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Attualità

La risposta della Corte Costituzionale alla questione dell’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto

31 Gennaio 2018

Avv. Vittorio Pisapia, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Corte Costituzionale, 30 gennaio 2018, n. 13 – Pres. Grossi, Rel. Prosperetti

Di cosa si parla in questo articolo

I. – Premessa.

A distanza di meno di due mesi dalla camera di consiglio del 6 dicembre 2017 è arrivata la risposta della Corte Costituzionale alla questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Appello di Milano con ordinanza 30 novembre-16 dicembre 2016.

I termini essenziali della questione si possono leggere nell’articolo pubblicato su questa Rivista lo scorso dicembre, al quale ci permettiamo di rinviare (“Impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto: prossima la decisione della Corte Costituzionale”; cfr. contenuti correlati).

Qui ricordiamo, in sintesi, che la Corte d’Appello aveva posto alla Consulta la seguente questione: se fosse costituzionalmente legittimo il principio, scaturito dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione del 9 maggio 2016, secondo cui i lodi rituali emessi in procedimenti arbitrali promossi dal 2 marzo 2006 (entrata in vigore del D. Lgs n. 40/2006 sulla riforma dell’arbitrato), ma sulla base di convenzioni arbitrali stipulate prima di tale data, sono impugnabili, nel silenzio della convenzione sul punto, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia[1].

In particolare, la questione derivava dalla seguente situazione legislativa e giurisprudenziale:

a) fino alla riforma dell’arbitrato del 2006 il lodo arbitrale rituale era impugnabile, oltre che per i motivi processuali di cui al vecchio testo dell’art. 829 c.p.c., anche per violazione di legge (sostanziale), salvo che la convenzione arbitrale non avesse disposto diversamente; pertanto, nel silenzio della convenzione, il lodo era sempre impugnabile per violazione di norme di diritto. Il che aveva l’effetto di rendere il lodo più facilmente impugnabile e quindi meno stabile (i motivi processuali di cui all’art. 829 c.p.c. sono, in concreto, più difficilmente proponibili e meno suscettibili di accoglimento). Pertanto, se, ad esempio, gli arbitri avessero errato nell’interpretazione e/o applicazione delle regole del codice civile in tema di interpretazione del negozio giuridico, il relativo vizio del lodo poteva essere fatto valere come motivo di impugnazione;

b) la riforma dell’arbitrato di cui al D. Lgs n. 40/2006 ha introdotto il principio opposto: il lodo è impugnabile per violazione delle regole di diritto solo se le parti, nella convenzione arbitrale, lo abbiano espressamente previsto (art. 829, c. 3, c.p.c., testo vigente);

c) la norma transitoria di cui all’art. 4 del D. Lgs n. 40/2006 stabilisce che questa regola si applica a tutti i procedimenti arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della riforma (2 marzo 2006), senza distinguere se la convenzione arbitrale sia stata stipulata prima o dopo l’entrata in vigore della legge[2];

d) quale sorte però per i lodi emessi in arbitrati promossi nel 2006 (dopo l’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato: 2 marzo 2006), ma sulla base di convenzioni arbitrali stipulate prima del 2 marzo 2006?

e) la questione ha diviso a lungo la giurisprudenza. In particolare, secondo la Corte d’Appello di Milano, i lodi emessi in arbitrati promossi a partire dal 2 marzo 2006 non erano impugnabili per errori di diritto (salva contraria previsione della convenzione arbitrale);

f) la Cassazione, a sezioni unite, nel maggio 2016, ha affermato il principio opposto: se la convenzione arbitrale nulla dispone in contrario, questi lodi sono a tutt’oggi impugnabili anche per errori di diritto;

g)tuttavia, nel dicembre del 2006, la Corte d’Appello di Milano, di diverso avviso rispetto alle Sezioni Unite, solleva in via incidentale la questione di legittimità sopra riportata; il giudizio a quo (promosso nel 2015) aveva per oggetto un lodo emesso in forza di una clausola compromissoria contenuta in un contratto quadro tra una banca e un cliente – stipulato in data 10 ottobre 2003 (e quindi prima dell’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato) – in relazione a una controversia in materia di contratti di swap. In forza della clausola arbitrale, il cliente aveva promosso un procedimento arbitrale nel quale aveva sollevato contestazioni in merito al perfezionamento di sei contratti di interest rate swap, stipulati in un’unica soluzione mediante la sottoscrizione di un contratto quadro. Il collegio arbitrale aveva respinto le domande e il lodo era stato poi impugnato dal cliente. Nel corso del giudizio sono poi intervenute le citate decisioni del 9 maggio 2016 delle Sezioni Unite.

II. – La risposta della Consulta.

In data 6 dicembre 2017 la Corte Costituzionale si è riunita in Camera di Consiglio e in data 30 gennaio 2018 ha emesso la sentenza, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Milano.

Gli argomenti sulla base dei quali la Consulta ha disatteso la questione erano già stati presi in considerazione dall’ordinanza di rimessione, la quale aveva, in via preventiva, cercato di confutarli.

In estrema sintesi, anche accogliendo le conclusioni dell’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Corte Costituzionale ha ragionato come segue:

a) la premessa da cui muovere è che il principio costituzionale di uguaglianza è violato solo se situazioni identiche sono disciplinate in modo ingiustificatamente diverso;

b) chi ha stipulato una convenzione arbitrale nella vigenza del vecchio testo dell’art. 829 c.p.c. (ossia prima della riforma dell’arbitrato) è in una situazione oggettivamente diversa rispetto a chi, invece, a stipulato una convenzione arbitrale dopo il 2 marzo 2006;

c) le due situazioni non possono essere considerate identiche nel caso, anche per convenzioni ante 2006 la domanda arbitrale sia proposta dopo l’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato; “così facendo si astrarrebbe la domanda dal suo contesto, trascurando il quadro normativo in cui la volontà delle parti si è formata e il ruolo che questa assume nell’arbitrato, come suo indefettibile fondamento”;

d) inoltre la regola introdotta dalla riforma dell’arbitrato e di cui alla nuova formulazione dell’art. 829, c. 3. c.p.c., ha natura sostanziale, e non processuale, con la conseguenza che non può trovare applicare il principio (processuale) tempus regit actum.

La Consulta ha ritenuto non fondata anche la presunta violazione dell’art. 41 Cost. La Corte d’Appello aveva, al riguardo, sostenuto che “la norma” scaturente dalle pronunce delle Sezioni Unite sarebbe stata “in contrasto con l’autonomia contrattuale delle parti e con l’art. 41 Costituzione” in quanto “la riforma del 2006” e la relativa “disciplina transitoria (…) hanno comportato una considerevole valorizzazione del ruolo dell’autonomia contrattuale, dando ai contraenti la possibilità di modificare il contenuto della clausola compromissoria e prevedere espressamente un regime d’impugnazione ad hoc”.

La Corte Costituzionale risponde che, “anche nel regime precedente alla riforma del 2006, l’autonomia negoziale si poneva come momento fondamentale della disciplina dell’arbitrato, in quanto la legge consentiva l’impugnazione del lodo, per violazione delle regole di diritto, salva diversa volontà delle parti”; pertanto “il mutamento di disciplina non può (…) essere considerato come fondato sulla scelta di attribuire un maggiore rilievo all’autonomia delle stesse parti, visto che essa era pienamente salvaguardata anche nel vigore della precedente normativa”. “Anzi” – aggiunge la Consulta – “l’interpretazione avanzata, a fronte del nuovo regime di impugnazione del lodo, dalle sezioni unite della Corte di cassazione tutel(a), proprio quell’autonomia delle parti che, invece, il giudice rimettente ritiene violata”.

È proprio quest’ultimo uno dei nodi centrali della decisione della Consulta: infatti, da un lato, chi ha stipulato una convenzione arbitrale prima della riforma dell’arbitrato senza nulla prevedere in tema di impugnabilità del lodo, ha fatto affidamento sulla possibilità di un’impugnativa più estesa del lodo (ossia anche per violazione di legge); affidamento che, ragionando solo in termini di data della proposizione della domanda arbitrale (prima o dopo l’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato) verrebbe ingiustificatamente deluso (per la mera circostanza – che potrebbe essere meramente contingente – che l’arbitrato sia stato promosso dopo il marzo 2006); dall’altro lato, l’argomento per cui i contraenti avrebbero la possibilità di modificare la convenzione arbitrale si presta all’obiezione, già sollevata dalle Sezioni Unite, per cui si tratterebbe di una soluzione pressoché irrealizzabileperché la conclusione della nuova disciplina richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti, anche di quelli eventualmente interessati al mantenimento del vincolo precedente”.

La decisione della Consulta deve quindi ritenersi corretta e certamente apprezzabile in particolare quanto all’applicazione del principio di uguaglianza che può ritenersi violato solo “quando alla diversità di disciplina corrispondono situazioni non assimilabili”.

Si segnala, infine, che la Corte d’Appello di Milano ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale in relazione a un altro, successivo, giudizio di impugnazione (ordinanza del 17 luglio 2017, pubblicata sulla G.U. del 22 novembre 2017 n. 47; allo stato, non risulta ancora fissata l’udienza).

 


[1] La Corte d’Appello di Milano aveva promosso giudizio in via incidentale di legittimità in relazione alle seguenti norme: “art. 829, comma 3, codice di procedura civile: «L’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge»; norma transitoria di cui al comma 4 dell’art.  27 del decreto legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»; entrambe come interpretate dal «diritto vivente» costituito dalle sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, numeri 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016”.

[2] Riportiamo qui di seguito, per comodità, il testo degli articoli: a) 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo); b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente); c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria):

a) art. 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo): “l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”;

b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente): “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico”;

c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria): “le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (2 marzo 2006). L’articolo del D. Lgs n. 40/2006 qui rilevante è il n. 24, che ha introdotto l’art. 829 c.p.c. nell’attuale formulazione.

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