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Giurisprudenza

Frodi IVA e regime della prescrizione penale: prime applicazioni della giurisprudenza Taricco della Corte di Giustizia

22 Gennaio 2016

Stefano Maria Ronco, Avvocato in Torino

Cassazione Penale, Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 2210

Di cosa si parla in questo articolo

La sentenza in commento costituisce una delle prime applicazioni giurisprudenziali dei principi di diritto formulati dalla Corte di Giustizia con la sentenza Taricco[1] (cfr. contenuti correlati).

Con tale pronuncia, la Corte di Giustizia era stata chiamata dal Tribunale di Cuneo – a mezzo di domanda di pronuncia pregiudiziale – a valutare la compatibilità del regime della prescrizione penale applicabile in Italia ai reati commessi in materia di IVA con riferimento ad una pluralità di disposizioni dei Trattati[2].

La Corte di Giustizia aveva, a tale riguardo, statuito che la disciplina in materia di prescrizione del reato risultante dal combinato disposto degli artt. 160 e 161 c.p. con riferimento ai procedimenti riguardanti frodi gravi in ambito IVA “è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare”[3].

Risultato interpretativo che, quindi, veniva raggiunto – affermata la riconduzione della materia dell’IVA all’alveo degli interessi finanziari dell’Unione[4] – sul presupposto dell’inidoneità del regime italiano in tema di prescrizione a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nella misura in cui non permetterebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive nei confronti dei trasgressori.

Non si trattava, peraltro, dell’unica argomentazione formulata dalla Corte per giustificare la propria declaratoria di incompatibilità.

La Corte aveva, infatti, affermato altresì che una declaratoria di incompatibilità della normativa italiana in tema di prescrizione penale potesse essere giustificata anche sulla base dell’esistenza di regimi domestici, sempre in tema di prescrizione del reato, che, con riferimento a fattispecie in cui non sussistono interessi finanziari dell’Unione, prevedessero termini di prescrizione più lunghi rispetto a quelli enucleati con riferimento al campo delle frodi IVA.

La pronuncia della Cassazione accoglie l’impostazione della Corte di Giustizia, secondo cui gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire la piena rispondenza del diritto interno alle finalità ed allo spirito del diritto dell’Unione Europea, tutelandone i suoi interessi di natura finanziaria anche con riferimento al diritto sanzionatorio.

Una pronuncia, quindi, di particolare interesse che, consapevole delle difficoltà derivanti da una puntuale applicazione della giurisprudenza Taricco nell’ordinamento interno, cerca di disegnare un equilibrio tra esigenze di tutela degli interessi finanziari dell’Unione e di effettività delle misure sanzionatorie a presidio degli stessi e difesa dei principi garantistici espressi nell’ordinamento penale interno[5].

In primo luogo, la Cassazione – dopo aver statuito che “la Grande Sezione non pretende tout court la disapplicazione dei termini di prescrizione previsti dall’art. 157 cod. pen., che in quanto tali vengono giudicati del tutto compatibili con gli obblighi UE; né, ovviamente, la disapplicazione dell’art. 160 cod. pen. nella parte in cui disciplina in linea generale gli atti interruttivi e i loro effetti, disponendo in particolare che – dopo ogni atto interruttivo – la prescrizione comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell’interruzione” – afferma che a doversi ritenere disapplicata sarebbe solamente la disciplina che norma la durata massima dei termini di prescrizione – enucleata agli artt. 160, comma 3 e 161, comma 2, c.p. – che non dovrebbe più applicarsi in presenza di atti interruttivi[6].

Di conseguenza, la prescrizione dovrebbe decorrere di nuovo, per l’intero, ogni volta che si verifica un atto interruttivo, senza che possa più operare il combinato disposto degli artt. 160 e 161, c.p., nella parte in cui prevedono un termine massimo, di aumento pari ad un quarto del tempo prescrizionale ordinario, nel caso di atto interruttivo[7].

In secondo luogo, la Corte si premura di ribadire come “condizione di operatività dell’obbligo è, poi, che la frode (o eventualmente il reato in materia di IVA) di cui si controverte sia grave, così come quella oggetto del giudizio di rinvio, ove si controverteva dell’evasione di milioni di euro”.

Si tratta di puntualizzazioni apprezzabili, che vanno colte quale tentativo di perimetrazione e specificazione del campo di applicazione dei principi statuiti nella pronuncia Taricco.

Ciò posto, rimangono molteplici perplessità che non paiono risolte dalla pronuncia in esame. In questa sede si intende soffermarsi solo su alcune di queste, nella consapevolezza che un’analisi attenta della pronuncia della Cassazione richiederebbe un grado di approfondimento molto più ampio.

Per prima cosa, risulta difficile comprendere in quali ipotesi si debba ritenere ‘grave’ la condotta del contribuente.

Profilo, quest’ultimo, ancora più significativo in quanto, correttamente, la stessa Cassazione riconosce come il termine ‘frode’ venga usato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia con un significato non coincidente rispetto a quello che assume nelle fonti di diritto interno.

E’, infatti, la stessa Corte a evidenziare come “potrebbe ritenersi che l’obbligo enunciato nel dispositivo non concerna soltanto i procedimenti relativi alle frodi in materia di IVA, come quella di cui si discuteva nel giudizio di rinvio, ma teoricamente potrebbe estendersi a qualsiasi reato tributario che comporti, nel caso concreto, l’evasione in misura grave di tributi IVA (ad es. l’omessa dichiarazione ex art. 5 o l’omesso versamento del tributo ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000)”.

In secondo luogo, non convince l’affermazione secondo la quale “non vi sono sufficienti ragioni per sollevare una questione di legittimità costituzionale, dal momento che è evidente la mancanza di contro limiti e di dubbi ragionevoli sulla compatibilità degli effetti della imposta disapplicazione con le norme costituzionali italiane”.

Con riferimento a tale ultima questione, infatti, l’orientamento preso dalla pronuncia in commento non può ritenersi pacifico, atteso che la pronuncia della Corte di Giustizia è stato oggetto di plurimi interventi ed approfondimenti dottrinali e la stessa giurisprudenza di merito ha avuto modo di rilevare profili di perplessità di ordine costituzionale, i cui esiti appaiono oggi difficilmente ponderabili in tutte le loro potenziali ricadute[8].

In particolar modo, va qui dato conto che, a seguito del deposito della pronuncia Taricco, la Corte d’Appello di Milano, in data 18 settembre 2015 ha sollevato questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, in merito alla legittimità dell’art. 2, L. 2 agosto 2008, n. 130 di esecuzione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nella parte in cui impone di applicare la disposizione dell’art. 325, §§ 1 e 2, T.F.U.E., qualora – alla luce dei principi affermati nella sentenza Taricco – discendesse un obbligo di disapplicazione degli artt. 160, ult. co., e 161, co. 2, c.p., con riguardo alle ipotesi in cui dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato[9].

Tali considerazioni appaiono confermate qualora si tenga in conto che l’impostazione formulata dalla Cassazione nella pronuncia in analisi, secondo cui la disciplina della prescrizione avrebbe valenza meramente processuale e non sostanziale, costituisce dato non scontato.

Risulta, a tale riguardo, opportuno rilevare come sussista un orientamento consolidato della Corte costituzionale che ha statuito come il regime prescrizionale abbia portata sostanziale, rilevando l’inammissibilità di questioni di legittimità costituzionali tese a modificare il regime della prescrizione con effetti in malam partem nei confronti dell’imputato[10].

Più in generale, peraltro, la sentenza in commento lascia perplessi (almeno) per altre due ragioni.

Prima di tutto, in quanto – così come già la sentenza Taricco – pare ‘obliterare’ del tutto la cogenza del principio della durata ragionevole del processo, quale principio di espressione sia eurounitaria che costituzionale.

Se, infatti, non può negarsi l’importanza di contrastare ogni forma di evasione e frode che metta in pericolo gli interessi finanziari dell’Unione e degli Stati membri, va altresì ricordato che tale vis punitiva deve incontrare il limite della ragionevole durata del processo, quale espressione dell’esigenza garantistica volta ad impedire che l’imputato possa essere sottoposto a processo per una durata ‘a geometria variabile’ e tendenzialmente indefinita.

In secondo luogo, la sentenza in esame rappresenta una pronuncia significativa che manifesta di un processo di progressivo mutamento delle coordinate di fondo dei rapporti tra ordinamento interno e diritto dell’Unione.

In particolare, l’arresto in esame chiama in causa le questioni del bilanciamento tra tutele e diritti fondamentali del contribuente ed esigenze di carattere finanziario dell’Unione, ponendo gli operatori giuridici di fronte all’interrogativo circa i confini del principio di supremazia del diritto dell’Unione conferito dai Trattati e dal dettato della Carta costituzionale nei confronti del diritto nazionale nonché circa la funzione del giudice nazionale, chiamato a svolgere un delicato esercizio di bilanciamento tra diritti fondamentali ed interessi finanziari sempre più orientato a valutazioni improntate a discrezionalità, in chiave di politica del diritto anche in un ambito – quale quello punitivo – dove più forte è tradizionalmente sentita la necessità di limitare l’attività interpretativa degli organi giurisdizionali in ossequio al principio di legalità[11].

A tale riguardo, come condivisibilmente rilevato in dottrina “quand’anche si volesse sostenere che il regime normativo italiano in tema di interruzione della prescrizione di reato determini, a livello macro-sistemico, una possibile vanificazione delle politiche comunitarie in materia di equilibrio finanziario, ciò dovrebbe rappresentare l’occasione per una possibile riforma legislativa […] o, a tutto concedere, potrebbe condurre alla condanna dello Stato italiano innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo […] ovvero ancora all’avvio di una procedura di infrazione nei confronti del-lo Stato italiano; ma giammai ciò dovrebbe consentire di devolvere addirittura al singolo magistrato giudicante (in sede di possibile “disapplicazione” del diritto interno) la valutazione circa la più consona misura giuridica volta al perseguimento di siffatte finalità politico-generali”[12].

 


[1] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, procedimento C-105/14.

[2] Nello specifico, la vertenza in epigrafe traeva origine da un procedimento penale promosso nei confronti di una serie di soggetti cui erano ascritti plurime fattispecie di reato rilevanti sia ai sensi degli artt. 2 ed 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che ex art. 416 c.p. con riferimento a violazioni in materia di IVA.

[3] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, procedimento C-105/14, § 66.

[4] A tale riguardo, la Corte afferma come sussista “un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, procedimento C-105/14, § 38).

[5] In questo senso si veda, in particolare, L. EUSEBI, Nemmeno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea può erigere il giudice a legislatore. Note in merito alla sentenza Taricco, in Diritto penale contemporaneo, 2015, disponibile al seguente indirizzo http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1449671690EUSEBI_2015a.pdf.

[6] “A dover essere disapplicata, chiariscono i giudici eurounitari, è soltanto l’ultima proposizione dell’ultimo comma, successiva al punto e virgola, ove si dispone che l’ultima proposizione dell’ultimo comma, successiva al punto e virgola, ove si dispone che “in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale”.

[7] “In pratica, dunque, secondo la lettura successiva alla imposta disapplicazione, il termine ordinario di prescrizione ricomincerà da capo a decorrere dopo ogni atto interruttivo, anche al di fuori dei procedimenti attribuiti alla competenza della Procura distrettuale dove già vige questa regola, senza essere vincolato dai limiti massimi stabiliti dal successivo art. 161 cod. pen. in maniera differenziata per delinquenti primari o recidivi”.

[8] Si vedano, ex multis, F. VIGANÒ, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’, in Diritto penale contemporaneo, 2015, disponibile al seguente indirizzo http://www.penalecontemporaneo.it/area/2-/29-/-/4149-prescrizione_e_reati_lesivi_degli_interessi_finanziari_dell___ue__la_corte_d___appello_di_milano_sollecita_la_corte_costituzionale_ad_azionare_i____controlimiti__/; C. AMALFITANO, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di imposta sul valore aggiunto?, 2015, disponibile al seguente indirizzo www.sidi-isil.org,; G. CIVELLO, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia U.E.: contraria al Trattato la disciplina italiana  in tema di interruzione della prescrizione del reato, in Archivio penale, 3, 2015, pp. 2 segg.

[9] Si veda, a tale proposito, G. CIVELLO, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia U.E.: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di interruzione della prescrizione del reato, cit., § 4).

[10] Come rilevato da G. CIVELLO, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia U.E.: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di interruzione della prescrizione del reato, cit., § 4, “ciò contrasterebbe pacificamente con l’orientamento consolidato della Corte Costituzionale, secondo cui la prescrizione del reato rappresenta un istituto di carattere squisitamente sostanziale, tanto che le eventuali questioni di legittimità costituzionale tendenti ad ampliare, in malam partem, i termini di prescrizione sono state, sino ad oggi, dichiarate inammissibili dalla Consulta, proprio perché il loro eventuale accoglimento avrebbe comportato un aggravamento della responsabilità penale dell’imputato e, dunque, un’ingerenza della Corte Costituzionale in un dominio riservato esclusivamente al legislatore in forza dell’art. 25, co. 2, Cost. (cfr. Corte Cost., n. 324/2008; n. 394/2006; n. 317/2000 e n. 337/1999).

[11] Sempre a tale proposito, in particolare, L. EUSEBI, Nemmeno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea può erigere il giudice a legislatore. Note in merito alla sentenza Taricco, in Diritto penale contemporaneo, 2015, disponibile al seguente indirizzo http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1449671690EUSEBI_2015a.pdf.

[12] G. CIVELLO, La sentenza “Taricco” della Corte di Giustizia U.E.: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di interruzione della prescrizione del reato, cit., § 3.2.

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