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Attualità

Le decisioni della Corte di Giustizia sui “casi danesi”: tra abuso del diritto e “beneficiario effettivo”

27 Febbraio 2019

Alban Zaimaj e Valentina Buzzi, Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

1. Sono state pubblicate ieri le attese sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) sui c.d. “casi danesi”, concernenti l’applicazione delle esenzioni previste dalla Direttiva “Madre-Figlia” (cause riunite C-116/16 e C-117/16) e dalla Direttiva “Interessi-Royalties” (cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16) (cfr. contenuti correlati).

Tali sentenze, da un lato, disattendono le conclusioni dell’AG Kokott e, dall’altro lato, segnano un ampliamento del concetto di abuso del diritto in ambito UE e un’interpretazione particolarmente rigorosa del requisito del “beneficiario effettivo”. Di grande rilievo sono inoltre le indicazioni fornite dalla Corte in merito alla concreta individuazione delle situazioni di abuso.

I casi esaminati riguardavano il ruolo di alcune holding intermedie – nonché il loro possibile accesso ai benefici previsti dalla Direttiva Interessi-Royalties (“Direttiva IR”) e dalla Direttiva “Madre-Figlia” (“Direttiva MF”) – partecipate da fondi di investimento e da società situati in stati extra UE, che possedevano partecipazioni in società operative danesi.

2. Sul concetto di “beneficiario effettivo”. I principali chiarimenti resi dalla CGUE in ordine al requisito di “beneficiario effettivo” nella Direttiva IR sono i seguenti:

  • il requisito del “beneficiario effettivo” deve essere verificato in chiave sostanziale e non solo formale. È tale quel soggetto che beneficia economicamente degli interessi percepiti e che ha il potere di disporne liberamente la destinazione;
  • ai fini dell’interpretazione del requisito del “beneficiario effettivo” contenuto nella Direttiva IR, rilevano anche i canoni ermeneutici rinvenibili nel commentario del Modello di Convenzione OCSE;
  • la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non sia il “beneficiario effettivo” non esclude necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dalla Direttiva IR. Gli interessi possono comunque beneficiare dell’esenzione se la società percettrice ne trasferisce l’importo a un “beneficiario effettivo” stabilito nell’Unione che integri tutti requisiti per l’esenzione indicati dalla Direttiva IR. Tale precisazione della CGUE sembra coerente con il para. 11 del commentario all’art. 11 del Modello OCSE[1].

La Corte omette invece di pronunciarsi sull’applicabilità del requisito del “beneficiario effettivo” con riguardo ai casi relativi alla Direttiva MF. Nelle sue conclusioni, l’AG era stata molto tranchant, rilevando l’inapplicabilità di tale requisito nel contesto della Direttiva MF.

3. Sul divieto di abuso del diritto. La CGUE osserva in primo luogo che il divieto di abuso del diritto è un principio generale, “immanente” nell’ordinamento comunitario. Tale principio è applicabile anche nel caso in cui non sia codificato espressamente nella normativa nazionale. Per effetto di tale principio, i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme del diritto dell’Unione e le tutele previste dal diritto dell’Unione non possono essere estese sino a ricomprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell’ambito di normali operazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione.

La Corte individua come pratiche abusive quelle “operazioni puramente formali o artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale [poste in essere]essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio”.

La verifica della sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva deve essere fatta sulla base del complesso dei fatti riguardanti ciascun caso. Tuttavia, la Corte, pur ribadendo che la sussistenza dell’abuso deve essere valutata caso per caso dai giudici di merito, fornisce un’elencazione di “indizi” da cui desumere l’esistenza di abuso. Una costruzione abusiva può, ad esempio, ravvisarsi dei seguenti elementi:

  • in un gruppo di società caratterizzato da una struttura puramente formale e che non riflette la realtà economica, nell’ambito del quale è collocata una “entità interposta” tra la società che eroga i dividendi (o gli interessi) e la società che ne è la beneficiaria;
  • gli interessi (o i dividendi) sono ritrasferiti, integralmente o quasi, entro un breve lasso di tempo, dalla società percettrice a una entità che non potrebbe beneficiare della Direttiva IR (ovvero della Direttiva MF);
  • la società interposta deve ritrasferire gli interessi a un soggetto terzo, con la conseguenza che essa realizza unicamente un utile imponibile insignificante;
  • la società interposta non svolge un’effettiva attività economica, che vada al di là della mera percezione di dividendi (o interessi) e del loro ritrasferimento ad altre entità del gruppo;
  • vi è una “finanziarizzazione” del gruppo, ossia la presenza di contratti intra-gruppo che regolano questi flussi finanziari tra le varie entità;
  • la società percettrice non risulta avere – non solo a causa di obblighi legali o contrattuali, ma anche solo di fatto – un effettivo potere di utilizzare i dividendi o gli interessi ricevuti.

L’accertamento di un’eventuale costruzione abusiva o fraudolenta giustifica l’inapplicabilità in toto dei benefici previsti dalle Direttive e delle liberta fondamentali garantite dal Trattato FUE.

Tuttavia, al di fuori dei casi di abuso, con riferimento alle modalità di prelievo e calcolo della ritenuta in uscita eventualmente prevista dal diritto nazionale, la Corte conferma i principi già affermati in Brisal[2]. In specie, è in contrasto con il diritto dell’Unione l’applicazione di una ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti a soggetti non residenti avente base imponibile pari all’ammontare degli interessi lordi, senza possibilità di dedurre gli oneri finanziari riferibili direttamente all’operazione di finanziamento, ove tale deduzione sia ammessa ai fini della determinazione del reddito imponibile da parte di una società residente che corrisponde interessi a un’altra società residente.

Quanto all’onere della prova, la Corte rileva che lo stesso grava sui contribuenti ai fini della dimostrazione dell’esistenza dei requisiti per fruire dell’esenzione, mentre grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare la sussistenza di una pratica abusiva. D’altra parte, rileva la Corte, quando l’amministrazione finanziaria nega l’applicabilità dell’esenzione a una società qualificata come interposta, essa non ha anche l’onere di identificare l’effettivo beneficiario dei pagamenti.

Nelle sentenze in commento, l’analisi relativa al concetto di abuso del diritto si sovrappone, per certi versi, a quella del “beneficiario effettivo.” Infatti, gli indizi forniti dalla Corte per individuare costruzioni abusive (i.e. società interposte, ritrasferimento di interessi e dividendi, limitato potere di disporre dei redditi, etc.) rievocano gli elementi che tipicamente sono oggetto di esame ai fini del requisito del “beneficiario effettivo”. Tale sovrapposizione porta la Corte a non pronunciarsi in merito all’applicabilità di tale requisito con riguardo ai casi relativi alla Direttiva MF, ritenendolo assorbito nel più ampio concetto di abuso del diritto.

4. Considerazioni finali. Le attese decisioni della Corte di Giustizia sui “casi danesi” avranno certamente scalfito il convincimento di quella parte della dottrina e degli operatori che avevano individuato nella Corte stessa il garante principale della legittimità delle attività di pianificazione fiscale attraverso le società holding[3].

Le sentenze sembrano segnare un parziale cambio di rotta della Corte relativamente alla possibilità per le società holding di beneficiare del diritto dell’Unione europea. Infatti, in alcune recenti pronunce la CGUE sembrava aver manifestato un orientamento più favorevole a tali soggetti, contrastando le normative nazionali che limitavano l’applicabilità della DMF nel caso di dividendi distribuiti a società holding controllate da soggetti extra-comunitari (cfr. ad esempio le sentenze Eqiom, causa C-6/16 e Deister/Juhler, cause C-504/16 e C-613/16). I “principi” enunciati nei casi danesi e gli indizi forniti dalla CGUE in merito alla individuazione di strutture abusive richiedono un’attenta riconsiderazione delle strutture partecipative che prevedono la presenza di società holding o subholding che, per effetto di circostanze legali o fattuali, presentino limitatissimi poteri decisori circa la destinazione dei flussi di reddito percepiti.



[1] A mente del quale, laddove permangano le altre condizioni richieste dalla Convenzione, la ritenuta ridotta ivi prevista continua a trovare applicazione anche quando viene interposto un soggetto (localizzato in uno Stato contraente ovvero in uno Stato terzo) tra il pagatore degli interessi ed il beneficiario effettivo, sempre a condizione che quest’ultimo sia residente in uno Stato con il quale il Paese della fonte abbia stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni.

[2] Sent. C-18/15, 13 luglio 2016, con la quale la CGUE ha sancito il principio della cd. “tassazione netta” anche per gli interessi intra-UE tassati mediante ritenuta alla fonte, cfr. in maggior dettaglio Arginelli P. – Zaimaj A., La CGUE sancisce il principio della cd. "tassazione netta” anche per gli interessi intra-UE corrisposti a soggetti non residenti, Riv. dir. trib., Suppl. online, 9 agosto 2016.

[3] V. B. Kuzniacki, The ECJ as a Protector of Tax Optimization via Holding Companies, Intertax, 47/3, p. 312, 2019.

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