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Approfondimenti

La nuova disciplina del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari

23 Agosto 2013

Avv. Fabio Civale

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1 Offerta fuori sede di prodotti finanziari e diritto di ripensamento: l’evoluzione della disciplina. 2. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13905 del 3 giugno 2013. 3. Conferme e novità contenute nell’art. 56-quater del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69. 4. Della dubbia utilità del diritto di ripensamento.

1. Offerta fuori sede di prodotti finanziari e diritto di ripensamento: l’evoluzione della disciplina

A distanza di circa quarant’anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, risulta quantomai attuale e discusso il tema del diritto di ripensamento attribuito al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede di prodotti finanziari.

Prima la Corte di Cassazione (1), poi il legislatore primario (2), sono da ultimo intervenuti con particolare riferimento al punto nodale dell’istituto concernente l’esatta individuazione dell’ambito di applicazione.

Da un lato, vi è chi sostiene che il diritto di ripensamento per il cliente debba (o forse possa) essere riconosciuto solo in relazione a specifici e nominati servizi di investimento.

Dall’altro lato vi è chi sostiene che, stante la sostanziale omogeneità delle esigenze di tutela del cliente, il diritto di ripensamento debba essere riconosciuto al cliente indistintamente ed in relazione a tutti i servizi di investimento prestati fuori sede.

La questione, peraltro, non nasce oggi e può ritenersi risalante sin dalla prima formulazione del diritto di ripensamento contenuta nell’art.18-ter, comma 2, della legge 7 giugno 1974, n. 216, che disponeva la sospensione dei “contratti stipulati mediante vendite a domicilio per la durata di cinque giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione”. Entro detto termine il cliente poteva comunicare il proprio recesso senza corrispettivo al “venditore o al suo agente, procuratore o commissionario”. La previsione del diritto di recesso doveva essere riprodotta nei contratti, applicandosi in assenza una ipotesi di nullità ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 18-ter della legge 7 giugno 1974, n. 216.

Il diritto di recesso, previsto dall’art. 18-ter della legge 7 giugno 1974, n. 216, si applicava a tutti i contratti aventi ad oggetto valori mobiliari conclusi in seguito a sollecitazione al pubblico risparmio svolta fuori sede (“porta a porta”).

Successivamente, e senza alcuna abrogazione del richiamato art. 18-ter, comma 2, della legge 7 giugno 1974, n. 216, è stato adottato l’art. 8, comma 1, lett. c) della legge 2 gennaio 1991, n. 1, che prevedeva un analogo (ma non identico) diritto di ripensamento per il cliente in relazione al contratto di gestione di patrimoni conclusi tanto in sede quanto fuori sede (3).

L’art. 8, comma 1, lett. c) della legge 2 gennaio 1991, n. 1 è stato quindi ripreso e soppiantato dall’art. 20 del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415 che, sempre limitatamente ai contratti di gestione di portafogli, assicurava al cliente uno ius poenitendi di sette giorni dalla data di sottoscrizione in caso di offerta fuori sede (disciplinata dall’art. 22 del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415) o di collocamento a distanza (disciplinato dall’art. 24 del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415).

Anche a seguito dell’art. 20 del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415, restava applicabile l’ulteriore diritto di ripensamento previsto dall’art. 18-ter, comma 2, della legge 7 giugno 1974, n. 216 avente di per sé un più ampio ambito di applicazione.

In breve, prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, la disciplina del diritto di ripensamento riconosciuto al cliente era contenuta in due distinte previsioni: l’art. 18-ter, comma 2, della legge 7 giugno 1974, n. 216 e l’art. 20 del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (c.d. decreto Eurosim).

Con l’adozione del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza), abrogate le precedenti e citate norme, è stata introdotta una nuova disciplina dell’offerta fuori sede e dello ius poenitendi riconosciuto al cliente.

In particolare, prima delle ultime modifiche di cui si dirà qui di seguito, il comma 6 dell’art. 30 del T.U.F. stabiliva che “l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di 7 giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. Entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso, senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all’investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede”. Il successivo comma 7 dell’art. 30 del T.U.F. prevede la nullità dei contratti in cui sia omessa la facoltà di recesso, nullità che può essere fatta valere solo dal cliente.

2. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13905 del 3 giugno 2013

La previgente formulazione dell’art. 30, comma 6, del T.U.F. lasciava secondo alcuni irrisolta la questione di fondo concerne l’ambito di applicazione del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede (c.d. ius poenitendi).

Si è a lungo discusso se, in particolare, tale diritto del cliente si applichi solo alle operazioni di investimento disposte nell’ambito del servizio di gestione di portafogli e del servizio di collocamento di strumenti finanziari prestato dall’intermediario, ovvero se lo stesso diritto di ripensamento sia applicabile alle operazioni disposte fuori sede dal cliente anche nell’ambito dei servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, ricezione e la trasmissione di ordini.

Su tale questione è intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013 che, mutando radicalmente il precedente orientamento espresso dalla Prima Sezione della stessa Corte di Cassazione (4), nonché in aperta antitesi con l’orientamento dell’Autorità di vigilanza di settore (5), ha espressamente riconosciuto l’estensione del diritto di ripensamento da parte del cliente alle operazioni di investimento disposte fuori sede nell’ambito dei servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, ricezione e trasmissione di ordini, oltre che nell’ambito del servizio di collocamento di strumenti finanziari e gestione di portafogli.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013 si fonda sulla ratio dell’art. 30, comma 6, del T.U.F., individuata dalla stessa Suprema Corte nell’esigenza di tutela connessa al “rischio che il cliente venga colto di sorpresa, quando il singolo ordine sia frutto di una sollecitazione posta in essere dall’intermediario fuori dalla propria sede” (6).

La richiamata sentenza delle Sezioni Unite è apparsa sin da subito non condivisibile e potenzialmente in grado di ingenerare profonda incertezza nell’operatività di mercato e degli intermediari finanziari che, in modo uniforme, hanno riconosciuto al cliente il diritto di ripensamento solo in relazione ai servizi di collocamento e di gestione di portafogli.

Prevedibile era il deflagrare di un rilevante contenzioso tra intermediari e clienti in merito alla pregressa operatività.

Per il futuro, poi, secondo un fenomeno che già in passato ho definito di “eterogenesi dei fini”, la pronuncia della Corte di Cassazione poteva rivelarsi di per sé contraria alle stesse esigenze di tutela della clientela invocate quale presupposto della pronuncia della Suprema Corte.

Affermando che il diritto di recesso per il cliente di cui all’art. 30, comma 6, del T.U.F. si applica indistintamente alle operazioni di investimento eseguite nell’ambito dei servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti e ricezione e trasmissione di ordini (oltre che di collocamento e gestione), la Cassazione ha di fatto affermato che a tali operazioni fuori sede si applica necessariamente la sospensiva dell’efficacia degli ordini dei clienti per un periodo pari a sette giorni dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore (7).

Si ponga l’attenzione sulla circostanza che, in caso di applicabilità del diritto di ripensamento per il cliente, l’esecuzione dell’ordine di investimento avverrà non solo dopo sette giorni, ma anche al “prezzo” che lo strumento finanziario registrerà alla scadenza del menzionato termine di sospensiva.

Ne consegue, pertanto, che in caso di applicabilità del diritto di ripensamento, allorquando il cliente conferisce un ordine fuori sede non solo non avrà un eseguito immediato, ma di per sé, la sua volontà di investimento seppur sospesa quanto ad efficacia sarà comunque espressa senza conoscere il prezzo in base al quale l’operazione di investimento sarà eseguita.

E’ davvero difficilmente conciliabile con la dichiarata finalità di promuovere la tutela dell’investitore imporre a quest’ultimo di conferire un ordine di investimento senza l’esatta cognizione del prezzo dello strumento finanziario allorquando quest’ultimo sia soggetto a variazioni in aumento o diminuzione in ragione degli andamenti di mercato.

In realtà, il meccanismo stesso della necessaria sospensiva dell’efficacia della disposizione del cliente pare da ricondurre e risultare giustificabile solo in relazione al caso di condizioni di offerta e di prezzo standardizzate (come avviene di norma nell’ambito del servizio di collocamento), ma oggettivamente inconciliabile con la negoziazione dei titoli in fase di mercato secondario nei casi in cui il prezzo sia caratterizzato da rapide e continue fluttuazioni.

Non è un caso, del resto, che anche le fattispecie di esclusione del diritto di ripensamento indicate nell’art. 30, comma 8, del T.U.F. sono riferiti a casi di fluttuazione dei prezzi, quali le offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettano di acquisire o sottoscrivere tali azioni, quando le azioni o gli strumenti finanziari sono negoziati in mercati regolamentati italiani o di paesi dell’Unione Europea.

Risulta, quindi, evidente che l’affermata ed indistinta estensione del diritto di recesso (e quindi della necessaria sospensiva di efficacia degli ordini) a tutti i servizi investimento, quale proposta dalla Cassazione, comportava possibili conseguenze pregiudizievoli per gli stessi investitori che si intendeva tutelare.

Ulteriori ragioni di non condivisione della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013 si ricollegano alla interpretazione di natura semantica proposta dalla Suprema Corte con riferimento all’espressione “collocamento” utilizzata nell’art. 30, comma 6, del T.U.F..

E’ noto che il collocamento, quale servizio di investimento previsto dall’art. 1, comma 5, lett. c) e c-bis), del T.U.F. può avere ad oggetto esclusivamente strumenti finanziari. L’offerta fuori sede, disciplinata nell’art. 30, comma 1, del T.U.F. ha invece un oggetto più ampio in quanto ricomprende la promozione ed il collocamento fuori sede di strumenti finanziari ed anche, qui la differenza, di servizi ed attività di investimento (8).

Allorquando l’offerta fuori sede ha ad oggetto servizi di investimento, siamo evidentemente in un ambito diverso dal servizio di collocamento di cui all’art. 1, comma 5, lett. c) e c-bis), del T.U.F. e potremmo ritenere che la stessa espressione “collocamento” sia assimilabile all’espressione “distribuzione” di servizi di investimento (9).

Sin qui le considerazioni della Cassazione appaiono pienamente condivisibili.

E’ il successivo passaggio che suscita perplessità allorquando la Suprema Corte afferma che, proprio in ragione del significato ampio da attribuire all’espressione “collocamento” di cui all’art. 30, comma 1, del T.U.F., “nasce da ciò il dubbio che nell’intero art. 30 l’espressione collocamento sia stata adoperata dal legislatore con un significato più ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi di investimento” .

La Cassazione giunge a chiedersi se “la portata delle disposizioni in tema di recesso e di eventuale nullità sia circoscritta ai soli contratti stipulati fuori sede a mezzo dei promotori da intermediari impegnati nella prestazione di veri e propri servizi di collocamento, quali sopra definiti (oltre che nel servizio di gestione di portafogli), oppure se anche qui, come già visto a proposito della definizione dell’offerta fuori sede contenuta nel primo comma, la parola collocamento sia da intendere in un’accezione più ampia ed in qualche misura atecnica, cioè quale sinonimo di qualsiasi operazione implicante la vendita all’investitore di strumenti finanziari, anche nell’espletamento di servizi di investimento diversi (negoziazione, esecuzione, ricezione e trasmissione di ordini) se effettuata dall’intermediario al di fuori della propria sede”.

A tale quesito la stessa Suprema Corte ritiene non possa darsi “una risposta soddisfacente” mediante il “mero dato letterale”.

La questione semantica è stata quindi posta e lasciata irrisolta dalla Suprema Corte.

Ciò che non convince, peraltro, è tanto l’affermata ambiguità ed insufficienza del dato letterale della norma, quanto l’assimilazione compiuta tra primo e sesto comma dell’art. 30 del T.U.F..

Mentre nel primo comma il legislatore utilizza, volutamente e scientemente, l’espressione “collocamento” con valenza ampia ed al punto da ricomprendere anche l’attività di distribuzione di servizi di investimento, nel sesto comma si utilizza altra e distinta espressione, “contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli”, avente chiara ed univoca valenza tecnica e restrittiva, sussumibile nelle definizioni contenute nell’art. 1, comma 5, del T.U.F..

La differenza tra le due espressioni non può essere trascurata e riflette, a ben vedere, l’evoluzione storica della disciplina dell’offerta fuori sede e del diritto di ripensamento che, per lungo tempo, come ricordato in precedenza, hanno avuto una disciplina distinta e solo in parte coincidente.

Nell’art. 30 del T.U.F., quindi, l’espressione “collocamento” (comma 1) e l’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziario di gestione di portafogli” (comma 6), hanno significati ed ambiti di applicazione diversi.

Nel primo comma dell’art. 30 del T.U.F., utilizzando l’espressione “collocamento”, il legislatore intende definire il fenomeno dell’attività di offerta fuori sede. Che la volontà del legislatore sia definitoria appare indiscutibile in quanto espressamente l’incipit del comma 1 dell’art. 30 del T.U.F. prevede che “per offerta fuori sede si intende …”.

Nel sesto comma dell’art. 30 del T.U.F., invece, utilizzando l’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziario di gestione di portafogli”, il legislatore intende disciplinare il fenomeno della sospensione dei citati contratti per la durata di sette giorni dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. Non siamo in un ambito definitorio, bensì di disciplina di un fenomeno giuridico quale la sospensione dell’efficacia di specifici e nominati contratti.

Mentre nella individuazione e definizione di una attività, quale l’offerta fuori sede, il legislatore ha utilizzato in senso ampio l’espressione “collocamento” (comma 1), allorquando lo stesso legislatore ha inteso disciplinare un fenomeno giuridico di sospensione dell’efficacia dei contratti non ha potuto che utilizzare le espressioni secondo il significato proprio e coerentemente con le definizioni di cui all’art. 1, comma 5, del T.U.F..

Non è un caso che nel primo comma dell’art. 30 del T.U.F. l’espressione collocamento è accostata anche ai servizi di investimento, mentre nel successivo sesto comma è accostata in modo specifico ed esclusivo agli strumenti finanziari, in ossequio a quanto previsto dalla definizione del relativo servizio di investimento contenuta nell’art. 1, comma 5, lett. c) e c-bis), del T.U.F..

Non è un caso ancora che nel primo comma l’espressione “collocamento” è utilizzata in modo autonomo ed in connessione all’ulteriore espressione “promozione” essendo entrambe destinate a definire una attività di offerta, mentre nel sesto comma dell’art. 30 del T.U.F. l’espressione collocamento è utilizzata unitamente al termine contratto, essendo diretta a disciplinare un fenomeno di sospensione dell’efficacia giuridica.

Nessun dato letterale ambiguo, ma solo significati ed espressioni distinte.

Seppure poi si voglia attribuire all’espressione “collocamento” di cui al comma 1 dell’art. 30 del T.U.F. un significato ambiguo, non si comprende per quale ragione tale ambiguità debba poi ricondursi e trasferirsi anche alla distinta espressione di cui al comma 6 dell’art. 30 del T.U.F. riferita ai “contratti di collocamento di strumenti finanziario di gestione di portafogli”.

Il significato proprio dell’espressione “contratti di collocamento di strumenti finanziario di gestione di portafogli” di cui al comma 6 dell’art. 30 del T.U.F. non può essere di certo fatta dipendere dall’affermata ambiguità della distinta espressione “collocamento” di cui al comma 1 della medesima norma.

3. Conferme e novità contenute nell’art. 56-quater del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69

All’indomani della sentenza della Cassazione Civile, Sezione Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013, il perimetro di applicazione del diritto di ripensamento riconosciuto al cliente dall’art. 30, comma 6, del T.U.F. risultava di per sé labile e non definibile a priori, in quanto direttamente e strettamente connesso al concreto dispiegarsi della relazione tra intermediario e cliente avvenuta fuori sede.

Affermata (ma non dimostrata) l’equivocità del dato letterale, la Cassazione ha adottato una pronuncia ancorata alla ratio della norma che, come detto, è strettamente connessa all’esigenza di tutela del cliente “sorpreso” da un’attività promozionale svolta fuori sede dall’intermediario, ciò a prescindere dal servizio di investimento prestato.

Il diritto di ripensamento risultava, in definitiva, legato all’esistenza ed alla prova di una attività latu senso sollecitatoria svolta fuori sede dall’intermediario per il tramite dei propri promotori finanziari. Si trattava, all’evidenza, di un’indagine e valutazione da compiersi di caso in caso, certamente non semplice e di incerto esito.

In tale contesto, di profonda e amplificata incertezza non solo interpretativa ma anche operativa per gli intermediari, si colloca l’intervento ultimo da parte del legislatore primario, operato attraverso l’art. 56-quater introdotto dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 nell’ambito dell’iter di conversione del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”)(10).

A seguito di tale intervento legislativo, l’attuale art. 30, comma 6, del T.U.F. prevede che “l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di 7 giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. Entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso, senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all’investitore. Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettere c), c-bis e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettera a). La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede”.

L’art. 56-quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 ha contenuto e valenza di duplice natura.

In primo luogo la norma risulta avere una valenza di interpretazione autentica allorquando afferma “l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo (dell’art. 30, comma 6, del T.U.F.) ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettere c), c-bis e d)” del T.U.F..

La questione interpretativa connessa all’ambito di applicazione del diritto di ripensamento, come detto ma acuita dalla sentenza della Cassazione Civile, Sezione Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013, è quindi risolta dal legislatore primario.

Con riferimento ai contratti sottoscritti in data antecedente al 1° settembre 2013, il diritto di ripensamento attribuito al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede risulta applicabile solo in relazione ai servizi di collocamento e gestione di portafogli.

Sebbene è prevedibile che non mancheranno voci difformi, non sembra possibile parlare nel caso di specie di una indebita intromissione del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia.

A ben vedere la norma qui in esame conferma ed assegna all’art. 30, comma 6, del T.U.F. il significato letterale già contenuto nell’originaria formulazione della citata norma ed ha l’indubbia finalità di ristabilire, anche a seguito della citata sentenza della Cassazione Civile, Sezione Unite, n. 13905 del 3 giugno 2013, maggiore certezza ed una lettura interpretativa aderente alla originaria volontà del legislatore (11).

In secondo luogo l’art. 56-quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 ha un contenuto innovativo ed integrativo allorquando afferma che “per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina” in tema di diritto di ripensamento attribuito al cliente nell’offerta fuori sede “si applica anche ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettera a), ossia al servizio di negoziazione in conto proprio.

Solo a far data dal 1° settembre 2013, quindi, l’ambito di applicazione del diritto di ripensamento attribuito al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede limitato originariamente ai servizi di collocamento e gestione di portafogli, risulta esteso anche al servizio di negoziazione in conto proprio.

E’ opportuno concentrare l’analisi su tale estensione. In prima battuta potrebbe sollevarsi l’eccezione della irragionevolezza della norma in quanto l’esigenza di tutela del cliente “sorpreso” dall’offerta fuori sede si pone in termini analoghi sia nell’ambito del servizio di negoziazione in conto proprio, sia nell’ambito dei servizi di esecuzione di ordini e di ricezione e trasmissione di ordini.

A ben vedere, invece, la norma anche in relazione a tale contenuto estensivo risulta rispondere al canone della ragionevolezza.

La possibilità di riconoscere un diritto di ripensamento al cliente nell’offerta fuori sede, basato sulla necessaria sospensiva dell’efficacia della disposizione di investimento, risulta strettamente connessa ai casi in cui le condizioni di offerta e di prezzo abbiano carattere standardizzato (come avviene di norma nell’ambito del servizio di collocamento) o siano stabilibili ex ante (come può avvenire nell’ambito del servizio di negoziazione in conto proprio), ossia ai casi in cui possa essere esclusa una fluttuazione del prezzo nei sette giorni di necessaria sospensiva dell’efficacia dell’ordine di investimento.

Mentre nel servizio di negoziazione in conto proprio l’intermediario può stabilire ex ante con il cliente il “prezzo”, pur restando l’operazione sospesa per sette giorni, in quanto impegna posizioni propriee si pone in contropartita diretta con il cliente, nei servizi di esecuzione di ordini o di ricezione e trasmissione di ordini l’intermediario non può stabilire ex ante un prezzo soggetto alle variazioni di mercato.

Il discrimine, quindi, pur in presenza di analoghe esigenze di tutela per l’investitore, è rappresentato dalla concreta possibilità per il cliente e l’intermediario di conoscere o stabilire ex ante il prezzo, ossia l’elemento principe dell’operazione di investimento pur soggetta alla necessaria sospensiva quanto ad efficacia.

La soluzione adottata dal legislatore si rileva in definitiva equilibrata, ben ponderata e coerente con le specificità in termini operativi ed economici che caratterizzano i diversi servizi di investimento.

4. Della dubbia utilità del diritto di ripensamento

Individuato l’esatto perimetro di applicabilità del diritto di ripensamento riconosciuto al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede, in conclusione (sebbene sarebbe stato meglio in apicibus) pare opportuno interrogarsi sulla reale utilità, specie oggi, dell’istituto in termini di tutela effettiva della clientela.

L’operatività concreta mostra come i casi in cui i clienti si avvalgono di tale diritto di ripensamento siano numericamente irrisori, se non eccezionali.

Ciò anche perché un cliente davvero spiazzato dall’effetto sorpresa dell’offerta fuori sede impiega un tempo ben maggiore rispetto ai sette giorni di sospensiva per comprendere le caratteristiche ed i rischi dell’operazione effettuata, ravvedersi e prendere conoscenza della facoltà di avvalersi del diritto di ripensamento di cui all’art. 30, comma 6, del T.U.F..

Appare, poi, quantomeno discutibile e forse oggi neppure appagante ritenere che nell’offerta fuori sede possa esserci in via immanente un effetto sorpresa tale da incidere sulla capacità di determinazione del cliente, sino ad elidere la consapevolezza dell’investimento.

La normativa primaria e secondaria di riferimento pone specifici limiti all’agire fuori sede dell’intermediario e dei relativi promotori finanziari, nonché specifici presidi volti ad accrescere la tutela del cliente in relazione alle operazioni concluse fuori sede.

L’operatività degli intermediari, negli ultimi anni, per ragioni economiche e commerciali, si è sempre più caratterizzata per un crescente utilizzo di canali alternativi alla sede o filiale.

Se agli albori delle prime previsioni concernenti il diritto di ripensamento, come visto risalenti al 1974, poteva ritenersi “nuova” un’operatività che prescindesse dalla tradizionale sede o filiale bancaria e potesse, proprio in quanto innovativa, sorprendere il cliente, oggi la realtà è profondamente mutata.

I clienti sono abituati ad effettuare qualsivoglia operazione bancaria e di investimento senza recarsi in filiale. Parlare ancora di “necessario effetto sorpresa” per l’operatività fuori sede apparequantomeno dubbio.

In conclusione, il diritto di ripensamento riconosciuto al cliente nell’offerta fuori sede risulta oggi uno strumento inadeguato e forse, per molti versi, superato dall’evoluzione economica ed operativa registrata negli ultimi anni. La tutela del cliente dovrebbe misurarsi in termini di effettiva consapevolezza dell’investitore in merito all’operazione di investimento effettuata, ciò a prescindere se questa sia stata disposta in sede o fuori sede.

1

) Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 3 giugno 2013, n. 13905.

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2

) Cfr. Art. 56-quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69.

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3

) L’art. 8, comma 1, lett. c) della legge 2 gennaio 1991, n. 1, prevedeva che “salvo preventiva e specifica rinuncia scritta da parte del cliente, il contratto di cui alla lettera a) (gestione di patrimoni) non acquista efficacia prima del quinto giorno lavorativo successivo a quello della sua sottoscrizione; entro il medesimo termine, il cliente ha facoltà di recedere, senza spese né corrispettivo, facendo pervenire apposita comunicazione scritta alla società”.

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4

) Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065; Cass. Civ., Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564.

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5

) Cfr.Comunicazione Consob n. DIN/12030993 del 19 aprile 2012.

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6

) Ad avviso della Suprema Corte, nell’ambito dell’offerta fuori sede è “logico (…) presumere” che “l’investimento non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia recato presso la sede dell’intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione proveniente da promotori della cui opera l’intermediario si avvale; sollecitazione che, perciò stesso, potrebbe aver colto l’investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata. Il differimento dell’efficacia del contratto, con la possibilità di recedere nel frattempo senza oneri per il cliente, vale appunto a ripristinare, a posteriori, quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato”.

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7

) La Suprema Corte, sempre nella sentenza n. 13905 del 3 giugno 2013, ha espressamente escluso che il diritto di ripensamento possa applicarsi al “c.d. contratto quadro, che di per sé non implica l’acquisto di strumenti finanziari ed è perciò sicuramente estranea alla nozione di collocamento sia pur latamente intesa”.

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8

) Cfr. art. 30, comma 1, lett. b) del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

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9

) Nell’ambito dell’offerta fuori sede di prodotti bancari, similmente, si utilizza l’endiadi “promozione” e “collocamento”. Nel comunicato della Banca d’Italia in tema di offerta bancaria fuori sede (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 11 del 14 gennaio 2006) si rileva come: (a) l’attività di “promozione” di prodotti e servizi bancari consiste nella “pubblicizzazione e consulenza nei confronti di potenziale clientela”; (b) l’attività di “collocamento” di prodotti e servizi bancari consiste invece nella “raccolta delle proposte contrattuali firmate da clienti, in una prima eventuale istruttoria e nel successivo inoltro della proposta stessa alla banca”.

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10

) L’art. 56-quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 dispone che “All’art. 30, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 dopo il secondo periodo è inserito il seguente: . Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettere c), c-bis e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettera a).

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11

) Cfr. Corte Costituzionale, 30 settembre 2011, n. 257; Corte Costituzionale, 7 luglio 2006, n. 274; T.A.R. Lombardia, Sezione I, 9 aprile 2013, n. 877.

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I “passi” attesi dalle banche LSI
20 Dicembre 2022

Fabio Civale, Civale Associati

A distanza di circa quarant’anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, risulta quantomai attuale e discusso il tema del diritto di ripensamento attribuito al cliente nell’ambito dell’offerta fuori sede di prodotti finanziari. Prima la Corte di Cassazione, poi il legislatore
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