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Giurisprudenza

Limiti all’ammissione al passivo della fideiussione prestata in conflitto di interessi

27 Settembre 2018

Alberto Ferronato

Cassazione Civile, Sez. I, 4 giugno 2018, n. 14240 – Pres. Didone, Rel. Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo

Non può essere ammessa allo stato passivo la fideiussione prestata dall’amministratore, prima del fallimento della società, a favore di un’altra società nella quale lo stesso ricopre il ruolo di amministratore, se tale garanzia non ricade nell’oggetto sociale della società garante o comunque non apporta alcun vantaggio economico per quest’ultima, senza tener conto della partecipazione che in concreto è detenuta dall’amministratore nelle due società.

Si è espressa in questi termini la Corte di Cassazione che, nella sentenza in esame, non ha censurato il decreto del Tribunale di Cremona che, rigettando l’opposizione all’esclusione dallo stato passivo promossa dalla banca ai sensi dell’art 98 e 99 del r.d. n.267/1942, accoglieva le ragioni del curatore fallimentare, secondo cui la fideiussione prestata dall’amministratrice della società fallita all’istituto di credito a favore di una terza società in cui la stessa ricopriva il ruolo di amministratrice, era stata prestata in conflitto di interessi e pertanto era annullabile ai sensi dell’art. 2475-ter c.c..

Tra i motivi del ricorso la banca adduceva l’error in iudicando e l’insufficiente valutazione di fatto decisivo. Secondo l’istituto di credito, infatti, non sarebbe per se sufficiente ad integrare una situazione di conflitto di interesse la circostanza in cui l’amministratore che presta la fideiussione sia allo stesso tempo amministratore sia della società garante che di quella garantita, senza considerare poi che, nel caso di specie, l’amministratrice non avrebbe manifestato alcun interesse estraneo a quello della società, e ciò in quanto il valore della quota di capitale sociale detenuta dall’amministratrice nella società garantita era di quasi la metà rispetto alla sua partecipazione nella società garante (poi fallita). Tra le altre cose il Tribunale lombardo non avrebbe poi tenuto sufficientemente in considerazione la sussistenza di numerosi rapporti commerciali tra le predette società, di cui è stata data evidenza producendo una serie di bonifici compiuti dalla società garantita a favore della società garante; secondo l’istituto di credito infatti tale fatto secondario sarebbe idoneo a dimostrare l’esistenza di un vantaggio per la società fallita a concedere la garanzia in discorso e, pertanto, l’assenza di un conflitto di interessi in capo all’amministratrice fideiubente.

Tali motivi non hanno ricevuto accoglimento per le ragioni che seguono.

Innanzitutto, il giudizio sulla sussistenza del conflitto non è sindacabile in sede di legittimità, e ciò in quanto l’interpretazione delle clausole generali, come quella sul conflitto di interesse, è un attività spettante soltanto al giudice di merito. D’altro canto, e quasi superando le barriere istituzionali del giudizio di diritto, i giudici di legittimità hanno però accolto le diverse ragioni poste a fondamento dell’esistenza del conflitto d’interesse, tra cui il “carattere extravagante della prestazione fideiussoria rispetto all’oggetto sociale” della società fallita, o il fatto che la stessa “nessun vantaggio economico ha portato alla stessa società garante la quale, di fatto, viene solo a partecipare alle perdite della garantita”. In aggiunta, la Corte rileva anche come la minor partecipazione detenuta dall’amministratrice nella società garantita rispetto a quella nella società fallita sia non rilevi ai fini della determinazionedel conflitto di interesse insito nell’operato dell’amministratore, e ciò in quanto “le aspettative di guadagno non si commisurano solo sull’investimento in capitale” ma sono senz’altro dipendenti anche (e soprattutto) dall’andamento della società nel suo complesso.

In secondo luogo, e per quanto concerne la mancata valutazione del fatto decisivo secondario relativo all’esistenza di assidui rapporti commerciali tra società beneficiaria della garanza e la società garante, si è osservato come la mera produzione di bonifici bancari posti in essere dalla prima a favore della seconda “non vale a provare l’effettiva esistenza degli stretti rapporti economici tra le società”, oltre al fatto che, anche così fosse, in ogni caso gli stessi non sarebbero idonei a dimostrare il vantaggio che la società fallita avrebbe tratto nel concedere tale garanzia, e pertanto non costituiscono un elemento sufficientemente forte da scardinare la ricostruzione della quaestio facti così come compiuta dal giudice del merito.

In conclusione, la sentenza in esame ha fatto chiarezza su alcune delle caratteristiche che connotano un contratto concluso in conflitto di interesse ai sensi dell’art. 2475-ter. In estrema sintesi, potranno essere ritenuti tali le fideiussioni che l’amministratore munito dei poteri di firma stipula con un’altra società nella quale è amministratore e che:

  1. non ricadano all’interno dell’oggetto sociale;
  2. non comportino alcun vantaggio economico;

In ordine a quest’ultimo punto non sarebbe poi sufficiente dimostrare la mera esistenza di rapporti di natura economica tra le società, ma è invece necessario evidenziare il beneficio in concreto che la società ha conseguito dalla stipulazione del predetto contratto.

Inoltre, non rileva sul punto la partecipazione dell’amministratore nelle rispettive società parti del contratto, in quanto le aspettative di guadagno che spingono l’amministratore ad agire in conflitto di interesse dipendono da una gamma ben più ampia di fattori e variabili.

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