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Giurisprudenza

Insinuazione al passivo di credito con scomputo della compensazione e di credito da revocatoria

25 Maggio 2018

Francesca Gaveglio, dottoranda di ricerca in diritto d’impresa presso l’Università Bocconi e avvocato presso Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Cassazione Civile, Sez. I, 10 gennaio 2018, n. 379 – Pres. Didone, Rel. Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha affrontato due questioni rilevanti.

In primo luogo, la Cassazione ha affermato che la struttura del giudizio di accertamento del passivo nell’ambito della procedura fallimentare è compatibile con l’esame della compensazione da parte dell’autorità giudiziaria, sia quando la compensazione è eccepita dal fallimento, sia quando è effettuata “in proprio” dal creditore, il quale si insinui al passivo per un importo inferiore all’intero credito vantato nei confronti della società fallita, scomputando le somme che intende trattenere in compensazione. In tale caso, la compensazione non è sottratta al sindacato del giudice, il quale potrà eventualmente escluderla.

Nel caso di specie il Tribunale aveva correttamente escluso che la banca ricorrente potesse trattenere in compensazione le somme riscosse, in forza di mandato all’incasso conferitole dal debitore, successivamente al deposito della domanda di concordato preventivo da parte del debitore stesso, poi fallito. Ciò in quanto tali pagamenti, inefficaci ex art. 168 l.f., sono inopponibili nei confronti del fallimento.

In secondo luogo, la Suprema Corte ha ribadito che l’accoglimento di una domanda di insinuazione al passivo di un credito comprensivo di un importo assoggettabile a revocatoria presuppone che la relativa azione revocatoria sia già stata accolta e che il creditore ricorrente abbia dimostrato di aver restituito l’importo oggetto di revocatoria, come previsto dall’art. 70, secondo comma, l.f.

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