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Attualità

Interposizione di manodopera e responsabilità solidale nei contratti di appalto

La recente modifica al D.Lgs. n. 276/2003

15 Marzo 2024

Federico Manfredi, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il nuovo regime di responsabilità solidale del committente con l’appaltatore (anche fittizio) in caso di interposizione di manodopera definito dalle recenti modifiche apportate dal Decreto Legge n. 19 del 2 marzo 2024 al comma 2 dell’art. 29 D. Lgs. n. 276/2003.


Chi ha la fortuna di occuparsi assiduamente di appalto servizi nel mondo del lavoro è ben consapevole della delicatezza del tessuto normativo presente nell’ordinamento. Delicatezza che è data dall’esigenza espressa dalla normativa di evitare quel fenomeno – invero comunque diffuso – dell’interposizione fittizia di manodopera e del lavoro c.d. “irregolare” più in generale. Trattasi, dunque, di normativa di protezione tesa a contrastare fenomeni di elusione e frode alla legge operata da quei datori che, al fine di evitare l’assunzione delle risorse impiegate. Trattasi del fenomeno dell’interposizione di manodopera, in cui l’appaltatore trasferisce molte delle proprie responsabilità all’utilizzatore, creando una separazione tra il titolare formale dei rapporti di lavoro e chi ne trae effettivo vantaggio.

“L’interposizione di manodopera” è da sempre stata considerata un rischio per i lavoratori e ha portato a diverse misure normative volte a contrastarla nel corso degli anni. Partendo dall’art. 2127 c.c., che vietava all’imprenditore di affidare ai propri dipendenti lavori a cottimo eseguiti da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti, passando per la L. 1269/1960 che introdusse un divieto più ampio sull’intermediazione e l’interposizione nelle prestazioni di lavoro, arrivando al “Pacchetto Treu” che nel 1997 introdusse il lavoro interinale e, da ultimo, il D. Lgs. 276/2003, noto come “Legge Biagi”, che istituì il contratto di somministrazione di lavoro.

Oggi, l’interposizione reale di manodopera è consentita solo nei limiti stabiliti da un valido contratto di somministrazione di lavoro. Al di fuori di tali limiti, si incorre in una “somministrazione irregolare”, soggetta a sanzioni. Questo evidenzia il passaggio da un monopolio dell’interposizione di manodopera a una regolamentazione più precisa, che differenzia chiaramente tra somministrazione di lavoro e appalto.

Pertanto, per poter parlare di appalto “genuino”, l’appaltatore è tenuto ad organizzare tutti i mezzi necessari per completare l’opera. Tuttavia, non può rinunciare al controllo diretto sul personale impiegato, dal momento che tale assenza di controllo trascina il rapporto verso la somministrazione di lavoro, nella quale, i lavoratori sono diretti e organizzati direttamente dall’impresa committente[1].

Ciò posto, nelle ipotesi in cui l’appalto sia privo dei suoi requisiti essenziali, sono poste dure responsabilità a carico del committente e dell’appaltatore e proprio per questo, una delle principali questioni legate all’appalto e al subappalto è rappresentata dal regime di responsabilità solidale che coinvolge i diversi soggetti della catena contrattuale.

La recente riforma apportata al II comma dell’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003, operata dal D.L. n. 19 del 2 marzo 2024, orientato all’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), si pone nel predetto solco di politica legislativa. Infatti, la modifica introduce specifiche disposizioni volte a contrastare il lavoro irregolare, specialmente nell’ambito degli appalti di opere e servizi.

Il quadro normativo genarle e la disciplina “ante riforma”

Come anticipato i riferimenti normativi da prendere in esame sono da rinvenirsi nella tutela codicistica prevista dall’art. 1676 c.c. e dalla disciplina contenuta nel II comma dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003.

La prima prevede la possibilità in capo ai lavoratori dipendenti dall’appaltatore di intentare un’azione legale contro il committente per ottenere il pagamento delle spettanze, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi hanno proposto la domanda.

Secondo il quadro normativo delineato ante-riforma nel decreto, la responsabilità solidale implica che, in caso di mancato pagamento da parte del datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore) nei confronti dei dipendenti, sarà tenuto a provvedervi colui che trae effettivo vantaggio dalla prestazione dei lavoratori impiegati nell’appalto (committente e/o subcommittente). Nello specifico, sarà responsabile solidalmente per il pagamento entro due anni dalla fine del contratto di: salari e contributi previdenziali dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto; quote del trattamento di fine rapporto (TFR); premi assicurativi dovuti dai lavoratori impiegati, limitatamente al periodo di esecuzione del contratto e, soprattutto, lo sarà in modo illimitato verso i dipendenti, indipendentemente dall’eventuale debito nei confronti dell’appaltatore.

Ciò posto, la norma in esame delinea un principio di tutela intrinseco all’ordinamento giuridico, rivolto ai casi di lavoro “indiretto”. Questa normativa ha creato diversi problemi relativamente alla sua applicabilità, arrivando a coinvolgere anche la Corte Costituzionale[2], con riguardo alla sua possibile estensione anche oltre le ipotesi normativamente previste e, nel caso di specie, al contratto di subfornitura, su cui non è presente un orientamento unitario. Da quanto edotto dalla Corte Costituzionale il Decreto in questione rappresenta un paradigma di salvaguardia dei lavoratori ed è considerato come un modello di tutela da applicare quando mancano specifiche disposizioni normative.

Sebbene la tutela risulti eccezionale rispetto alle regole generali sulla responsabilità civile, tale eccezionalità non sussiste più quando si applica a situazioni caratterizzate dalla dissociazione tra il soggetto titolare del rapporto di lavoro e chi effettivamente utilizza la prestazione lavorativa. In tali circostanze, diventa essenziale estendere la medesima protezione legale ai lavoratori “indiretti”, i quali operano in contesti in cui tale dissociazione è presente.

Un recente arresto giurisprudenziale ha ritenuto applicabile la tutela anche alle società con partecipazione pubblica, nonostante il divieto disposto dall’art. 1 con riguardo alle pubbliche amministrazioni. La Corte di Appello di Roma[3] ha giustificato questa decisione considerando il D.Lgs. n. 276/2003 come una tutela prioritaria rispetto al codice dei contratti pubblici, poiché mira a regolare la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, garantendo una maggiore protezione per i lavoratori.

Ciò posto, da un punto di vista pratico, l’articolo 29 a seguito della modifica apportata dall’entrata in vigore del D.L. 25/2017 ha cercato di ampliare la tutela nei confronti dei lavoratori dipendenti, semplificandola tramite l’eliminazione, da una parte, della facoltà riconosciuta ai contratti collettivi nazionali di limitare la responsabilità solidale individuando metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti; dall’altra, del necessario coinvolgimento processuale di tutti i soggetti impegnati nella filiera d’appalto e del beneficio del committente di chiedere la preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore/subappaltatore.

Pertanto, l’art. 29 prevede che il lavoratore impiegato nell’esecuzione di un appalto sotto l’appaltatore/subappaltatore può richiedere direttamente al committente il pagamento delle proprie spettanze. Successivamente, sarà compito del committente ottenere il rimborso dall’appaltatore o subappaltatore per quanto pagato al lavoratore. L’intervento di modifica normativa avvenuto nel 2017 era quindi mirato a proteggere maggiormente i lavoratori, semplificando il processo di recupero delle spettanze rispetto alla procedura precedente, che richiedeva che i lavoratori agissero prima contro il proprio datore di lavoro e solo in seguito contro il committente, nel caso di esito negativo.

Pertanto, emerge con chiarezza la ferma volontà del Legislatore di estendere ulteriormente la protezione nei confronti della categoria dei lavoratori “indiretti”, riconoscendo la responsabilità solidale non solo verso i soggetti menzionati precedentemente, ma anche verso gli appaltatori fittizi. Gli stessi si identificano in coloro che, senza autorizzazione, ricorrono alla somministrazione di prestatori di lavoro. Questo ampliamento della tutela evidenzia la determinazione del Legislatore nel garantire una maggiore protezione per i lavoratori che operano in contesti caratterizzati da interposizione di manodopera, assicurando che non solo i soggetti direttamente coinvolti nei rapporti di lavoro, ma anche coloro che sfruttano tale interposizione in modo illecito, siano soggetti a responsabilità solidale.

Nella prassi la somministrazione abusiva viene “camuffata” attraverso contratti fittizi di appalto, all’interno dei quali l’appaltatore fittizio si limita a mettere a disposizione i propri dipendenti per conto del committente fittizio o utilizzatore, senza esercitare il controllo organizzativo e direttivo, che invece spetta ai secondi.

In linea generale, alcuni degli elementi caratterizzanti di tale situazione si riconoscono nell’assenza di mezzi di produzione, di rischio imprenditoriale e di una struttura imprenditoriale effettiva da parte dell’appaltatore; nell’inserimento dei lavoratori del committente e dell’appaltatore nello stesso ciclo produttivo; e nella sottomissione gerarchica al committente. Più specificamente, se l’appaltatore guida i lavoratori senza organizzare autonomamente i mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto e senza assumere un rischio d’impresa effettivo, si configura un’interposizione illecita che costituisce un appalto illegittimo. Se l’appaltatore non guida nemmeno i lavoratori, siamo di fronte a una situazione di somministrazione irregolare.

Le innovazione del D.L. n. 19 del 2 marzo 2024

La modifica del II comma dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 ha implicazioni significative per queste figure che sono coinvolte nel processo di appalto ma che prima della riforma non erano chiamate a rispondere di questa responsabilità. Ora anche gli appaltatori fittizi devono corrispondere ai lavoratori retribuzioni, contributi previdenziali e premi assicurativi maturati durante l’esecuzione dell’appalto, esentando però tali soggetti da eventuali sanzioni civili, le quali sono di competenza esclusiva dell’autore dell’inadempimento.

La nuova disposizione prevista al comma V-bis dell’art. 18 D.Lgs. 276/2003 prevede un aggravamento delle sanzioni attese, estendendo la loro applicabilità anche ai casi di distacco fittizio. Invece della multa attuale di 50 euro per ogni lavoratore impiegato e per ogni giornata di lavoro, la sanzione è ora una pena detentiva fino a un mese o una multa di 60 euro per ogni lavoratore impiegato e per ogni giornata di lavoro.

Il seguente intervento normativo, quindi, testimonia come l’ordinamento continui a osservare con prudenza le pratiche di decentralizzazione produttiva e di intermediazione di manodopera.

Attualmente, l’interposizione è accettata solo all’interno di contratti di somministrazioni di lavoro regolari, ma rimane soggetta a severe sanzioni per eventuali abusi o violazioni delle norme.

Tuttavia, l’appalto “genuino” conserva la sua validità. Chiunque scelga di esternalizzare parti del proprio processo produttivo deve assumersi il “rischio sociale” associato a questa decisione. Ciò deve indurre i committenti a selezionare attentamente i propri appaltatori, a vantaggio sia dei lavoratori che del sistema nel suo complesso. Nonostante ciò, la responsabilità solidale adesso prevista dal D.Lgs. 276/2003 con questa ultima modifica appare particolarmente gravosa.

Diventa quindi sempre più fondamentale per le parti contrattuali coinvolte adottare precauzioni adeguate, in particolare, con riferimento ai committenti nella selezione degli appaltatori, per questi ultimi, nella stipula dei vari contratti di subappalto. Tali soluzioni possono spaziare dalla previsione di oneri di rendicontazione a carico dell’appaltatore, all’inserimento di clausole sospensiva del pagamento, penali e diritti alla trattenuta o sospensione dei pagamenti in caso di rivendicazioni da parte dei lavoratori dipendenti.

 

[1] Tribunale Roma sez. lav., 19 settembre 2023, n.7962; Tribunale Torino sez. III, 21 marzo 2023, n.1244; Cassazione civile sez. trib., 26 giugno 2020, n.12807.

[2] Corte Costituzionale, 6 dicembre 2017, n.254, riguardante la pronuncia di rigetto relativa alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 D.Lgs. 276/2003 sollevata con riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. per l’applicazione della tutela medesima anche nei confronti dei lavoratori dipendenti del subfornitore.

[3] Corte appello Roma sez. lav., 18 settembre 2023, n.3086.

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