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Approfondimenti

Credito cartolarizzato e recupero del credito: l’attività dei servicer

2 Aprile 2024

Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Simone Bertolotti, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Luca Sblendorio, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema dell’attività di recupero del credito svolta dai servicer nel contesto di operazioni di cartolarizzazione a fronte del recente orientamento della Cassazione n. 7243 del 18 marzo 2024 sulla legittimazione a svolgere tale attività da parte di società non iscritte nell’albo previsto dall’art. 106 del TUB.


L’oggetto dell’indagine

A partire dalla seconda metà dell’anno 2023 e con l’inizio del nuovo anno, i giudici di merito hanno emesso, soprattutto nell’ambito di procedure esecutive immobiliari avviate dalle SPV resesi acquirenti del credito a seguito di operazioni di cartolarizzazione, diversi provvedimenti che pongono l’accento sul difetto di legittimazione o rappresentanza ad agire in capo ai c.d. servicer delegati all’attività di recupero e riscossione dei crediti e non iscritti all’albo previsto dall’art. 106 TUB.

Si è quindi sviluppato un notevole dibattito rispetto all’interpretazione/applicazione – estremamente restrittiva – della norma contenuta nel comma 6 dell’art. 2 L. 130/99 resa da diversi tribunali che hanno, appunto, ritenuto inefficace la procura conferita dalle varie SPV nei confronti di società di recupero crediti non iscritte all’albo previste dall’art. 106 TUB.

Per fare chiarezza è stato sufficiente l’intervento della Suprema Corte che, con ordinanza resa dalla terza sezione civile (n. 7243 del 18 marzo 2024), ha sostanzialmente “smontato” tutte le considerazioni e le argomentazioni esplose nelle pronunce di merito che si sono susseguite sul tema affermando, in estrema sintesi, il principio in base al quale l’attività di riscossione/recupero dei crediti oggetto di cartolarizzazione in sede giudiziale può essere svolta anche da società non iscritte nell’albo previsto dall’art. 106 del TUB.

Naturalmente non si può escludere in radice una prosecuzione del dibattito alimentato da nuove e successive pronunce in contrasto con la recentissima ordinanza resa dalla Cassazione e, per questo motivo, pare opportuno esaminare il contenuto delle pronunce di merito che si sono susseguite.

Il tema giuridico

Ricordiamo brevemente che il comma 6 dell’art. 2 della Legge n. 130/1999 (Legge sulla cartolarizzazione) prevede espressamente che:

I servizi indicati nel comma 3, lettera c), possono essere svolti da banche o da intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Gli altri soggetti che intendono prestare i servizi indicati nel comma 3, lettera c), chiedono l’iscrizione nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, anche qualora non esercitino le attività elencate nel comma 1 del medesimo articolo purché possiedano i relativi requisiti”.

Al riguardo, si ricorda che i servizi previsti dalla lettera c) del comma 3 del citato articolo 2 sono costituiti essenzialmente e per quanto riguarda la questione sottoposta al vaglio dei Tribunali dalla riscossione dei crediti ceduti e dai servizi di cassa e di pagamento, da svolgersi attraverso l’avvio o la prosecuzione di azioni giudiziali di recupero in danno dei debitori.

Sulla base di tale previsione normativa, i Tribunali hanno sospeso le procedure esecutive avviate dal servicer che non fossero banche o intermediari finanziari ex art. 106 TUB.

Il tutto almeno sino all’emissione della recentissima pronuncia della Cassazione la quale ha sostanzialmente statuito, in merito all’eccezione di parte debitrice in merito alla mancata iscrizione all’albo ex art. 106 TUB dello special servicer che agiva per il recupero del credito vantato dal Veicolo rigettando tale eccezione. In particolare l’ordinanza ha rilevato “[…] Da un esame approfondito della normativa emerge che l’attività di recupero dei crediti cartolarizzati è riservata esclusivamente (ex art. 2 comma 6 legge n.130/1999) in via diretta ai soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 106 TUB […]

Tale eccezione è da inquadrarsi nel difetto di rappresentanza, che non è suscettibile di sanatoria e può essere rilevata di ufficio in ogni grado e stato del procedimento, per cui la detta società non può contraddire al presente ricorso per cassazione trattandosi di attività tesa al recupero del credito». Ad avviso della DEBITRICE , dunque, dal combinato disposto degli artt. 2, comma 6, della Legge 30 aprile 1999, n. 130, e 106 T.U.B. – secondo cui il servizio di riscossione dei crediti ceduti nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione può essere svolto da banche o da intermediari finanziari iscritti nell’albo degli intermediari finanziari – si evince che è nullo il conferimento dell’incarico di recupero (anche forzoso) dei crediti ad un soggetto diverso dai predetti e che tale invalidità, che affligge il mandato, si ripercuote sugli atti compiuti nell’esercizio dell’attività. La Suprema Corte, rilevando che tale eccezione, pur avendo trovato riscontro in alcune pronunce di merito, ha evidenziato che la stessa è destituita di fondamento. In proposito si osserva che, in relazione all’interesse tutelato, qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali»; il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.).
In particolare, ad avviso del Collegio, le succitate norme non hanno alcuna valenza civilistica, ma attengono alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d’Italia) e presidiati anche da norme penali. Conseguentemente, non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un’invalidità “derivata”. “In altri termini – anche richiamando le argomentazioni e statuizioni di Cass., Sez. U, Sentenza n. 33719 del 16/11/2022, in relazione ad altra speciosa questione (peraltro, agitata in questo giudizio proprio dalla DEBITRICE) – dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 T.U.B. del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriva alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici (titolo VIII, capo I, del T.U.B.). In conclusione, con specifico riferimento all’eccezione qui avanzata, ai fini della validità del controricorso non rileva che la SPECIAL SERVICER – rappresentante sostanziale di MASTER SERVICER, a sua volta mandataria della società veicolo SPV, cessionaria di credito bancario – sia iscritta (oppure no) nell’albo degli intermediari finanziari“.

I  provvedimenti di merito

I provvedimenti emessi negli scorsi mesi dai giudici di merito sono molteplici: Tribunale di Livorno, Dott.ssa Emilia Grassi,  ordinanza dell’11 novembre 2023; Tribunale di Livorno, Dott. Massimiliano Magliacci,  ordinanza del 18 dicembre 2023; Tribunale di Cosenza, Dott.ssa Francesca Familiari, provvedimento del 9 gennaio 2024; Tribunale di Arezzo, Dott.ssa Elisabetta Rodinò di Miglione, provvedimento del 24 gennaio 2024; Tribunale di Catanzaro, Dott. Luca Mercuri, provvedimento del 14 febbraio 2024; Tribunale di Busto Arstizio, Dott. Marco Lualdi, provvedimento del 16 febbraio 2024;Tribunale di Rimini, sentenza del 16 febbraio 2024; Tribunale di Cagliari, Dott.ssa Flaminia Ielo; Tribunale di Termini Imerese, Dott.ssa Giovanna De Bernardi, provvedimento del 10 novembre 2023 ;Tribunale di Civitavecchia, Dott. Francesco Vigorito, sentenza n. 1516/2023 del 27 dicembre 2023; Tribunale di Siena, Dott.ssa Clara Ciofetti,  provvedimento del 26 gennaio 2024; Tribunale di Monza, Dott.ssa Giulia Caliari, ordinanza del 13 novembre 2023; Tribunale di Milano, Dott.ssa Idamaria Chieffo, provvedimento del 22 febbraio 2024.

A mero titolo esemplificativo dell’orientamento creatosi si osserva come il Tribunale di Monza, Dott. Francesco Ambrosio, con ordinanza del 22 gennaio 2024, ha, con riguardo al tema dei requisiti richiesti al soggetto che procede con la riscossione dei crediti, affermato che:

  • le società veicolo devono essere unicamente iscritte all’elenco tenuto presso la Banca d’Italia e non all’Albo ex art. 106 TUB;
  • la riscossione dei crediti di cui sono titolari le SPV deve essere affidata a un servicer iscritto all’Albo ex art. 106 TUB;
  • il servicer nominato può, a sua volta, delegare la concreta attività di riscossione dei crediti ad un subservicer, anche non iscritto all’Albo, che opera sotto la sua responsabilità.

Quali sono le conseguenze derivanti dalla violazione di tali principi? Il fatto che sia stato delegato alla riscossione dei crediti un servicer non iscritto all’Albo dei 106 TUB può incidere sul processo esecutivo? Il Tribunale, partendo dall’assunto che l’art. 2, comma 6, della legge n. 130/1999 è norma imperativa ed ha come obiettivo quello di garantire che l’attività di riscossione dei crediti venga effettuata da soggetti dotati di determinati requisiti di professionalità, conclude nel senso che gli atti compiuti dal soggetto non iscritto all’Albo sono viziati da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., così come è viziato da nullità il contratto con la quale la società veicolo conferisce procura per la riscossione dei propri crediti ad una società non iscritta all’Albo dei 106 TUB. Quanto precede si riverbera sul potere di rappresentanza processuale della società veicolo, posto che tale rappresentanza può essere conferita solo ad un soggetto che abbia altresì la rappresentanza sostanziale. Di talché il giudice, rilevato il difetto di rappresentanza, dovrà assegnare alle parti un termine perentorio per la sanatoria secondo quanto previsto dall’art. 182 c.p.c.

Si segnala, in ogni caso, che dopo la pronuncia della Suprema Corte, anche i Tribunali di merito – nel dettaglio, il Tribunale di Arezzo nonché il Tribunale di Varese – hanno rigettato le eccezioni/contestazioni mosse dai debitori esecutati e, richiamando più o meno integralmente il disposto dell’ordinanza resa dalla Cassazione non hanno sospeso le relative procedure esecutive nell’ambito delle quali tali contestazioni erano state sollevate

Le  tematiche affrontate dalle pronunce rese e le fonti normative in considerazione.

Ferma restando la soluzione (oseremmo dire, definitiva) offerta dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 7243 del 18 marzo 2024 e subito ripresa dai diversi Tribunali di merito, il fil rouge che emerge dalla panoramica sopra svolta, con tutte le eccezioni che emergono dalle pronunce di merito sopra richiamate, è sostanzialmente il seguente: l’agenzia titolare della licenza ex art. 115 TULPS, che agisca per il recupero giudiziale del credito per conto di una società di cartolarizzazione, sarebbe priva di legittimazione processuale per contrarietà con il dettato della legge n. 130/1999, a mente del quale – come visto sopra – l’“attività di riscossione dei crediti ceduti” deve essere affidata ad una banca o a un intermediario finanziario iscritti all’Albo ex art. 106 TUB.

Due sono le fonti che sono state principalmente richiamate in tutti i provvedimenti resi:

  1. la legge n. 130/1999 sulle cartolarizzazioni, nel combinato disposto dell’art. 2, comma 3, lett. c) e comma 6, che stabilisce che la «riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento» può essere svolta da banche o da intermediari finanziari iscritti (o che si devono iscrivere) nell’albo ex art. 106 TUB;
  2. il R.D. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, c.d. TULPS), che all’art. 115, comma 6, stabilisce: «le attività di recupero stragiudiziale dei crediti per conto di terzi sono soggette alla licenza del Questore. A esse si applica il quarto comma del presente articolo e la licenza del questore abilita allo svolgimento delle attività di recupero senza limiti territoriali, osservate le prescrizioni di legge o di regolamento e quelle disposte dall’autorità.», dove l’attenzione cade sulla limitazione al recupero “stragiudiziale”.

In alcune delle pronunce sopra citate, la ricostruzione normativa posta in essere dai giudici al fine di addivenire alle relative decisioni fa riferimento al disposto di cui all’art. 106 TUB ed alla disciplina regolamentare di Banca d’Italia e, in particolare, alla Circolare n. 288 del 3 aprile 2015 e ad ulteriori note della medesima Autorità di Vigilanza, vale a dire la comunicazione dell’11 novembre 2021 e la nota di chiarimenti del 24 luglio 2023.

V’è, però, da osservare come, a ben vedere, tali disposizioni non possano essere considerate fonti normative rilevanti ai fini che qui interessano.

Infatti, l’art. 106 TUB si colloca quale limite normativo esterno al fine di individuare, dal punto di vista soggettivo, i soggetti legittimati ad effettuare le attività previste dall’art. 2, comma 3, lett. c), e, pertanto, non può costituire fonte primaria di riferimento per l’interpretazione dell’art. 2, comma 6, il quale costituisce, quindi, la sola disposizione normativa di riferimento per l’interprete.

Ciò vale, a maggior ragione, per le citate disposizioni regolamentari di Banca d’Italia, le quali non possono costituire valida normativa secondaria in relazione all’art. 2, comma 6, atteso che, da un lato, detto articolo non contempla alcuna delegazione legislativa sull’argomento in esame e, dall’altro, la Circolare n. 288/2015 introduce “Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari” ed è, quindi, estranea alla normativa in tema di cartolarizzazione, la quale, per quanto sopra visto, costituisce l’unico riferimento legislativo utilizzabile dall’interprete per l’applicazione della norma stessa.

Attività riservata e violazione di norma imperativa

Tutte le pronunce riportate condividono l’impostazione di fondo, vale a dire che la disposizione di cui all’art. 2, comma 6, Legge 130/1999 introduce nell’ordinamento un’attività riservata, rappresentata, nella specie, dai servizi previsti dalla lettera c) del comma 3 del medesimo articolo 2, con conseguente nullità della procura che sia stata conferita direttamente dalla società veicolo allo special servicer che non sia banca o soggetto iscritto all’albo previsto dall’art. 106 TUB.

Tale impostazione si basa su due presupposti che la quasi totalità della riportata giurisprudenza di merito dà sostanzialmente per scontati, vale a dire che, ai sensi del comma 6, l’attività di riscossione dei crediti ceduti (oltre ai servizi di cassa e di pagamento) costituisce un’attività riservata e che la circostanza che tale attività riservata venga posta in essere da soggetto non autorizzato è idonea ad integrare violazione di norma imperativa di legge, con conseguente nullità degli atti posti in essere sulla base di essa.

Nelle fattispecie in esame, il primo degli atti invalidi è rappresentato – come detto – dal conferimento da parte della società veicolo direttamente allo special servicer non iscritto all’albo di cui all’art. 106 TUB – in tali casi il procuratore è un soggetto in possesso unicamente della licenza ex art. 115 TULPS – di procura volta allo svolgimento dell’attività di riscossione dei crediti ceduti, ivi compresa la fase giudiziale di tale attività. Da ciò discenderebbe, nella prospettiva di cui sopra, la carenza di legittimazione attiva dello special servicer, con conseguente venir meno dell’attività dallo stesso effettuata in sede giudiziale inerente sia alla fase esecutiva sia a quella più propriamente contenziosa del recupero del credito, fatta salva la possibilità, riconosciuta da alcune delle pronunce, di ricorrere allo strumento processuale di integrazione dei poteri di rappresentanza previsto dall’art. 182 c.p.c.

In proposito, si rileva come le pronunce che si sono occupate funditus della questione siano rappresentate da Trib. Monza, 22 gennaio 2024 e Trib. Catanzaro 14 febbraio 2024, nelle quali – con argomentazione sostanzialmente sovrapponibile – i giudici affermano che l’art. 2, comma 6, costituisce una norma imperativa e che, di conseguenza, “la riscossione dei crediti di cui sono titolari le società veicolo configura pertanto un’attività “riservata” ai soli soggetti iscritti all’albo 106 t.u.b. (salva la facoltà di delega da parte di questi ultimi ai cd. subservicer, i quali operano sotto la loro responsabilità)”.

Inoltre, del tutto correttamente, il giudice brianzolo non si è limitato a tale considerazione ma, pur ritenendo sussistente un’attività riservata, si è posto il tema di “stabilire, in applicazione dell’art. 1418, comma 1, c.c., se il contratto stipulato in violazione di tale norma sia nullo ovvero se la nullità debba escludersi in quanto la legge “dispone altrimenti”.

Dopo aver valutato la ratio della normativa in esame, il Giudice del Trib. di Monza ha concluso per la nullità della procura conferita dalla società veicolo a società non iscritta all’albo di cui all’art. 106 TUB per violazione di norma imperativa ex art. 1418, I comma, c.c.

Le riportate affermazioni non paiono condivisibili così come, del resto, non le ha condivise la stessa Corte di Cassazione nella parte di pronuncia in cui evidenzia che “la tesi, infatti, ravvisa nelle citate disposizioni norme imperative inderogabili, in quanto poste a presidio di interessi pubblicistici, con la conseguente nullità, sotto il profilo civilistico, dei negozi intersoggettivi (cessione, mandato, ecc.) e degli atti di riscossione compiuti in loro violazione; − in proposito si osserva che, in relazione all’interesse tutelato, qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali»; il mero riferimento alla rilevanza; economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.); − in particolare, ad avviso del Collegio, le succitate norme non hanno alcuna valenza civilistica, ma attengono alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d’Italia) e presidiati anche da norme penali; − conseguentemente, non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un’invalidità “derivata””;

In verità, anche guardando alla recente Giurisprudenza della Suprema Corte si raggiunge il medesimo risultato, Infatti, esaminando la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 8472/2022, pure citata nella motivazione delle pronunce rese dal Tribunale di Monza e da quello di Catanzaro sopra menzionate), la quale, nell’escludere la nullità per violazione di norma imperativa (i.e. l’art. 155, comma 4, TUB) di una fideiussione rilasciata da un “confidi minore” nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, si è così espressa in motivazione : “ Una volta superato l’approccio del codice del 1865, che configurava la nullità del contratto come uno strumento che consentiva di disconoscere gli effetti del negozio quando la manifestazione di volontà e lo stesso volere negoziale fossero compromessi (o la fattispecie fosse dissonante rispetto allo schema legale tipico), il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività (cfr., da ultimo, Cass. n. 2316 del 2022 e n. 27120 del 2017, con riferimento al diritto alla salute e ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa).

Nella ricordata evoluzione giurisprudenziale si è intravisto in dottrina il segno del passaggio dal “dogma della fattispecie” al “dogma dell’interesse pubblico”, intendendosi con quest’ultima espressione segnalare, in termini critici, l’eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali.

In realtà, il rischio paventato può essere evitato se si considera che la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale”. (Cass. S.U. 15 marzo 2022, n. 8472, in motivazione).

Nel caso di specie, come visto, non pare che l’art. 2, comma 6, possegga i criteri individuati dalla riferita pronuncia di legittimità al fine di poter essere individuata quale norma imperativa idonea a determinare la nullità degli atti posti in essere in sua violazione, tra cui, per quanto qui di interesse, la procura conferita allo special servicer.

In tale prospettiva, pare assumere particolare significatività anche l’interpretazione teleologica della norma in esame e ciò proprio alla luce della ratio individuata dal Tribunale di Monza nella citata pronuncia: “La ratio di tale delimitazione soggettiva va rinvenuta nell’esigenza pubblicistica di tutela dei soggetti che hanno acquistato i titoli emessi dalla società veicolo: si intende garantire, infatti, che la riscossione dei crediti – da cui dipende la remuneratività dell’investimento effettuato – venga effettuata da soggetti dotati di determinati requisiti di professionalità (cit., in motivazione).

Ma se la ratio della disposizione in esame è quella sopra individuata, peraltro in modo del tutto condivisibile ad avviso di chi scrive, sfugge come la nullità della procura de qua e, quindi, degli atti posti in essere dallo special servicer per il recupero del credito della società veicolo possa rappresentare una valida tutela per gli interessi dei soggetti che il Tribunale di Monza ha individuato come protetti dalla normativa in esame.

Proprio in tale ottica pare potersi fare ricorso ad altra pronuncia delle Sezioni Unite di poco successiva a quella sopra citata e peraltro direttamente richiamata nell’ordinanza n. 7243 del 18.3.2024, che, recependone i principi, ha escluso che il superamento in un contratto di mutuo fondiario del limite previsto dall’art. 38 TUB e della normativa secondaria dettata dal CICR potesse configurare nullità del finanziamento sulla base anche della seguente motivazione:

“Pur ipotizzando in astratto la natura imperativa della disposizione di cui all’art. 38, comma 2, t.u.b., per escludere la nullità del contratto per eccedenza dell’importo mutuato è risolutivo l’argomento secondo cui non ogni violazione di norma imperativa può dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare.

Se la fissazione del limite di finanziabilità è stata dal legislatore demandata all’autorità di vigilanza sul sistema bancario è proprio perché quel limite attiene alla “vigilanza prudenziale” (cfr. art. 51 ss. e art. 53 t.u.b.) sul contenimento dei rischi nella concessione del credito che, individuando l’interesse tutelato, finirebbe per essere leso qualora si propendesse per la nullità (e il travolgimento) del contratto: “far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria) condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere” (cfr. ordinanza interlocutoria). “Senza trascurare, poi – come ancora correttamente rilevato nella stessa ordinanza – l’esistenza di un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario che, per il sol fatto di aver ricevuto dall’istituto una somma superiore a quella consentita dal c.d. scarto di garanzia, realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall’ipoteca; con effetti che ben potrebbero definirsi paradossali nel caso di esecuzione individuale promossa dall’istituto di credito mutuante (atteso che la nullità darebbe luogo all’estinzione della procedura, per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo), e che appaiono connotati da anomalie anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, in cui l’interesse dei creditori al rispetto della par condicio, anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria (ossia con il rimedio tipico previsto per il contratto in danno dei creditori), verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell’intero contratto derivante unicamente dall’illegittima costituzione della garanzia fondiaria” (Cass. S.U. 16 novembre 2022, n. 33719, in motivazione).

Si tratta, in tutta evidenza, di principi chiaramente applicabili anche alla fattispecie qui esaminata, atteso che, diversamente opinando, la nullità conseguente alla violazione della ritenuta norma imperativa determinerebbe risultati del tutto antitetici a quelli perseguiti dalla ratio della norma stessa.

Conclusioni e prospettive de iure condendo

Alla luce di quanto sinora esposto, pare che l’orientamento della giurisprudenza di merito in esame, i cui effetti pratici sembrano comunque potersi considerare fortemente smorzati dalla necessaria applicazione della sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c. (anche in sede esecutiva) nonché dall’orientamento recentemente espresso dalla Cassazione, debba/possa quantomeno essere rimeditato posto che, come visto, esso porta a risultati del tutto opposti a quelli che la ratio della normativa, per come enucleata proprio dalla stesse pronunce qui analizzate, intende tutelare.

Peraltro, non si può non considerare che le pronunce in commento sono state rese tutte in concomitanza con la fase di recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva europea n. 2021/2167 (c.d. Secondary Market Directive), con la quale l’Unione Europea si prefigge l’obiettivo di armonizzare le regole applicabili alla cessione dei crediti deteriorati, incoraggiando lo sviluppo dei mercati secondari all’interno dell’Unione Europea e irrobustendo i presidi posti a tutela dei debitori ceduti

Del resto, tale direttiva doveva essere recepita entro la data del 29 dicembre 2023, ma allo stato è ancora in discussione in Parlamento, fermo restando che, proprio negli ultimi giorni, il Dipartimento del Tesoro ha comunicato l’avvio della fase di consultazione pubblica sullo schema di decreto legislativo di recepimento della medesima direttiva e ha pubblicato lo schema con cui potrebbe essere appunto adottata nel nostro ordinamento la normativa comunitaria.

Nel testo proposto dal Ministero del Tesoro, possiamo subito rilevare che la proposta di recepimento prevede l’innesto della direttiva direttamente nell’ambito del Testo Unico Bancario con la creazione, all’interno del Titolo V (“Soggetti operanti nel settore finanziario”) del Capo I (“Concessione di finanziamenti e soggetti operanti nel settore finanziario”), che prevede lievi modifiche agli articoli 112 e 114, nonché del Capo II (“Acquisto e gestione di crediti in sofferenza e gestori di crediti in sofferenza”), che introduce gli articoli dal 114.1 al 114.14, attraverso i quali viene, appunto, radicalmente rinnovata la disciplina dell’acquisto e della gestione dei crediti in sofferenza intesi come “i crediti concessi da banche e altri soggetti abilitati alla concessione di finanziamenti e classificati in sofferenza secondo le disposizioni attuative della Banca d’Italia” (sic art. 114.1, comma 1, lett. A).

Ora, senza entrare nel dettaglio di quanto attualmente previsto dalla proposta di modifica del TUB in aderenza a quanto previsto dalla direttiva europea, rileviamo altresì che l’art. 114.2 – nel testo ancora in consultazione – stabilisce al comma 2 che “Fermo restando quanto previsto dall’art. 114.10 (“Informativa ai debitori ceduti”), le disposizioni del presente Capo non si applicano alla gestione dei crediti in sofferenza effettuata nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione ai sensi della legge 30 aprile 1999 n. 130 quando l’acquirente di crediti in sofferenza è una società veicolo per la cartolarizzazione di cui all’art. 2 punto 2 del regolamento (UE) 2017/2402”.

In altre parole, con il recepimento della direttiva 2021/2167, gli attuali gestori di crediti in sofferenza (quantomeno per quelli non oggetto di operazioni di cartolarizzazione) saranno chiamati, ove non ancora abilitati, a superare le attuali prassi e consuetudini operative e dovranno munirsi dell’adeguata autorizzazione (ovvero della adeguata legittimazione processuale) per poter continuare a svolgere le attività di recupero crediti sia in fase stragiudiziale sia in fase giudiziale.

Naturalmente, lo scenario che si va delineando è tutto ancora molto incerto e frutto, appunto, di interventi – sia legislativi sia giurisprudenziali – ancora in itinere che vedranno una certa evoluzione nel futuro prossimo ancorché il recente intervento della Cassazione sembra poter segnare la sostanziale chiusura alle diverse interpretazioni rese dai Tribunali sul punto, definendo una questione che aveva agitato non poco il mondo dei servicer nell’ambito delle attività di riscossione e recupero dei crediti cartolarizzati.

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Il contributo analizza il tema dell'attività di recupero del credito svolta dai servicer nel contesto di operazioni di cartolarizzazione a fronte del recente orientamento della Cassazione n. 7243 del 18 marzo 2024.
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