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Giurisprudenza

Bancarotta: determinazione delle pene accessorie

27 Agosto 2021

Enrico Pezzi, assegnista di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Trento

Cassazione Penale, Sez. V, 30 aprile 2021, n. 24588 – Pres. Pezzullo, Rel. Riccardi

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Con la pronuncia in commento la Cassazione pone un ulteriore tassello alla giurisprudenza in tema di rideterminazione delle pene accessorie del reato di bancarotta, statuendo i seguenti principi di diritto:

in tema di pene accessorie fallimentari […], la durata deve essere determinata […], valorizzando i criteri fattuali sanciti dall’art. 133 c.p. che si rivelino, nella fattispecie concreta, maggiormente pertinenti all’esercizio della discrezionalità riconosciuta dall’art. 132 c.p., con una valutazione calibrata sulla specificità delle pene accessorie fallimentari, avendo riguardo, sotto il profilo della gravità del reato, a: 1) le modalità dei fatti (ad es., commissione di fatti di bancarotta patrimoniale, mediante complesse operazioni infragruppo, o fittizi svuotamenti societari, o articolate operazioni di frodi fiscali); 2) la gravità del danno o del pericolo cagionato (entità del depauperamento, numero dei creditori coinvolti, ecc.); 3) Intensità del dolo, anch’essa desumibile dalle modalità dei fatti, e dalla insidiosità delle condotte; e, sotto il profilo della capacità a delinquere del colpevole, soprattutto con riferimento alla funzione di estromissione dalle attività economiche che hanno consentito la commissione di reati di bancarotta, al criterio dei precedenti penali e giudiziari, che, nell’ottica di una individualizzazione del trattamento sanzionatorio accessorio, diretto ad interdire comportamenti economici pericolosi, deve essere valutato in quanto espressivo di una capacità a delinquere ‘specifica, attinente allo svolgimento di attività economiche ed imprenditoriali, e, dunque, alla funzione interdittiva coessenziale alle pene accessorie fallimentari;

– ove la durata delle pene accessorie fallimentari sia determinata in misura superiore alla media edittale, è necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’art. 133 c.p., tenendo conto della funzione special-preventiva della pena, con un onere motivazionale maggiore, nel caso di significativa divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo fra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie, fissate nel massimo”.

Tale decisione si pone come conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale, per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, dell’art. 216, u.c. L. Fall., nella parte in cui prevedeva l’applicazione delle pene accessorie in misura fissa, pari a dieci anni, invece che “fino a dieci anni” (C. Cost., 25 settembre 2018, n. 222, con nota di Bartoli, Dalle “rime obbligate” alla discrezionalità: consacrata la svolta, in Giur. cost., 6/2018, 2566). Successivamente, le Sezioni Unite hanno stabilito che, per la determinazione delle suddette pene, come risultanti dopo l’intervento della Consulta, fosse necessario rifarsi ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sconfessando quell’orientamento che riteneva al contrario applicabile l’art. 37 c.p., che imporrebbe la determinazione della pena accessoria per una durata pari a quella della pena principale (Sez. Un., 28 febbraio 2019, n. 28910, con nota di Finocchiaro, Le sezioni unite sulla determinazione delle pene accessorie a seguito dell’intervento della Corte costituzionale in materia di bancarotta fraudolenta, in DPC, 15 luglio 2019 già massimata in questa rivista: http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/fallimentare-restructuring/bancarotta/bancarotta-le-su-sulla-determinazione-delle-pene-accessorie-quantificarsi). Infine, la Prima Sezione ha stabilito che anche il giudice dell’esecuzione può procedere alla rideterminazione delle pene accessorie, al fine di adeguarle al testo della norma, così come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale (Cass., Sez. I, 03 dicembre 2019, n. 3290, già massimata in questa rivista: http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/fallimentare-restructuring/bancarotta/bancarotta-anche-il-giudice-dell-esecuzione-puo-rideterminare-la-durata).

Per quanto concerne la pronuncia in commento, dopo aver rilevato una certa refrattarietà da parte della giurisprudenza di merito nel procedere ad un trattamento sanzionatorio realmente individualizzato e proporzionato al fatto commesso, gli ermellini evidenziano che il criterio finalistico che deve informare l’applicazione dei criteri ex art. 133 c.p. è quello della “special-prevenzione negativa”, che si realizza tramite l’allontanamento del reo da quel contesto professionale, economico e sociale nel quale sono stati compiuti i fatti criminosi.

Pertanto, la durata della pena accessoria non deve essere correlata automaticamente alla sola gravità oggettiva del fatto, ma anche all’esigenza di estromettere il condannato dalle attività che gli hanno fornito l’occasione di commettere il reato. Ciò significa che, non assumendo il criterio di cui all’art. 133 c. 1 c.p. un rilievo assorbente, si dovrà valorizzare anche la capacità a delinquere del reo, da intendersi non solo come capacità a delinquere “generica”, desumibile da precedenti, bensì anche come capacità a delinquere “specifica”, attinente allo svolgimento di attività economiche o imprenditoriali (e, pertanto, alla luce della funzione interdittiva connaturata alle pene accessorie).

Detti assunti sono giustificati in considerazione del fatto che il criterio della capacità a delinquere “specifica” può assumere un rilievo essenziale tanto in caso di bancarotta di modeste dimensioni (come nel caso in cui l’autore abbia posto in essere operazioni complesse, dimostrando dimestichezza con i meccanismi spoliativi) quanto, specularmente, in ipotesi di fatti di bancarotta di entità non insignificante, ove, nonostante la gravità del reato, non può prescindersi dalla valutazione del comportamento del reo, susseguente al reato (come nel caso in cui egli abbia assicurato seri risarcimenti alle ragioni creditorie). Infine, nell’applicare tali criteri il giudice è obbligato a fornire una congrua – seppur sintetica – motivazione. Onere motivazionale che diviene più pregnante nel caso di determinazione di pene accessorie in misura superiore alla media edittale.

 

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