Con sentenza n. 18948 del 10 luglio 2025, la Corte di Cassazione, Sez. lavoro (Pres. Manna – Rel. Cinque), ha ribadito che, ai fini della cessione di un ramo d’azienda, l’unità produttiva deve conservare un’autonomia organizzativa e funzionale posseduta già prima del trasferimento (autonomia che quindi deve preesistere al trasferimento) tale da consentire lo svolgimento ex se dell’attività d’impresa sul mercato, indipendentemente da eventuali contratti di fornitura di servizi contestualmente stipulati tra cedente e cessionaria, senza integrazioni di rilievo da parte della cessionaria.
Nel caso esaminato, la Corte ha rigettato il ricorso principale della società cedente e il ricorso incidentale della cessionaria, confermando l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda “Direzione recupero crediti”, intercorsa tra le due, per difetto dei requisiti di autonomia funzionale e di preesistenza del ramo trasferito richiesti dall’art. 2112 C.c.
Già i giudici di merito avevano dichiarato l’inefficacia della cessione del ramo e dei trasferimenti dei contratti di lavoro, ordinando il ripristino dei rapporti di lavoro.
La Suprema Corte ha inoltre precisato che è astrattamente legittima una cessione di ramo “dematerializzato”, purché il gruppo di dipendenti ceduti esprima una professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know-how.
Nel caso concreto tuttavia, dopo la cessione, l’attività della cessionaria è rimasta dipendente da asset e funzioni mantenuti dalla cedente: continua interazione con programmi informatici rimasti in proprietà alla cedente, contratti di service sui software e sulla logistica degli immobili, e necessità di integrazioni operative.
Tali indici sono stati ritenuti incompatibili con l’autonomia funzionale del ramo, e quindi incapaci di integrare i requisiti della cessione di ramo aziendale.