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Editoriali

Ius variandi e rinnovi contrattuali nel diritto privato d’impresa. A proposito dell’«aumento» deciso da Amazon

2 Settembre 2022

Aldo Angelo Dolmetta

già Consigliere della Corte di Cassazione

1.- Sul finire dello scorso luglio, le notizie di stampa hanno dato particolare risalto alla decisione di Amazon di aumentare in misura sensibile (da € 36,00 a € 49,90, per l’abbonamento annuale; da € 3,99 a 4,99, per quello mensile) il costo del servizio Prime, con applicazione a far tempo dalla metà del settembre successivo.

Riproducendo in modo testuale i termini della comunicazione inviata dall’impresa ai propri abbonati, le notizie di stampa hanno anche riferito che quest’ultima ha dichiarato che la «modifica» è stata «realizzata sulla base e in conformità della clausola n. 5 delle condizioni generali» di contratto predisposte per il servizio – che fonda e disciplina il ius variandi dell’impresa contraente[1] – e che, nello specifico, l’incremento è stato determinato da un «aumento generale e sostanziale dei costi dovuti all’inflazione, che incide sui costi specifici del servizio Amazon Prime in Italia e si basano su circostanze esterne, fuori dal nostro controllo».

2.- Per quest’ultimo proposito, talune voci non hanno mancato di riscontrare che, tuttavia, nel momento attuale, l’inflazione in Italia sta registrando una crescita intorno all’8%, mentre l’aumento, che è stato stabilito dall’impresa, supera la soglia del 38%[2].

L’aumento deciso in via unilaterale dall’impresa non sembrerebbe, pertanto, particolarmente coerente – e/o proporzionato – alla causa giustificativa che pur le viene abbinata, quest’ultima venendo piuttosto a indicare, secondo quanto pare almeno, una ragione di mero stile.

Col che, naturalmente, potrebbe anche aprirsi il concreto sindacato da parte degli abbonati sulla legittimità e correttezza della «modifica» che è stata decisa dall’impresa. Nel sistema vigente, in effetti, l’esercizio del potere di modifica unilaterale dei contenuti contrattuali resta pur sempre subordinato alla presenza, in concreto, (se non altro) di un «giustificato motivo» e della stretta coerenza della modifica apportata col motivo addotto (la presente sede esime, per vero, da una ricognizione completa, e specifica, dei requisiti a cui resta agganciata la validità ed efficacia della modifica unilaterale dei contratti in corso; su un piano generale, si debbono almeno ricordare, peraltro, i principi desumibili dagli artt. 1355 e 1349 comma 1 c.c., nonché, per i contratti coi consumatori, l’art. 33 cod. consumo).

3.- Sennonché, a meglio guardare la fattispecie – a cercare, cioè, di andare un poco oltre la nuda «notizia», che è stata comunicata dall’impresa e poi divulgata dalla stampa –, si scopre che le cose potrebbe fors’anche essere un poco diverse da come a prima vista appaiono.

Se scatta da metà settembre, l’aumento dell’abbonamento, secondo quanto stabilito nella decisione dell’impresa, diventa operativo – con riferimento ai singoli, individui rapporti – solo alla scadenza dell’abbonamento che è attualmente in essere. La modifica sopravviene al tempo del rinnovo dell’abbonamento, dunque.

Le condizioni generali predisposte dall’impresa stabiliscono, d’altra parte, che, «salva una tua comunicazione prima del rinnovo dell’iscrizione con la quale dichiari di non voler rinnovare l’iscrizione Amazon Prime e fatto altresì salvo il caso in cui cancelli la tua iscrizione Amazon Prime tramite il tuo account Amazon, ci autorizzi ad addebitare automaticamente il costo dell’iscrizione periodica ad Amazon Prime in vigore mediante il metodo di pagamento selezionato …» (così la clausola 3.2.; l’enfasi è aggiunta). La modifica interviene, quindi, secondo condizioni predefinite e (pre)determinate per relationem.

4.- Insomma, «dietro» a un’operazione di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali correnti, frutto dell’esercizio di ius variandi imprenditoriale, potrebbe in realtà stare – in luogo, o forse a fianco (v. subito infra), di questa – un’operazione di «rinnovo» dei contratti già in essere.

Con la conseguenza, a seguire questa pista, che dovrebbe allora discorrersi della formazione di un nuovo accordo tra le parti: impresa predisponente, da un lato, e singolo abbonato, dall’altro. O meglio e con maggiore precisione, posto che il testo della clausola contrattuale appena riportato, fissa appunto una regola di «autorizzazione automatica»: nell’ipotesi in discorso sembrerebbe da individuare una fattispecie di c.d. rinnovo automatico, con l’espresso bisogno, pertanto, di manifestare il proprio dissenso allo scopo di evitare l’effettivo perfezionamento dell’accordo in oggetto.

5.- Per la verità, si potrebbe pure immaginare, forse, che nella specie il comportamento di Amazon, più che discendere da una svista o da un inciampo, integri gli estremi dell’atto di (spontanea) adesione a una disciplina che, in sé, le appare potenzialmente sfavorevole (magari nel convincimento della sufficienza della motivazione addotta, come pure nella serena accettazione di contraddittori sul punto). O anche ipotizzare che, in ogni caso, tale possa essere considerata sul fronte di un riscontro oggettivo: atteso, propriamente, il richiamo che – nell’annunciare la propria decisione agli abbonati – l’impresa fa all’art. 5 delle proprie condizioni generali di contratto (sopra, n. 1, secondo capoverso)

Comunque sia di ciò, e perciò prescindere dal coinvolgimento in fattispecie della clausola n. 5, viene spontaneo chiedersi se, posti i termini della dedotta fattispecie, davvero cambierebbe qualcosa – al livello della disciplina da applicare in concreto – a costruire l’operazione sulla cennata linea del rinnovo contrattuale, piuttosto che su quella dell’esercizio del ius variandi dell’impresa predisponente.

In effetti, a rispondere in senso positivo al quesito – cioè, a lasciare stazionare la fattispecie sul comune binario della conclusione di un nuovo contratto – il tutto sembrerebbe venire a dipendere, almeno a guardare la sostanza dei fatti, da un semplice gioco di formule verbali. Meglio, dalla «magia» delle parole prescelte: quali appunto formate dal lemma «rinnovo contrattuale automatico».

6.- Certo, a livello di nozione di base (e quindi istituzionale) un conto è il caso del rinnovo del contratto; un altro, quello della modifica dei termini contenutistici del medesimo a seguito di una modifica ex uno latere. In sé, la distinzione è netta e non discutibile.

Certo è pure, tuttavia, che il genere dei contratti modificativi («regolamentari»: art. 1321 c.c.) di negozi già in essere propone un contesto specificativo davvero assai ampio e articolato.

Così è, in specie, in relazione ai modi in cui viene a formarsi il consenso: un rinnovo automatico (salva manifestazione espressa di dissenso, cioè) è cosa assai diversa dall’accordo che si è convenuto debba avvenire avanti a notaio. Né la constatazione, che entrambe le ipotesi possono (presumibilmente) essere ricondotte nell’alveo del comma 4 dell’art. 1326 c.c., viene in qualche modo a ridurre la lontananza.

E così avviene pure per il contenuto, e, poi anche, per il peso delle modifiche che risultino introdotte. Per dire: tra il caso della moratoria inerente alla restituzione di un prestito e quello del prolungamento della durata di un rapporto di fornitura di servizi ordinari intuitivamente corre, a livello di «costruzione» della fattispecie, una forte differenza strutturale. Che la riconducibilità di entrambe al disposto dell’art. 1231 c.c. lascia del tutto inalterata. A contare in proposito è, piuttosto, l’importanza che l’intervenuta modifica abbia per le (distinte) economie dei singoli contraenti.

Se si scende dal livello di astrazione, che è proprio delle nozioni di base, emerge, quindi, che i rapporti tra modifica unilaterale di un contratto in essere e accordo rinnovativo di un rapporto, che è destinato a scadere, vengono ad aprirsi «a fisarmonica»: a seconda delle caratteristiche peculiari della tipologia di fattispecie che viene presa in considerazione.

7.- Le cose ancor più cambiano – così a me pare, almeno – quando si abbondoni proprio la schematica prospettiva del diritto privato comune, ovvero generale. Per inoltrarsi – secondo quanto, del resto, nella specie in esame si rende all’evidenza necessario – nella diversa, e più ricca, prospettiva del diritto privato d’impresa (organizzazione e azione della struttura produttiva, filiera, prodotto, mercato di riferimento, ecc.). Con specifico riferimento qui, com’è naturale, al tema del contratto contenitivo di un prodotto d’impresa (del resto, gli stessi esempi presentati nel numero precedente mutano colore quando visti al filtro del diritto d’impresa).

In effetti, assunta questa peculiare prospettiva, tra le tante ripartizioni acquisite anche quella – della conformazione temporale – tra contratti a tempo determinato e a tempo invece indeterminato si mostra «stretta» rispetto al fenomeno del reale, non adeguata a o rappresentarlo.

Il rinnovo del contratto di impresa – che in quanto tale sia contemplato già nel contesto del contratto originario – sembra possedere qualcosa di diverso dall’ordinario contratto che ha prefissato il suo termine finale di esecuzione. Pare far parte, per certi versi, di una categoria ad hoc, là dove tende a «perpetuare» il rapporto sul prodotto che è stato avviato col cliente.

Secondo quanto in modo ancor più marcato avviene, quando le condizioni da applicare al rinnovo vengano predisposte (o comunque portate a compiuta definizione) dall’impresa durante lo svolgimento del rapporto originario: e in tal modo acquisite, ovvero «assorbite», nella relazione che complessivamente viene a snodarsi tra questa e il cliente. Come condizioni contrattuali «allora per ora», viene proprio da dire: perché «allora per ora» è il meccanismo che porta la modifica del prodotto dentro il rapporto contrattuale.

8.- Ne segue allora, a svolgere un percorso di questo genere, che ius variandi e rinnovo automatico ben possono venire a manifestarsi, nel caso, come tecniche (distinte, ma) prossime per conseguire un non diverso risultato di fondo. Che è quello – per la verità, non propriamente concorrenziale – di tenere «stretto» il cliente al prodotto, pur nella manipolazione (con più o meno frequenti e intense variazioni) dei termini di quest’ultimo.

Il che non esclude, naturalmente, la sussistenza di diversità tra le due tecniche di conservazione del cliente al prodotto (pur nella «variabilità» di quest’ultimo): come, in specie, quella relativa alla definizione del dies a quo di entrata in effettiva applicazione della modifica del prodotto. Come pure non esclude – è altrettanto chiaro – la possibile presenza di varianti interne a queste due tecniche: quali, in particolare, relative ai modi e costi (nel caso, pure propriamente monetari) del possibile exit del cliente (nel caso di Amazon, ad esempio, la possibilità di recesso dall’abbonamento risulta comunque spalmata sulla intera durata del rapporto).

Si tratta, peraltro, di differenze di ordine secondario, a me pare, nel senso che non incidono (almeno in linea di principio) sulla sostanza della tecnica conservativa (del cliente al prodotto) adottata dall’impresa e dunque sulla prossimità tra quella basata sull’esercizio del ius variandi e quella focalizzata invece sull’idea del rinnovo prefabbricato. Con la conseguenza che, anche in questa seconda ipotesi, mi parrebbe applicabile la disciplina di protezione del cliente che vale, nel sistema vigente, per l’ipotesi di esercizio del ius variandi (sopra, nell’ultimo capoverso del n. 2): in punto di sussistenza del giustificato motivo di modifica (come ancora sussistente, va da sé, al tempo in cui la stessa diviene effettivamente operativa), come pure di congruità dei contenuti della modifica rispetto alla causa che si assume la giustifichi.

 

[1] La clausola dell’art. 5 «termini e Condizioni Amazon Prime» così dispone: «ci riserviamo il diritto di apportare modifiche alle presenti Condizioni generali o al servizio Amazon Prime, o a qualsiasi parte di esso per motivi di legge o di regolamento, per ragioni di sicurezza, per migliorare le funzioni esistenti o per aggiungere ulteriori funzioni al servizio, per seguire il progresso tecnologico, per implementare ragionevoli adeguamenti tecnici e per garantire la continuità del Servizio». Nel prosieguo, la clausola prosegue stabilisce che, «qualora dovessimo apportare delle modifiche, te lo comunicheremo nelle forme dovute e a tempo debito, ricordandoti i diritti che potrai esercitare. Potrai rifiutare tali modifiche e manterrai la tua possibilità di cancellare la tua iscrizione ad Amazon Prime in qualsiasi momento», nonché che «a prescindere da qualsiasi modifica alle presenti Condizioni Generali o al servizio Amazon Prime, eventuali aumenti del costo dell’iscrizione non saranno tuttavia applicati fino al costo della stessa. Qualora una qualsiasi modifica sia dichiarata invalida o per qualsiasi motivo inefficace, la validità e l’applicabilità delle rimanenti disposizioni non verrà pregiudicata».

[2] I dati sono riportati da Savelli, Amazon prime, l’aumento del 38%: 4 volte l’inflazione, la concorrenza travolta, in Corriere della sera, Economia, 26 luglio 2022. Si è anche detto (cfr. Cosimi, Amazon, l’abbonamento a Prime sale a 49,90 euro dal 15 settembre, in Repubblica, 26 luglio 2022) che in altri Paesi europei il colosso americano ha seguito la medesima strategia, peraltro con aumenti percentuali del costo del servizio non omogenei: Germania (+30%), Francia (+ 43%), Regno Unito (+20%), Spagna (+39%).

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