UIF ha recentemente pubblicato uno studio sulla correlazione tra merito creditizio, razionamento del credito ed infiltrazione della criminalità organizzata nelle imprese italiane, basato su un dataset relativo a 2.3 milioni di imprese, delle quali il 2,6% ha subito infiltrazioni nel periodo 2001-2020.
Dall’indagine emerge come una revisione peggiorativa del merito creditizio dell’impresa – e, in particolare, l’assegnazione di un rating CERVED pari o superiore a 7, da cui, quindi, emerge un rischio di insolvenza – comporti, nei cinque anni successivi, una riduzione del credito bancario superiore al 30%.
A sua volta, tale restrizione nell’accesso al credito implica un aumento della probabilità di infiltrazione nell’impresa da parte della criminalità organizzata del 5% rispetto alle altre che non hanno subito un downgrade del proprio merito creditizio.
E tale percentuale aumenta in settori particolarmente vulnerabili, come quello immobiliare, dove arriva al 10%.
Lo studio, quindi, evidenzia come la criminalità organizzata si proponga quale fonte di finanziamento “alternativa” al canale bancario per le imprese in difficoltà.
Conseguentemente, nei periodi di crisi economica, generalmente caratterizzati da credit crunch, diviene essenziale per l’ordinamento garantire l’accesso al credito alle imprese a rischio ma nondimeno ritenute “viable”, per evitare che esse diventino facili prede della criminalità organizzata.

