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Editoriali

Voto di lista e lista del consiglio: prospettive di riforma

17 Giugno 2022

Mario Stella Richter jr

Professore Ordinario di Diritto Commerciale, Università di Roma “Tor Vergata”

Di cosa si parla in questo articolo

1[*]. La prospettiva che oggi interessa è, ovviamente, quella de lege ferenda. Tuttavia, una qualche premessa generale su come si atteggi il voto di lista alla stregua dell’attuale assetto normativo, e quindi quale sia la lex lata, è necessario farla proprio per meglio precisare le prospettive de jure condendo di quella regola, o meglio di quel complesso di regole che si tende a richiamare parlando di “voto di lista”; anche perché molte delle scelte di riforma presuppongono una presa di posizione sull’adeguatezza dell’attuale assetto normativo alla luce delle intervenute evoluzioni della realtà economica e sociale, e, dunque, impongono di fare ordine e chiarezza sulla stessa architettura dello jus conditum.

Voto di lista è locuzione carica di ambiguità e che può descrivere diversi assetti legislativi, autoregolamentari e statutari in punto di nomina del consiglio di amministrazione (o degli altri organi di amministrazione e controllo di una società). Faccio qualche esempio:

– si può parlare – e si è parlato – di voto di lista per descrivere quella modalità di votazione attraverso schede prestampate con liste di nomi di candidati, tra i quali il socio può scegliere e che può tuttavia integrare;

– si usa poi l’espressione voto di lista per descrivere quella modalità di rinnovo delle cariche sociali sulla base di liste che presentano proposte preformate (e quindi non integrabili o altrimenti modificabili) e unitarie;

– si parla ancora di voto di lista per alludere non solo a tecniche di voto, ma anche per ricondurre alle liste un sistema elettorale che consente di distaccarsi dal principio strettamente maggioritario.

Alla stregua del T.U.F. e quindi in sostanza ai fini che qui interessano, il voto di lista evoca un complesso (e oggi, come si dirà, eccessivamente complicato) sistema di elezione di amministratori e sindaci che, per imposizione normativa, deve essere adottato dalle società di diritto italiano quotate in mercati regolamentati (dell’Unione europea; e quindi non solo mercati italiani: art 119 T.U.F.).

Si deve dunque tenere presente che, per come positivamente normato, il sistema del voto di lista degli emittenti è una tecnica di elezione delle cariche sociali che incide su tutte le fasi del procedimento assembleare di nomina degli amministratori (e dei sindaci).

In particolare:

– il voto di lista è anzitutto una particolare tecnica di presentazione della proposta di deliberazione, in virtù della quale la proposta stessa avviene al di fuori, e cioè prima della riunione assembleare;

– il voto di lista caratterizza la disciplina della fase di votazione nel procedimento assembleare, nel senso di rendere necessariamente unitario l’oggetto della deliberazione: nel senso che si dispone che la deliberazione sia necessariamente sulla nomina dell’intero organo sociale (o sulla sua porzione che viene a scadenza in presenza di uno staggered board) e non sui suoi singoli componenti; si decide, in altre parole, di ricorrere a una unica deliberazione, strutturandola quindi come atto unitario, e non a tante deliberazioni quanti sono i componenti dell’organo da eleggersi;

– il voto di lista caratterizza, infine, la fase della proclamazione della deliberazione e quindi dell’esito della elezione, nel senso che è strumentale alla imposizione di un particolare sistema elettorale non schiettamente maggioritario, dal momento che attraverso la contemporanea elezione di una pluralità di candidati si garantisce che uno o più posti siano riservati a candidati tratti da liste diverse da quella che ha ottenuto il maggior numero di voti.

2. Sulla base di queste premesse, mi pare evidente che il “voto di lista” serve a cose diverse. Ed è allora altrettanto evidente che una sua valutazione non può che essere data o, meglio, tentata che in modo analitico: rispetto cioè alle distinte finalità cui è in concreto preordinata quella tecnica.

Al riguardo, e in estrema sintesi, direi allora quanto segue.

2.1 Per quanto attiene alla fase della proposta, il voto di lista è una eccellente risposta alla esigenza, non più rinunciabile, ad avere con giusto anticipo rispetto alla riunione assembleare una chiara e documentata definizione delle diverse possibili proposte (e quindi delle diverse possibili candidature) sulle quali orientare il voto. Voto che, come è chiaro, non è quasi mai il voto del singolo investitore o socio persona fisica presente in assemblea, ma è quasi sempre un investitore professionale o istituzionale, che non vota improvvisando; senza contare che il vecchio metodo è incompatibile con istituti ormai consolidati come il voto per corrispondenza e il rappresentante designato (soprattutto); senza candidature presentate e formalizzate prima delle riunione in epoca di emergenza sanitaria non si sarebbero potute tenere le assemblee solo per mezzo del rappresentante designato. Proposte di candidature in assemblea non sono comunque più compatibili con principi ispiratori della Direttiva sui diritti degli azionisti e, prima ancora, con la esigenza di rendere possibile un voto non solo diffuso, ma anche consapevole. Insomma, non si può certo tornare allo stile delle assemblee ante 2006 in cui il socio di maggioranza relativa si alzava e proponeva di votare una serie di nomi rimasti sconosciuti fino a quel momento.

L’unica modesta controindicazione che presenta la tecnica del voto di lista, in questa prospettiva, è quella di qualche incertezza sulle modalità e tempi per l’eventuale ritiro della lista, posto che la sua presentazione può generare affidamenti.

2.2. Per quanto attiene alla deliberazione come oggetto unitario, direi che anche qui la tecnica della lista unitaria di candidati soddisfa ancora una esigenza meritevole della massima considerazione.

L’organo di amministrazione di una società quotata si struttura oggi (e ciò proprio in virtù della previsione dell’art. 147-ter T.U.F.) come organo necessariamente pluripersonale. Il che ha portato a dare il dovuto rilievo alla sua composizione, cioè a valorizzare la operazione che consiste, appunto, nel mettere insieme in modo organico ed equilibrato i singoli componenti. La lista presenta una soluzione unitaria e organica che va valutata per quelli che sono i suoi addendi, ma anche per quello che è il suo insieme; per l’intrinseco valore dei singoli candidati, ma anche per l’armonica composizione tra i diversi elementi della lista. D’altra parte, il ricorso alla lista preformata e all’oggetto unitario della deliberazione diviene una strada quasi obbligata al crescere delle imposizioni normative e di raccomandazioni di vario livello in tema di diversità nella composizione.

Per questa ragione sono portato a non esaltare le virtù salvifiche del voto sui singoli candidati e mi lasciano piuttosto freddo le ricorrenti proposte di consentire che si voti sulla base di liste “aperte”, di proposte ulteriormente “integrabili” o anche che gli azionisti possano votare alcuni candidati presi da una lista e altri da un’altra. Trovo che sarebbero maggiori le complicazioni e soprattutto le disarmonie dei benefici di queste innovazioni e, se si mantiene, l’attuale ampia rigidità del sistema di nomina degli amministratori, non conviene fare queste piccole concessioni alla libertà dei soci; ovviamente, un discorso del tutto diverso sarebbe quello che ab imis ripensasse l’impostazione dell’art. 147-ter e il suo grado di cogenza (e su questo tornerò).

2.3 Molto più delicato è il discorso sul voto di lista con riferimento al momento della proclamazione del risultato elettorale; cioè del voto di lista come strumentale alla previsione necessaria di un sistema elettorale non schiettamente maggioritario.

Il punto da cui mi pare necessario partire è che l’approccio che si è sin qui seguito nei vari interventi normativi su composizione e nomina dell’organo amministrativo di una società quotata sono caratterizzati da un comune metodo e da una stessa visione: ad ogni singolo, specifico “problema di agenzia” si cerca di dare risposta introducendo nel consiglio una componente volta a contrastarne il relativo “costo”. E, tuttavia, così facendo, finisce per scaturirne un quadro eccessivamente rigido e complicato, troppo mortificante dell’autonomia privata e ben poco competitivo con le soluzioni più semplici ed elastiche di buona parte degli altri diritti societari europei. Questo in generale.

Anche il sistema del voto di lista, mostra in sostanza gli stessi limiti e inoltre dà vita a risultati talora paradossali: l’esempio più appariscente è forse quello (cui si fa riferimento nella prima domanda) delle liste pensate e presentate come “di minoranza”, che ottengono la maggioranza dei voti e però, per il fatto di non volere o non potere contenere un adeguato numero di candidati, e si limitano a eleggere solo i pochi amministratori, lasciando la maggioranza del board a candidati espressione della lista poi risultata, in effetti, meno votata.

Pensato per una specifica tipologia di società quotate e per combattere uno specifico tipo di problemi di agenzia, il voto di lista appare dunque invecchiato. In particolare, (mi) appare inattuale, sotto questo riguardo, per tre principali ordini di ragioni:

(i) che la tipologia societaria di allora non è più così comune;

(ii) che ancor più radicalmente mutata è la tipologia di azionista di mercato al cui ideale ricorso si faceva riferimento quando si pensava alle liste così dette “di minoranza” (oggi, l’azionista di mercato è un investitore professionale o istituzionale straniero e non domestico, che in una buona parte dei casi gestisce le sue partecipazioni in modo passivo);

(iii) che rispetto all’originario disegno della “legge sul risparmio” (che risale alla fine del 2005) gli spazi di autonomia statutaria si sono ulteriormente compressi fino al limite di rendere poco tollerabile e poco competitivo il sistema italiano, di qui i molteplici casi di delisting o di emittenti che, pur rimanendo quotati, sfuggono alla applicazione dello statuto speciale delle società quotate di diritto italiano (e quindi anche alle regole sul voto di lista) attraverso la scelta di diverse leges societatis.

Stando così le cose, a mio avviso:

– bisogna necessariamente non più aumentare il grado di imperatività e complicazione della materia;

– anzi, è senz’altro opportuno diminuire drasticamente l’attuale tasso di imperatività della disciplina legale della nomina degli amministratori e in generale aumentarne i possibili spazi di esplicazione dell’autonomia statutaria nella disciplina delle società quotate;

– infine, se si rinunzia all’impianto rigido dell’attuale sistema dell’art. 147-ter T.U.F., è meno necessario abbandonare il sistema delle “liste bloccate”, ma, in ogni caso, il sistema ha bisogno che si dia ampio e stabile riconoscimento alla c.d. lista del consiglio.

3. E così arrivo all’oggetto specifico dell’odierno seminario: la lista del consiglio.

Io penso che il ricorso alla lista del consiglio sia opportuno per diversi ordini di ragioni, che subito esporrò e quindi esso non andrebbe scoraggiato dal punto di vista legislativo.

(i) La lista del consiglio mi è da tempo sembrata lo strumento principe per rendere effettive le diversity policies, le raccomandazioni sulla composizione dei board, le periodiche autovalutazioni del consiglio di amministrazione e i suoi orientamenti sulla composizione ottimale del futuro board (tutti aspetti su cui molto insiste lo stesso Codice di corporate governance delle società quotate). Senza di questa molti di quei presidii, di quelle raccomandazioni, di quelle procedure rischiano di divenire semplici esercizi di stile, se non anche vuote e vane lustre. Si tenga presente che – come emerge dagli studi empirici di Assonime – le liste presentate dai soci (sia di maggioranza sia, e anzi direi quasi per definizione, di minoranza… cioè le c.dd. liste corte) tendono a sottovalutare, se non totalmente a ignorare, le indicazioni provenienti da queste attività.

(ii) In secondo luogo, per banche, assicurazioni e altre società vigilate, la lista del consiglio è l’unico strumento per dare concreta attuazione alle indicazioni in materia di composizione del consiglio delle autorità di vigilanza di settore e, comunque, per “far quadrare” l’oramai complessissimo sistema di requisiti personali degli esponenti di queste società.

(iii) In terzo luogo, la presentazione delle liste da parte degli amministratori uscenti valorizza le funzioni del comitato competente e responsabilizza il consiglio nel suo complesso nella ricerca di candidati qualificati muniti di adeguati requisiti personali (di professionalità, indipendenza, ecc.). Porto l’attenzione sulla circostanza che il consiglio, nel proporre una lista di candidati, lo fa sempre e necessariamente nell’assolvimento di una funzione in senso tecnico (e quindi curando professionalmente un interesse altrui), e non esercitando una prerogativa personale (come invece fanno i soci quando esercitano un loro diritto e quindi curano un interesse loro proprio).

(iv) Inoltre, la lista del consiglio di amministrazione, anche per la ragione appena esposta, si presenta come quella che più di ogni altra lista è fondata su procedure definite, trasparenti e rispondenti a esigenze anche di indipendenza, e ciò soprattutto in seguito al recente Richiamo di attenzione della Consob. Come è stato giustamente notato (da Assonime), le società che fanno ricorso alla lista del consiglio “stanno sviluppando best practices […] ponendosi all’avanguardia rispetto agli standard internazionali”.

(v) In quinto luogo, la lista del consiglio mi pare che possa egregiamente servire per dare continuità all’azione di gestione, che è un problema sottaciuto, ma in realtà molto avvertito in tutta una serie di casi: si pensi, per esempio, a certe realtà di società a partecipazione pubblica, affette da problemi di grave discontinuità quando le nomine sono politicamente ispirate e si alternano amministrazioni o governi di ispirazione partitica molto diversa.

(vi) In sesto luogo, quantomeno nelle società senza un azionista di controllo forte (senza un socio di controllo di diritto), una lista presentata dal consiglio rappresenta lo strumento più naturale per superare il paradosso che le liste più votate siano le meno rappresentate in consiglio.

(vii) In settimo luogo, nelle società con un azionista forte e dove non viene presentata una seconda lista (e non sono poche le società quotate in cui una seconda lista non è di regola presentata[1]) la lista del consiglio può, comunque, rappresentare un incentivo ad una composizione plurale e diversificata quanto a provenienza del board.

(viii) In ultimo, il coinvolgimento del consiglio nel processo di selezione dei componenti gli organi di amministrazione trova la sua spiegazione, in termini generali, nel dovere dello stesso organo amministrativo di assicurare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo della società; una funzione, quest’ultima, di cui non debbo qui segnalare la centralità, almeno per quel che riguarda il ruolo degli amministratori delle società per azioni.

4. Credo sia giunto il momento di concludere; e lo farei sintetizzando come segue il mio pensiero.

L’attuale disciplina relativa alla nomina e composizione del consiglio di amministrazione di una società italiana quotata si caratterizza per un grado eccessivo di complessità e per una penalizzante compressione della autonomia statutaria.

Da ciò discende, per un verso, un disincentivo alla quotazione per le società non quotate e, per altro verso, un incentivo al delisting o alla trasformazione in società di diritto estero.

Stando così le cose, è necessario non aumentare il grado di imperatività e complicazione della materia ed è, anzi, senz’altro opportuno diminuirlo.

Tra le possibili semplificazioni segnalo forse la più immediata ed indolore: quella relativa alla soppressione dell’obbligo di avere in consiglio uno (o due) amministratori indipendenti; una previsione questa da lasciarsi al campo delle raccomandazioni autodisciplinari e alle buone pratiche di governo societario.

In ogni caso, il sistema ha bisogno che si dia ampio e stabile riconoscimento alla c.d. lista del consiglio, per le ragioni che ho provato ad elencare in precedenza.

Per far questo riterrei opportuno prevedere dispositivamente, nell’art. 147-ter T.U.F., una legittimazione del consiglio di amministrazione a proporre liste di candidati, se ciò non sia escluso con espressa previsione dello statuto.

 

[*] Intervento al Seminario istituzionale su “disegno di legge n. 2433, relativo alla presentazione di liste di candidati da parte dei consigli di amministrazione uscenti delle società quotate”, tenutosi il 16 giugno 2022 al Senato della Repubblica – 6a Commissione Finanze e Tesoro.

[1]  Cfr. P. Piscopo, Il ruolo del Consiglio di Amministrazione nella elezione dell’amministratore di minoranza, Tesi di laurea Bocconi, a.a. 2018-2019, Rel. G. Sandrelli.

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