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Editoriali

Inflazione e ius variandi bancario

12 Aprile 2023

Aldo Angelo Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo

[*] 1.- Nello scorso febbraio, la Banca d’Italia ha rilevato che «gli elevati livelli di inflazione raggiunti negli ultimi mesi stanno inducendo alcune banche ad aumentare il costo dei conti correnti dei clienti, proponendo loro modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali».

Fermata questa constatazione di fatto, nel medesimo Comunicato l’Autorità ha – in termini di «iniziativa di sensibilizzazione» – manifestato l’«invito» a «tutte le banche a valutare con estrema attenzione simili modifiche contrattuali a sfavore dei clienti, considerato che l’aumento dei tassi di interesse ufficiali avviato lo scorso luglio dalla Banca Centrale Europea può aver effetti positivi sulla redditività complessiva dei rapporti tra le banche e i loro clienti»[1].

2.- A me non pare che, almeno in linea di principio, una singola e generica circostanza – quale appunto è quella rappresentata dall’«inflazione» – possa essere considerata fattore in sé stesso idoneo a integrare gli estremi del «giustificato motivo» richiesto dall’art. 118 TUB. In realtà, una simile valutazione dipende dal complesso dei fattori presenti nel concreto della fattispecie tipo e in nessun modo può essere fatta in astratto. Nei fatti, la ragione addotta dall’intermediario a base della modifica delle condizioni contrattuali deve essere tale da giustificare oggettivamente – e sotto il profilo propriamente causale – quello specifico tipo di modifica: e non solo in sé stesso, ma pure in relazione alla misura in cui verrà praticata.

Sotto questo profilo, un generico richiamo all’«inflazione di questi ultimi mesi» (per esempio) a me pare non significhi propriamente nulla[2].

3.- Al riguardo, peraltro, possono venire a contare anche aspetti diversi da quelli appena indicati, del nesso causale e della proporzione tra ragione della modifica e qualità/quantità della stessa. Mi riferisco, in particolare, al comportamento tenuto in precedenza dall’intermediario. La coerenza sostanziale di questo comportamento a me pare sia, in proposito, un aspetto molto importante, quando non in sé dirimente.

È noto, così, che, negli ultimi anni, molte banche hanno aumentato il peso delle condizioni economiche praticate ai clienti adducendo il fatto di un’eccezionale caduta dei tassi[3]. Ora, rispetto a questo fatto bisognerebbe prima di ogni altra cosa chiedersi quale impatto concreto sul rendimento della singola impresa bancaria abbia effettivamente avuto la detta circostanza.

4.- Ma, a parte questo, qui interessa soprattutto svolgere la notazione che segue: sarebbe propriamente incongruo che oggi – a fronte del crescente aumento dei tassi che si sta verificando – queste stesse imprese venissero ad accrescere il peso delle condizioni economiche praticate sui clienti.

Un simile comportamento richiama propriamente il c.d. divieto del venire contra factum proprium. Lo stesso, soprattutto, non potrebbe non mostrare il carattere fittizio, se non del tutto posticcio, delle giustificazioni utilizzate dall’intermediario per coprire quella che, nella sostanza, altro non sarebbe, in concreto, che la decisione che si vuole svincolata da un qualunque tipo di controllo. E che, per contro, non solo non integra gli estremi richiesti dall’art. 118 TUB, ma può pure facilmente interessare anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

5.- Per la verità – non sembra inopportuno mettere a questo punto in forte evidenza – l’atteggiamento delle banche rispetto alla normativa dell’art. 118 non è mai stato, in sede di operatività, di apertura o comunque di serena applicazione della relativa disciplina. Il problema è, prima di ogni altra cosa, di cultura tecnica.

In realtà, le banche italiane replicano ancor oggi una prassi in cui resta dominante l’idea espressa dalla (tradizionalissima) clausola degli interessi «uso piazza» (e sue diverse varianti, più o meno «camuffate» che siano), per cui l’intermediario è abilitato a cambiare, secondo il proprio libito, i tassi e le altre condizioni economiche ogni volta che vuole e senza neanche avvertire preventivamente il cliente. L’idea permane nonostante – si badi – la giurisprudenza ordinaria abbia da almeno 20 anni definitivamente decretato là nullità di questo genere di clausole: una pratica davvero dura a morire, viene proprio da dire.

6.- Un altro aspetto che, in proposito (del fatto in sé dell’inflazione, non meno, per vero, che in generale), appare molto importante attiene ai contenuti che deve possedere la comunicazione che, secondo il testo dell’art. 118 TUB, la banca ha l’onere di inviare al cliente. Secondo gli orientamenti condivisi dell’ABF (che del tema si è occupato molto, mentre di solito il tema in questione mantiene, nel contesto dei contenziosi della giurisprudenza ordinaria, un ruolo sostanzialmente marginale), la comunicazione deve contenere una illustrazione della ragione del mutamento tale da mettere il cliente nelle condizioni di potere valutare la giustificatezza e congruità del cambiamento proposto. Sul punto vanno, mi pare, osservate essenzialmente due cose.

La prima, di per sé, appare affatto scontata: all’evidenza, tale necessaria specificità è la chiave di volta per potere effettivamente sindacare il merito della modifica proposta e, cioè, la reale, effettiva correttezza della medesima. E questo, però, tenendo ben presente che – secondo quanto puntualizzato dal citato Comunicato della Banca d’Italia e pure chiarito dalle decisioni del Collegi ABF[4] – il limite di modificabilità delle condizioni economiche è dato, in qualunque caso, «dalla necessità [in modo coerente espressa nella motivazione della comunicazione di modifica] di ripristinare l’equilibrio effettivo degli impegni originariamente assunti dall’intermediario e dal cliente»: il confine della legittimità della modifica restando segnato, dunque, dal ripristino del c.d. «equilibrio sinallagmatico» turbato da una (oggettiva) sopravvenienza.

L’altra, forse meno scontata nel suo risvolto effettuale, è che il linguaggio, che deve essere utilizzato nella comunicazione di proposta modifica, deve essere del tutto chiaro e comprensibile. Posto che quella della Banca è comunque una dichiarazione di natura contrattuale[5] si può ben ipotizzare, in effetti, che una comunicazione, che sia confusa o portatrice di più significati possibile – o comunque ambigua nell’espressione della motivazione posta a supporto della modifica -, risulti in sé stessa «inefficace», specie in ragione delle norme dell’art. 1370 c.c. e degli artt. 33 e 35 cod. consumo[6].

 

[*] L’art. 8, comma 4, del Codice deontologico dell’Organo decidente dell’ABF prescrive che, «nell’ambito di contributi scientifici o accademici in materie attinenti all’ufficio ricoperto, i componenti dei collegi chiariscono che le opinioni espresse hanno carattere personale e non rappresentano la posizione del Collegio». Per quanto possa occorrere, l’autore provvede al riguardo.

[1] Cfr. Dipartimento Tutela della clientela ed educazione finanziaria, «Modifiche unilaterali delle condizioni motivate dall’andamento dei tassi d’interesse e dell’inflazione», 15 febbraio 2023.

[2] Non mancano, in realtà, decisioni ABF (cfr., ad esempio, Collegio Napoli, n. 11953/2022) che – nell’elencare gli «accadimenti che possono rappresentare un giustificato motivo» ex art. 1189 TUB» – fanno, tra le altre cose, riferimento al fenomeno dell’«inflazione»: si tratta, peraltro, di un richiamo generico e del tutto astratto dalla concreta fattispecie tipo che viene sottoposta a riscontro.

[3] Riscontra il citato Comunicato: la «fase di normalizzazione della politica monetaria fa seguito a un lungo periodo di tassi di interesse straordinariamente bassi o negativi che avevano già spinto alcune banche ad azzerare la remunerazione dei depositi in conto corrente e ad aumentare gli oneri a carico dei clienti».

[4] La Vigilanza in proposito richiama le precedenti Comunicazioni del 13 ottobre 2014 e dell’11 aprile 2017. Per le decisioni ABF cfr., in particolare, Collegio di Coordinamento n. 18898/2016.

[5] La circostanza che – rispetto al potere consegnato dall’art. 118 TUB all’intermediario predisponente – il cliente si trovi in uno stato di soggezione (non potendo né controproporre, né semplicemente respingere la modifica che gli viene proposta) non esclude, evidentemente, né il carattere negoziale della «proposta di modifica» effettuata dall’intermediario, né il significato negoziale del mancato esercizio del recesso da parte del cliente.

Per il rilievo del carattere di «contratto modificativo delle condizioni di accesso» al servizio, e connotato da un peculiare meccanismo di consenso, della fattispecie prevista dall’art. 118 TUB v. il mio «Transazione di operazioni bancarie e normativa di trasparenza», in Riv. dir. banc., 2021, p. 566.

[6] La Comunicazione dell’11 aprile 2017 segnala che sono non trasparenti e corrette e impediscono al cliente di assumere scelte consapevoli», tra le altre, le «variazioni [che] fanno riferimento a più di una motivazione, senza illustrare chiaramente il legame esistente tra ciascuna di esse e gli interventi proposti». La Delibera del 28 marzo 2017 precisa, in proposito, che la soluzione della pluralità di motivazione è «comunque da circoscrivere a casi limitati in quanto incide dulla chiarezza della rappresentazione alla clientela».

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