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Giurisprudenza

“Diritto” agli utili e impugnazione della delibera di approvazione del bilancio per violazione dei canoni di chiarezza e precisione

18 Aprile 2016

Federico Urbani, Attorney Trainee presso Orrick, Herrington & Sutcliffe LLP

Cassazione Civile, Sez. I, 8 marzo 2016, n. 4522

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, ha recentemente ribadito alcuni fondamentali principi in materia di “diritto” dei soci agli utili e di impugnazione da parte di questi ultimi della delibera assembleare di approvazione del bilancio d’esercizio.

Quanto alla prima delle questioni affrontate dal giudice di legittimità, la pronuncia in esame ha ripreso un consolidato filone interpretativo, secondo cui i soci di società di capitali maturano un vero e proprio “diritto agli utili” solo in seguito a una decisione assembleare che disponga la distribuzione di tali utili generati dalla società (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 6 novembre 2014, n. 23676).

Prima di una valida delibera assembleare che assuma detta decisione, i soci hanno una mera aspettativa sulla distribuzione del risultato positivo d’esercizio, ben potendo l’assemblea deliberare la non distribuzione (in tutto o in parte) degli utili.

In merito alla seconda questione giuridica esaminata dalla Suprema Corte, la sentenza in esame ha analizzato l’effettiva portata dei canoni di chiarezza e precisione dettati dall’articolo 2423, comma 2 del Codice Civile, secondo cui “il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”. In particolare, è stato ribadito che la violazione dei citati canoni comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile.

La nullità della delibera può tuttavia essere rilevata solo nella misura in cui: (i) la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure (ii) in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. Ciò in quanto la norma è posta a tutela del generale diritto dei soci a ricevere un’adeguata informativa sull’andamento economico e patrimoniale dell’attività imprenditoriale svolta dalla società partecipata.

La Suprema Corte ha inoltre chiarito che, nel caso in cui la delibera di approvazione del bilancio sia dichiarata nulla, si rende necessaria l’elaborazione di un nuovo bilancio, idoneo a correggere i vizi contenuti nel precedente. A tale riguardo, la pronuncia in oggetto ha specificato che tale “correzione” deve conseguire esclusivamente al passaggio in giudicato della sentenza che abbia statuito la nullità della delibera assembleare, momento in cui sorge un obbligo in capo agli amministratori della società di apporre al bilancio contestato le “variazioni imposte dal comando giudiziale, e, quindi, di modificare conseguenzialmente i dati di partenza del bilancio successivo”.

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