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Giurisprudenza

Autoriciclaggio: il profitto non coincide con quello del reato presupposto

1 Marzo 2019

Alessandra Tonetti

Cassazione Penale, Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30401 – Pres. Davigo, Rel. Rago

Di cosa si parla in questo articolo

Con riferimento al delitto di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1, c.p., ai fini dell’applicazione della  confisca per equivalente dei beni costituenti il profitto del reato in questione, ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, c.p., il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall’impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, così da escludere l’ammissibilità di una duplicazione della confisca avente ad oggetto la stessa somma di denaro (o lo stesso bene) in aperto contrasto con il divieto di “ne bis in idem”.

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione accoglie le censure avanzate da parte ricorrente in ordine al quantum oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ordinato a seguito dell’accertamento del delitto di autoriciclaggio dei proventi ricavati dal presupposto reato tributario di  emissione di fatture operazioni inesistenti di cui all’art. 8, d. lgs. 74/2000.

In sostanza, parte ricorrente deduceva l’innammissibilità del secondo sequestro preventivo ordinato ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, c.p. in quanto costituente un illegittimo bis in idem, posto che il medesimo importo oggetto della misura risultava già vincolato in forza di un primo sequestro operato sulla base dell’art. 12-bis, d.lgs 74/2000, finendo così per far coincidere il profitto del reato di autoriciclaggio con quello del reato presupposto.

La Corte, pertanto, nel fornire la corretta ricostruzione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 648-ter.1 c. p., riconosce la fondatezza delle doglienze del ricorrente chiarendo come il reato di autoriciclaggio resti distinto dal reato presupposto e come, di conseguenza, il profitto derivante dal primo non possa in alcun modo essere fatto coincidere con lo stesso profitto e/o prezzo ricavato dal secondo, così da fondare una illegittima doppia confisca per il medesimo importo.

In particolare, nel caso di specie dopo aver correttamente individuato il profitto derivante dal reato presupposto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti- ex art. 8, d.lgs 74/2000-, ed aver disposto il sequestro preventivo per equivalente della relativa somma, il Tribunale del riesame aveva errato nel ritenere che, ai fini dell’applicazione del sequestro di quanto ricavato dal delitto di autoriciclaggio ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, c.p.  il trasferimento dell’intera suddetta somma sugli strumenti e conti di pagamento fosse sufficiente ad integrare la condotta materiale richiesta per quest’ultimo delitto, così da individuare nuovamente la medesima somma come profitto proprio dell’autoriciclaggio, operando al contempo un’indebita assimilazione  fra il reato di autoriciclaggio e quello di mero riciclaggio.

Difatti, afferma la Corte, per identificare il profitto proprio del reato di autoriciclaggio, e così quantificare correttamente l’importo oggetto del sequestro ex art. 648-quater, c.p., occorreva aver riguardo non già alla mera condotta ostacolativa dell’identificazione delle somme ricavate dal reato presupposto, attuata mediante il trasferimento delle stesse sui conti e le carte, bensì ai beni impiegati, sostituiti, trasferiti «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative», i quali costituiscono il quid pluris richiesto per integrare la condotta materiale tipica del reato di autoriciclaggio. 

Ne consegue che oggetto di un eventuale sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 648-quater c.p. poteva essere solo ed esclusivamente “il prodotto, il profitto o il prezzo” ricavati dal reinvestimento di quella parte del denaro proveniente dal reato presupposto nelle “attività economiche” realizzate nel caso di specie.

In conclusione, la Suprema Corte dispone l’annullamento dell’ordinanza impugnata rinviando al giudice del riesame la verifica circa l’eventuale profitto ricavato dal suddetto reimpiego, idoneo a costutuire il profitto proprio del reato di autoriciclaggio e, pertanto, l’oggetto di un eventuale sequestro ex art. 648-quater c.p.

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