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Giurisprudenza

Sulla corretta qualificazione dei versamenti dei soci alla società in perdita

1 Luglio 2019

Manfredi Sclopis

Cassazione Civile, Sez. I, 8 giugno 2018, n. 15035 – Pres. Ambrosio, Rel. Mercolino

Di cosa si parla in questo articolo

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha cassato il ricorso proposto dagli eredi dell’amministratore unico di una società fallita avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, li aveva condannati a risarcire il danno cagionato alla predetta società dal loro dante causa.

In particolare, l’amministratore unico era stato ritenuto responsabile per non aver promosso la ricostituzione del capitale sociale ovvero lo scioglimento della società, dai cui bilanci erano emersi rilevanti perdite con conseguente perdita totale del capitale sociale.

I ricorrenti hanno adito la Suprema Corte eccependo falsa applicazione dell’art. 2447 cod. civ., per avere il giudice del gravame escluso l’idoneità dei versamenti effettuati dai soci a ripianare le perdite della società, conferendo erroneamente rilievo all’iscrizione degli stessi in bilancio come “altri debiti” e non considerando che i versamenti in questione non avevano dato luogo a pretese restitutorie né ad istanze d’insinuazione al passivo del fallimento. La finalità dei soci era, in sostanza, quella di apportare valore al patrimonio netto, compensando le perdite, e non quella di diventare creditori sociali.

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte, pur confermando la tesi secondo cui l’individuazione della natura del versamento va desunta dalla comune intenzioni delle parti, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno avuto nel bilancio, ha sottolineato come i ricorrenti non avessero mai allegato prove idonee ad evidenziare la finalità dei versamenti effettuati. Al riguardo, va richiamato il consolidato principio di diritto per cui la circostanza che i ricorrenti non abbiano avanzato pretese risarcitorie non può ritenersi decisiva al fine di qualificare diversamente i versamenti effettuati dai soci, trattandosi di scelta che, in quanto effettuata dopo il compimento delle summenzionate operazioni ed essendo comunque sempre revocabile, non è necessariamente sintomatica dell’intento di rinunciare definitivamente al rimborso dei versamenti. Invero, in tema di interpretazione del contratto di cui all’art. 1362, c. 2, cod. civ., occorre aver riguardo alla condotta di entrambi i contraenti, non potendo questa emergere dall’iniziativa unilaterale del singolo contraente, eventualmente corrispondente ai suoi personali disegni.

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