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Giurisprudenza

Le controversie relative al compenso degli amministratori di società sono rimettibili agli arbitri

10 Novembre 2016

Francesca Gaveglio, Dottoranda di ricerca in Business and social law, Università Bocconi di Milano

Cassazione Civile, Sez. I, 11 febbraio 2016, n. 2759

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della compromettibilità in arbitri delle controversie relative al diritto al compenso degli amministratori di società.

La pronuncia si articola nei seguenti passaggi argomentativi.

1.- In primo luogo, la Suprema Corte ha preso posizione sulla questione della competenza del Tribunale delle Imprese, statuendo che le controversie relative al compenso degli amministratori rientrano tra quelle riguardanti i «rapporti societari», rimesse alla competenza Tribunale delle Imprese ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 168/2003.

In particolare la Corte di Cassazione, richiamando un suo recente precedente, ha affermato che l’ampio riferimento ai «rapporti societari» di cui alla predetta disposizione si presta a comprendere «tutte le controversie che vedano coinvolti la società e gli amministratori» (i.e. quelle relative al compenso degli amministratori), non potendosi distinguere trale controversie che riguardino l’agire degli amministratori nell’espletamento del rapporto organico ed i dirittiad essi spettanti in forza del rapporto contrattuale intercorrente con la società (cfr., in senso conforme, Cass., 9 luglio 2015, n. 14369 e Cass., 7 luglio 2016, n. 13956).

2.- La Suprema Corte si è poi soffermata sulla natura dell’attività prestata dall’amministratore di società, escludendo che il rapporto di immedesimazione organica che lega l’amministratore alla società sia riconducibile ad un rapporto di subordinazione o parasubordinazione (principio già più volte affermato dalla corte di legittimità cfr., ex multis, Cass., 12 settembre 2008, n. 23557, Cass., 13 novembre 2012, n. 19714 e Cass., 17 ottobre 2014, n. 22046).

Si osserva che, alla luce delle novità normative in tema di competenza del Tribunale delle Imprese (D.lgs. n. 168/2003) e in materia di arbitrato (art. 806 c.p.c. e D.lgs. n. 5/2003) risulta superata quella giurisprudenza che assoggettava le controversie attinenti al compenso degli amministratori al rito del lavoro e alle relative limitazioni alla compromettibilità in arbitri (Cass., SS.UU., 14 dicembre 1994, n. 10680).

3.- Gli ermellini hanno infine evidenziato che, in forza dell’art. 806, ultimo comma, c.p.c. (come novellato dal D.lgs. n. 40/2006) è venuto meno il divieto di rimessione in arbitri delle controversie, in quanto anche le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. sono compromettibili in arbitri nei casi previsti «dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro». Peraltro la legge stessa, all’art. 34, comma 4, D.lgs. n. 5/2003, stabilisce che gli atti costitutivi di società possono prevedere che la clausola compromissoria abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori ovvero nei loro confronti.

«Deve pertanto ritenersi che, in ogni caso, sia se qualificati come rapporti assimilabili a quelli di lavoro o di prestazione professionale, sia se qualificati come rapporti societari tout court, i rapporti fra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell’attività gestoria e ai diritti che ne derivano agli amministratori, danno luogo a controversie che possono essere decise dagli arbitri se tale possibilità è prevista dagli statuti societari».

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