesi di errore di stampa influente sul contenuto normativo degli atti pubblicati (art. 14) e in ipotesi di difformità tra il testo di un atto normativo promulgato o emanato dal Presidente della Repubblica e quello effettivamente approvato (art. 15).

Nel caso che ci interessa, appare evidente come non si versi sicuramente in un mero errore di stampa né, alternativamente, che vi sia una difformità tra testo promulgato e quello approvato dal Consiglio dei Ministri.

Come già osservato, la formulazione del D.lgs. n. 90/2017 – ancorché per mera distrazione – non conteneva alcun riferimento al reato di autoriciclaggio, dando nuova vita a disposizioni – quella relativa alla responsabilità dell’ente da reato e quella afferente alla confisca per equivalente – che non contemplano il delitto introdotto dal nostro legislatore unitamente alla procedura di collaborazione volontaria.

Come segnalato da attenta dottrina[1], alla rettifica – in mancanza dei requisiti che legittimano tale provvedimento – non potrà essere attribuito alcun valore, anche considerato che l’intervento rappresenta una modifica in malam partem.

Di conseguenza, potrà essere sostenuta la valenza della disposizione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 19 giugno 2017 (e non rettificabile), con conseguente venir meno della responsabilità da reato e della confisca per equivalente, laddove riferibili al reato di autoriciclaggio.

Peraltro, anche in caso di eventuale successiva modifica con reintroduzione del riferimento all’autoriciclaggio, non potranno che prodursi – con riferimento ai fatti pregressi – gli effetti intertemporali derivanti dal principio di retroattività della norma più favorevole al reo, come previsto dall’art. 3 del D.lgs. 231/2001 e come inevitabilmente discende della natura sanzionatoria della confisca ex art. 648-quater c.p..

4. Autoriciclaggio e responsabilità da reato dell’ente

Anche in caso di modifica dell’art. 25-octies D.Lgs. n. 231/2001, si rileva che, quanto al profilo della responsabilità da reato, poco cambierebbe, in quanto permarrebbero tra i reati presupposto i delitti di ricettazione, riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, che sicuramente rappresentano fattispecie di reato idonee a coinvolgere l’ente in caso di concorso con soggetti terzi nell’ipotesi di money laundering.

Proprio perché nel suo complesso l’attività di riciclaggio è un’attività che richiede necessariamente il coinvolgimento di più soggetti, e l’investimento di profitti illeciti nell’ambito di un’attività (“pulita”) aziendale postula la necessaria partecipazione di soggetti apicali o sottoposti, terzi rispetto alla commissione del reato presupposto, in relazione al delitto di riciclaggio non potrà che sussistere una responsabilità dell’ente.

Al tempo stesso, e più in generale, non appare condivisibile quanto sostenuto da chi ritiene che l’introduzione del reato di autoriciclaggio (così come dello stesso delitto di riciclaggio) abbia determinato la necessità di mappare il rischio per ogni ipotesi delittuosa astrattamente configurabile in una realtà d’impresa, ancorché non prevista nell’elenco dei reati presupposto.

Confindustria, con la circolare n. 19867 del 12 giugno 2015, ha da subito assunto una posizione rigorosa, proprio perché una diversa interpretazione cd. estensiva sembrerebbe violare le fondamentali garanzie previste dal D.lgs. n. 231/2001. Del resto, l’art. 2 del decreto prevede che “l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto”.

Proprio aderendo al principio di tassatività – che l’ordinamento appresta per la responsabilità di natura penale – l’autoriciclaggio dovrebbe rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità dell’ente soltanto se il reato presupposto rientri tra quelli previsti in via tassativa dal D.lgs. n. 231/2001.

Lo stesso principio è stato, inoltre, ribadito dalla Corte di Cassazione in relazione al reato di associazione per delinquere, affermando che “in tema di responsabilità da reato degli enti, allorché si proceda per il delitto di associazione per delinquere e per reati non previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, la rilevanza di questi ultimi non può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, per il loro carattere di delitti scopo del reato associativo contestato” (Cass. pen., sez. VI, n. 3635 del 24 gennaio 2014, CED Cass. n. 257789).

Per tali ragioni, sin dall’introduzione del delitto ex art. 648-ter.1 c.p. tra i reati presupposto, in relazione alla predisposizione (o all’aggiornamento) dei modelli ex D.lgs. n. 231/2001, si è condiviso un approccio “minimalista” basato sui seguenti elementi: i) la commissione di un delitto presupposto non espressamente richiamato dal D.lgs. n. 231/2001 non è rilevante ai sensi della responsabilità delle società e ii) i presidi di controllo concernenti il reato di autoriciclaggio sono i medesimi di quelli previsti per il delitto di riciclaggio. Infatti, essendo richiesto per entrambe le fattispecie di reato l’ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, di beni o di altre utilità, il presidio comune necessario ad evitare l’integrazione di tali reati presupposto sarà necessariamente la tracciabilità dei flussi finanziari idonea ad eliminare (o minimizzare) il rischio dell’ostacolo alla concreta identificazione dei profitti provenienti da reati non colposi.


[1] D. Piva, D. Lgs. 90 del 2017 (attuazione IV Direttiva Antiriciclaggio): sviste (e rettifiche) del Legislatore, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8

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