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Inadempimento nelle obbligazioni di pagamento secondo la legislazione legata all’emergenza COVID19. Prime applicazioni giurisprudenziali.

22 Aprile 2020

Filippo Pingue e Massimino Lo Conte, PLC Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

Le norme di cui alla decretazione d’urgenza per l’emergenza Covid19 hanno inciso notevolmente sulla responsabilità del debitore nelle obbligazioni pecuniarie.

La prima norma del legislatore dell’emergenza che si occupa delle obbligazioni negoziali la ritroviamo al comma 4 dell’art.10 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9 (in prosieguo “Comma 4, art.10”) , il quale recita: “Per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonchè dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove la decorrenza del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, il termine decorre dalla fine del medesimo periodo. Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonchè i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali.”.

Il primo punto di esame della disposizione sopra riportata riguarda l’ambito soggettivo di applicazione, ovvero, chi è il soggetto che, essendo tenuto ad un adempimento contrattuale (quale, fra l’altro, il pagamento di una somma di denaro), può avvalersi della sospensione.

La disposizione di cui al Comma 4 dell’art.10 individuava quali suoi destinatari, esclusivamente i soggetti collocati in uno dei comuni di cui “all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1°marzo 2020”.[1]

Tale richiamo è venuto meno con il DPCM 8.3.2020 il quale ha abrogato i DPCM precedenti e non ha integrato e/o sostituito l’elenco dei comuni, individuanti la “zona rossa”, di cui all’allegato 1 del DPCM 1.3.2020, ma ha individuato i territori destinatari delle misure di contenimento dell’emergenza Covid19 direttamente nel corpo dei suoi articoli[2].

L’abrogazione dell’allegato 1 del DPCM 1.3.2020 potrebbe far ritenere parimenti abrogata o, comunque, priva di effetto la disposizione Comma 4 art.10.

In realtà, il comma 18 del medesimo art.10 del D.L. 9/2020, quale “clausola di salvaguardia”, ha avuto modo di precisare: “In caso di aggiornamento dell’elenco dei comuni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, ovvero di individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento, le disposizioni del presente articolo si applicano con riferimento ai medesimi comuni dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del relativo provvedimento”.

La modifica della tecnica legislativa con il DPCM 8.3.2020 (ovvero, l’eliminazione e, comunque, il non aggiornamento dell’allegato contenente gli enti locali interessati, giustificati dall’estensione delle disposizioni emergenziali all’intero territorio nazionale) si sposa con la lettera del comma 18 del D.L.9/2020 che già prevedeva tale possibilità.

Del resto, il principio generale di conservazione degli atti, deve condurre all’attribuzione di un significato per il quale le norme abbiano un significato e mai perché non ne abbia alcuno. Infine, sostenere che il DPCM 8.3.2020, con l’eliminazione dell’allegato, abbia, implicitamente e indirettamente abrogato il Comma 4 dell’art.10, significherebbe sostenere che l’abrogazione sia avvenuta a opera di una fonte di rango inferiore, conclusione tecnicamente errata.

Quindi, il Comma 4 dell’art.10 relativo alla sospensione degli adempimenti nelle obbligazioni negoziali (per il limitato tempo ivi considerato 22.2.2020 – 31.3.2020) deve ritenersi esteso a tutto il territorio nazionale e determina una causa di esclusione ex lege della colpa del debitore.

Con le disposizioni successivamente emanate, il legislatore ha inteso rimettere al giudice la valutazione della colpa nell’adempimento delle obbligazioni.

La generale previsione di sospensione dei termini giuridici contenuta nel Comma 4 dell’art.10 è stata scissa e diversamente articolata dai successivi decreti:

  • il D.L. 11/2020 si è occupato della sospensione dei termini processuali (poi ulteriormente regolata dall’art.83 del D.L. 18/2020);
  • il D.L. 18/2020 si è occupato della responsabilità del debitore, ovvero, dell’incidenza della situazione emergenziale nella valutazione della condotta del debitore tenuto all’adempimento della sua obbligazione;
  • il D.L.23/2020 si è occupato della sospensione dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati (art.9), della sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito (art.11), della sospensione dei versamenti tributari e contributivi (art.18).

Ai fini del presente esame, l’interesse è rappresentato dall’art.91 del D.L. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) il quale, aggiungendo il comma 6 bis all’art. 3 del D.L. 6/2020 ha disposto che: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti”(“Comma 6 bis).

Il richiamo è al concetto giuridico di imputabilità della causa che non rende possibile l’esatto adempimento del debitore.

La valutazione circa l’esclusione dell’imputabilità dell’inadempimento si fonderà sugli effetti che l’attuazione delle misure di contenimento previsti dal D.L. 6/2020 hanno prodotto sul debitore persona fisica o giuridica.

Le suddette misure di contenimento sono in gran parte esemplificate nell’art.1 del citato D.L. 6/2020 mentre l’art.2 richiama anche qualunque altra misura di contenimento adottata dalle autorità competenti.

L’art.3 del D.L. 6/2020, infine, precisa che a dare attuazione alle misure di contenimento saranno i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai quali, quindi, dovremmo far riferimento per determinare il tempo, il luogo e gli effetti delle misure stesse.

Il Comma 6 bis, per configurare l’esclusione da responsabilità del debitore, utilizza la previsione codicistica dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Nella presente trattazione, come detto in principio, ci si occupa dei soggetti tenuti all’adempimento di obbligazioni pecuniarie che, nella gran parte dei negozi giuridici, presuppongono che l’altra o le altre parti abbiamo già eseguito la loro prestazione.

Tenuto conto del principio in virtù del quale, in tema obbligazioni di dare cose di genere non limitato – tra le quali rientrano, appunto, le obbligazioni pecuniarie – non potrà mai parlarsi di impossibilità sopravvenuta definitiva (o assoluta), in quanto il denaro non viene mai a mancare, faremo riferimento alla parte dell’art. 1256 c.c. che tratta dell’impossibilità temporanea, precisando che: “Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.”.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che l’impossibilità sopravvenuta che esonera il debitore da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (cfr., tra l’altro, Cass.6594/2012; Cass.15073/09, e Cass. 9645/04).

Le parole nel Comma 6 bis “…è sempre valutata…” evitano all’interprete l’indagine in ordine alla natura esterna ed al carattere imprevedibile della causa che ha dato luogo all’impossibilità per il debitore stesso di adempiere.

Ovvero, una volta che il debitore comprova che la sua attività o i suoi mezzi produttivi sono stati impattati negativamente dalle misure di contenimento dell’emergenza ai sensi del Comma 6 bis, e che l’impossibilità della prestazione è stata conseguenza diretta di tale impatto, dovrà dirsi comprovata ex lege l’esclusione della sua colpa.

Infatti, ai sensi del binomio normativo degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., il debitore è responsabile per l’inadempimento dell’obbligazione fino al limite estremo della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l’impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa. Versandosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa dell’inadempiente è presunta sino a prova contraria, e tale presunzione è destinata a cadere solo di fronte a risultanze, positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili.

Siamo in un caso differente dalla classica fattispecie dell’ordine o divieto dell’autorità amministrativa (“factum principis”) sopravvenuto. E invero, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., il debitore non verrà considerato inadempiente per “factum principis” solo se e in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sè considerata e quello soggettivo dell’assenza di colpa. Il debitore è, pertanto, tenuto a provare: i) che l’ordine dell’autorità è sopravvenuto all’assunzione dell’obbligazione, ii) che lo stesso non fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della stessa, e infine, iii) che, con riferimento all’ordine e/o atto dell’autorità, esso debitore abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità. Qui la norma – ossia il Comma 6 bis – ha già valutato (“…è sempre valutata…”) che quell’ordine e/o quel divieto non era per il debitore prevedibile e lo ha esentato, quindi, dall’onere di fornire la prova contraria di cui si è detto sopra.

L’effetto di cui al Comma 6 bis è quello di far superare al debitore la presunzione di legge in ordine al suo inadempimento.

Di conseguenza, coordinando fra loro la componente oggettiva (“rispetto delle misure di contenimento”) e quella soggettiva (prova da parte del debitore di essere stato interessato negativamente dalle misure di contenimento) che regolano la responsabilità per inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produrrà l’effetto dilatorio anzidetto.

In questi termini, v’è stata la prima applicazione giurisprudenziale della norma contenuta nel decreto “Cura Italia” che, con grande lungimiranza, ha anche fornito un criterio interpretativo per individuare il tempo entro cui il debitore può far valere tale effetto dilatorio a protezione della sua obbligazione e della sua esclusione dall’inadempimento. Nel caso che segue, il Tribunale di Napoli, decidendo sull’istanza di un debitore di differire le obbligazioni di pagamento assunte nell’ambito di una procedura da crisi da sovraindebitamento, ha posticipato il termine per l’adempimento al 1 ottobre 2020 affermando che “… l’art. 91 del Decreto Legge sopra richiamato recante disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento … può essere considerata norma di carattere generale per la interpretazione delle conseguenze dell’attuazione delle misure di contenimento del Coronavirus e quindi anche strumento nelle mani del giudice per valutare la presente istanza di differimento del termine da cui iniziare a far decorrere l’adempimento delle obbligazioni assunte con il piano del consumatore (del resto, come detto, l’istante è stato messo in cassa integrazione ai sensi e per gli effetti proprio del decreto legge “Cura Italia” e dal decreto appena citato emergono anche una serie di altre disposizioni che confermano la direzione interpretativa assunta come, ad esempio, le norme sulla proroga fino al 30 settembre 2020, dei contratti di finanziamento erogati nelle varie forme ai fini della loro stabilizzazione e del differimento della scadenza dei relativi crediti; la moratoria, sempre fino al 30 settembre 2020, delle rate in scadenza dei mutui, prestiti, leasing; inoltre con riferimento ai crediti erariali, e precisamente per carichi iscritti a ruolo, le norme che prevedono la sospensione dei pagamenti e la sospensione dell’attività di riscossione, ivi compresi gli atti esecutivi e cautelari).” (così Trib. Napoli, 3 aprile 2020, Giudice dott. Nicola Graziano, edita su www.ilcaso.it).

In un altro provvedimento, lo stesso Tribunale, sempre in tema di adempimento di un piano del consumatore, ha confermato che “…ogni dubbio sulla applicabilità dei principi generali sulla responsabilità del debitore per l’inadempimento o ritardo sembrerebbe risolto dall’art 91 d.l. 17 marzo 2020 nr 18…” (così Trib.Napoli, 16 aprile 2020, Giudice dott.ssa Livia De Gennaro, edita su www.ilcaso.it).

Non può trascurarsi, inoltre, che difficilmente, il debitore che abbia subìto gli effetti negativi delle misure di contenimento, alla scadenza delle stesse, potrà immediatamente adempiere alla propria obbligazione, ma avrà bisogno del tempo necessario per raggiungere sufficienti volumi di incassi. Di qui il maggior tempo cui fa riferimento lo stesso decreto “Cura Italia” relativamente ad altre specifiche obbligazioni (il termine del 30.9.2020 fissato per l’automatic stay dei contratti di finanziamento, per la moratoria delle rate di mutui e leasing, ed, allo stato, il termine del 30.5.2020 per i pagamenti verso l’ente nazionale deputato alla riscossione dei tributi) che fornisce un criterio che, ai sensi dell’art.1175 c.c., potremmo definire della correttezza per esigere nuovamente la prestazione.

Pertanto, il Comma 6 bis, unitamente agli artt. 1175 e 1375 c.c. (che, rispettivamente per le obbligazioni e i contratti, richiedono alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede) potrà essere alla base dell’eccezione del debitore per difendersi dalla domanda di risoluzione proposta dall’altra parte negoziale, in ipotesi di contratti continuativi o periodici. Se il Comma 6 bis esclude la colpa del debitore, parimenti, devono dirsi inesistenti le condizioni della risoluzione per colpa e/o per l’accertamento di una causa di risoluzione automatica fondata sul mancato pagamento.

Ovviamente, per quanto scontato, deve precisarsi che i debitori che non abbiano subito gli effetti negativi delle misure di contenimento del Coronavirus non potranno utilizzare la giustificazione di cui abbiamo discusso.

Non si ritiene di dover trattare dell’ipotesi di risoluzione per il mancato verificarsi del fatto costituente oggetto della presupposizione (ovvero, di quella determinata situazione di fatto o di diritto comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo che sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio). Laddove, infatti, l’evento presupposto venga meno[3], la giurisprudenza ha chiarito che le conseguenze si verificherebbero sul piano della risoluzione del negozio ai sensi dell’art. 1467 c.c.. Conseguentemente, non si tratterà di inadempimento del debitore bensì, più radicalmente, del difetto di efficacia ab origine delle singole obbligazioni.

Quale vademecum per il debitore nelle obbligazioni pecuniarie, si riportano di seguito le previsioni contenute nella decretazione collegata all’emergenza Covid19 che impediscono l’accertamento dell’inadempimento:

  • il comma 4 dell’art.10 del D.L. 9/2020, che ha sospeso in via generale, per il periodo che va dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020, i termini per qualunque adempimento contrattuale e, quindi, anche delle obbligazioni di pagamento;
  • il comma 6 bis dell’art.3 del D.L. 6/2020, che ha escluso ex lege la colpa del mancato pagamento da parte del debitore che ha subito negativamente una delle misure di contenimento del contagio da Coronavirus previste dallo stesso decreto legge;
  • l’art.56 del D.L. 18/2020 che, alla lettera c), ha introdotto per le micro, piccole e medie imprese, il diritto di ottenere, a determinate condizioni, la sospensione del pagamento delle rate o della sola quota capitale (continuando, quindi, a pagare solo gli interessi) dei mutui e dei canoni di leasing con scadenza fino al 30 settembre 2020;
  • l’art.9 del D.L. 23/2020, n. 23, che ha prorogato di sei mesi i termini di adempimento previsti nelle procedure di concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione omologati, la cui scadenza era fissata nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021;
  • l’art. 11 del D.L. 23/2020, n. 23, che ha sospeso, per il periodo che va dal 9 marzo 2020 al 30 aprile 2020, per i debitori ed i garanti, i termini di scadenza (ricadenti o decorrenti nel citato periodo) di vaglia cambiari, cambiali e altri titoli di credito;
  • l’art. 18 del D.L. 23/2020, n. 23, che ha sospeso per i mesi di aprile e maggio il versamento di alcune imposte.

Evidentemente non si potrà evitare che della disposizione contenuta nel Comma 6 bis non si abusi ed è per questo motivo che il legislatore ha posto nelle mani del giudice il compito di valutare, in caso di contrasto tra debitore e creditore, se le motivazioni addotte dal debitore a giustificazione del proprio inadempimento siano rilevanti o meno.

 


[1] Questo allegato, creato con il DPCM 23.2.2020, menzionava dieci comuni lombardi (Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini) e un comune veneto (Vò).

[2] Il riferimento contenuto nel DPCM 8.3.2020 era all’intera Lombardia e a quattordici provincie (Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia). Successivamente, il DPCM 9.3.2020 ha esteso le misura di contenimento all’intero territorio nazionale.

[3] L’art.1 del citato D.L. 6/2020, alla lettera c, ha imposto la sospensione di qualunque manifestazione. In questo scenario, l’ipotesi classica sarà quello della locazione di un balcone di una casa affacciata sulla piazza del Campo a Siena per il giorno del palio. In tal caso, l’incertezza sulla effettiva realizzazione dell’evento, in uno con le raccomandazioni emanate dalle autorità sanitarie di evitare comunque assembramento anche al termine del lockdown, fanno venir meno il presupposto essenziale e condizionante il contratto, consentendo al conduttore di chiedere lo scioglimento del contratto di locazione del balcone e la conseguente restituzione del prezzo pagato.

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