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Giurisprudenza

Le illegittime prassi per l’erogazione dei mutui e la fattispecie di autoriciclaggio

2 Novembre 2015

Luca Benvenuto, Associate, Orrick, Herrington & Sutcliffe LLP

Cassazione Penale, Sez. II, 14 ottobre 2015, n. 41353

Di cosa si parla in questo articolo

La seconda sezione della Cassazione Penale ha emanato la sentenza n. 41353/2015, depositata il 14 ottobre, con la quale ha ribadito l’antigiuridicità della prassi, sovente seguita dagli istituti di credito italiani, volta a facilitare l’erogazione dei mutui ipotecari, anche a discapito della correttezza, completezza e veridicità delle informazioni acquisite. Antigiuridicità che, peraltro, può talvolta addirittura sfociare nella commissione del reato di c.d. “autoriciclaggio”.

1. La ricostruzione dei fatti di causa

La questione esaminata dalla Cassazione Penale attiene all’opponibilità alla confisca del credito ipotecario vantato da un istituto di credito e derivante da un mutuo fondiario, che era stata riconosciuta dalla Corte d’Appello di Torino in riforma del decreto emesso in primo grado dal tribunale competente.

Nello specifico, dagli atti di causa è emerso che una banca ha erogato un mutuo fondiario individuando, in maniera del tutto arbitraria e fittizia, il mutuatario nel coniuge che non risultava già intestatario di una abitazione, pur essendo quest’ultimo privo di redditi per la restituzione del mutuo. Nondimeno, nel corso dell’istruzione della pratica, la banca ha ovviato a tale circostanza mediante il compimento di ulteriori irregolarità, in particolare (i) indicando un prezzo dell’immobile differente da quello reale e (ii) riportando, quale reddito del mutuatario, quello del coniuge nei cui confronti, nei fatti, veniva contratto il mutuo. Quale ulteriore dimostrazione dello scambio di persona operato, il reddito del mutuatario veniva inserito tra virgolette. In aggiunta a quanto sopra il coniuge non mutuatario, oltre a “prestare” il proprio reddito ai fini della corretta istruzione della pratica, veniva altresì a garantire l’erogazione del mutuo mediante trasferimento di titoli idonei a fungere da provvista.

La finalità, piuttosto evidente, della fattispecie sopra descritta era quella di consentire al coniuge mutuatario di beneficiare delle agevolazioni fiscali riconosciute nell’ipotesi di acquisto della prima casa, sebbene a sobbarcarsi del peso del mutuo fosse, di fatto, l’altro coniuge.

A fronte di un contesto già prima facie piuttosto nebuloso e ricco di incongruenze, la Corte d’Appello, pur riconoscendo l’esistenza delle predette irregolarità, che venivano ricondotte nell’alveo di una generalizzata prassi di elusione fiscale, negava l’opponibilità alla procedura del credito ipotecario derivante dal richiamato contratto di mutuo, affermando che le circostanze dianzi richiamate non fossero idonee e sufficienti a contestare lo stato soggettivo di buona fede della banca.

2. La decisione

Posta dunque la situazione suindicata, tanto il coniuge non mutuatario quanto, soprattutto, il procuratore generale presso la Corte d’Appello hanno presentato ricorso, il primo asserendo l’esistenza di elementi idonei a determinare la proposizione di una questione di legittimità costituzionale circa la normativa vigente in materia di misure di prevenzione patrimoniale, il secondo rimarcando invece l’incompatibilità del principio di buona fede in una fattispecie caratterizzata da tali e tante irregolarità quale quella di cui ci si occupa in questa sede.

L’errore di diritto che la Suprema Corte ha rinvenuto nella motivazione della Corte d’Appello di Torino attiene alla verifica circa l’elemento di buona fede quale connotato essenziale dell’operato della banca erogante. Richiamando infatti alcuni precedenti di legittimità, la Cassazione ha evidenziato come la buona fede possa rinvenirsi in quelle situazioni nelle quali l’affidamento incolpevole sia ingenerato da una situazione “di oggettiva apparenza che rende scusabile l’eventuale ignoranza o difetto di diligenza”, risultando del tutto estranea a tale valutazione la circostanza che il soggetto garantito abbia o meno tratto vantaggio dall’attività delittuosa.

Ebbene, nel caso di specie l’incolpevolezza dell’affidamento non soltanto viene categoricamente esclusa dalle circostanze fattuali, che invero dimostrano una situazione caratterizzata da anomalie e carenze, anche di tipo procedurale, invero piuttosto grossolane ed evidenti; ma anche dalla stessa motivazione della Corte d’Appello di Torino la quale, seguendo un discutibile percorso logico-argomentativo, da un lato riconosce come l’intera vicenda rappresenti un maldestro tentativo di ampliare oltremodo l’ambito di applicazione delle agevolazioni fiscali collegate all’acquisto della prima casa e, dall’altro, ritiene non sufficientemente dimostrato che l’operato degli addetti della banca sia stato caratterizzato da colpa grave o voluta negligenza.

Sennonché, osservano correttamente i giudici di legittimità, proprio gli elementi evidenziati dalla Corte d’Appello sono, di per se soli, idonei a ritenere comprovata la mala fede della banca, la cattiva gestione delle pratiche ed una diffusa carenza a livello di controlli e procedure.

Appare infatti di tutta evidenza come la selezione del coniuge non intestatario di alcuna abitazione quale titolare del mutuo rappresenti una prassi ormai solita ed avallata dalle stesse banche, le quali non approfondiscono le proprie indagini sino a verificare la coerenza e la conformità delle richieste loro pervenute. Ciò che, tuttavia, rende il caso di specie particolarmente eclatante, sono le ulteriori circostante che inducono a ritenere come la pianificazione della manovra elusiva fosse pienamente conosciuta dalla banca: l’erogazione di un mutuo a favore di un soggetto privo di autonome fonti reddituali risulta infatti difficilmente giustificabile alla luce di qualsiasi procedura interna di credit scoring e affido consapevole. Ancor più laddove si consideri come, nel corso dell’istruttoria, al cliente mutuatario sia stato riconosciuto, compiendo una evidente inversione, il reddito del coniuge (peraltro indicato tra virgolette, con ciò ad evidenziare ulteriormente come i funzionari della banca fossero pienamente consapevoli circa l’impossibilità di ricondurre quel reddito all’effettivo mutuatario).

Il caso di specie risulta poi ulteriormente aggravato dalla provvista, fornita (evidentemente) anch’essa dal cliente non mutuatario, mediante un’operazione di trasferimento titoli a garanzia del mutuo.

Proprio tale operazione, sottolinea la Suprema Corte, rappresenta un classico elemento del reato di autoriciclaggio[1], che avrebbe dovuto indurre la banca a valutare ancor più attentamente la possibilità di erogare il finanziamento, addirittura dovendo riportare tale circostanza ai soggetti competenti per materia, onde verificare l’opportunità o la necessità di trasmettere una segnalazione di operazione sospetta all’Unità di Informazione Finanziaria[2].

3. Considerazioni

Nel caso di specie, la pronuncia della Cassazione appare pienamente condivisibile in quanto adottata in conformità con i fondamentali principi non soltanto giuridici ma anche di buon senso. L’esistenza di una prassi, senz’altro largamente diffusa, finalizzata a rientrare nell’ambito di applicazione di misure agevolative di natura fiscale non può infatti essere certo posta a fondamento di una pronuncia atta a legittimare tale comportamento ma neanche della scelta, da parte dell’istituto di credito, di erogare il finanziamento ignorando elementi di attenzione che appaiono visibili secondo la normale diligenza del buon padre di famiglia. Tanto più che, nel caso di specie, sarebbe stata sufficiente la semplice cointestazione del mutuo (con conseguente riduzione – ma non annullamento – del beneficio fiscale) per ridurre drasticamente il rischio di contestazione ed applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale.



[1] Si fa riferimento alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 648-ter.1 che sanziona “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

[2] Si rammenta infatti come, a norma dell’art. 41 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 l’obbligo di segnalazione discenda anche dal semplice sospetto (o addirittura dall’esistenza di ragionevoli motivi per sospettare) circa la commissione o il tentativo di commissione di un reato di riciclaggio, non essendo invece richiesta una certezza quanto alla commissione del delitto.

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