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Attualità

Il trattamento IRPEF della cessione dell’usufrutto su beni immobili

5 Dicembre 2025

Massimo Zamboni, Partner, FalsittaRuffini & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del trattamento IRPEF della cessione dell’usufrutto su beni immobili alla luce delle modifiche normative apportate con la Legge di Bilancio 2024, della posizione del Notariato, degli orientamenti espressi dall’Agenzia delle Entrate e della norma di interpretazione autentica introdotta con D.L. 17 giugno 2025, n. 84.


1. I temi della questione

Dal punto di vista civilistico si distingue usualmente tra cessione e costituzione di diritti reali di godimento, secondo una ricostruzione basata rispettivamente sulla “preesistenza” o sulla “novità” dello stesso diritto reale[1]. In altre parole, l’operazione sarebbe qualificabile come una “costituzione”, nel caso in cui sia posta in essere dal titolare della piena proprietà e l’oggetto dell’operazione sia un diritto reale di godimento classificabile come “nuovo”, ossia “non preesistente” in quanto tale in capo al costituente. Al contrario si avrebbe una “cessione” quando il trasferimento oneroso abbia ad oggetto un diritto “preesistente” e che dunque potrebbe essere effettuato solo da colui ne sia già titolare.

Tale ricostruzione, tuttavia, non consente (come si vedrà in seguito) di disciplinare in modo esaustivo tutte le fattispecie che possono verificarsi con riferimento alle imposte sui redditi.

Anteriormente alle modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2024, sussisteva, in relazione alla determinazione dei redditi derivanti dalle operazioni effettuate da persone fisiche non in regime d’impresa, una sostanziale equiparazione tra gli atti di cessione a titolo oneroso della piena proprietà degli immobili e quelli finalizzati alla costituzione, o al trasferimento a titolo oneroso di diritti reali di godimento sui medesimi beni.

Ai fini IRPEF, quindi, le operazioni di costituzione, concessione e cessione dei diritti reali di godimento rientravano tra le plusvalenze relative a beni immobili di cui all’art. 67 comma 1, lett. b), del DPR 917/86 (TUIR).

Faceva eccezione alla predetta regola, il trattamento della concessione dell’usufrutto, che ricadeva nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1 lettera h) del TUIR. Con riferimento a tale ultimo diritto, il quadro normativo sopra descritto aveva comportato negli anni l’insorgere di interpretazioni divergenti. In particolare, la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate (e contestata dalla dottrina prevalente[2]) equiparava, ai fini IRPEF, la costituzione originaria dell’usufrutto con la successiva cessione del diritto da parte dell’usufruttuario[3], con l’effetto che quest’ultima era sempre soggetta ad imposizione secondo le regole previste dall’art. 71, comma 2 del TUIR, risultando altresì sempre preclusa l’applicazione del regime previsto dall’art. 67, comma 1, lettera b) del TUIR, tra cui anche l’esenzione in caso di eventuale possesso ultra-quinquennale e l’applicazione dell’imposta sostitutiva[4].

A seguito delle modifiche (evidenziate in grassetto) al TUIR operate, a decorrere dal 1°gennaio 2024, dall’articolo 1, comma 92, lettere a) e b), della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Legge di Bilancio 2024):

  • l’articolo 9, comma 5, del TUIR dispone che “Ai fini delle imposte sui redditi, laddove non è previsto diversamente[5], le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento”;
  • l’art. 67, comma 1, lettera h) recita che: “Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: […] h) i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto, dalla costituzione degli altri diritti reali di godimento […] di beni immobili[…]”.

Alla luce delle novità citate, dal 1° gennaio 2024 la costituzione dei diritti reali di godimento, ovvero dei diritti di usufrutto[6], uso, abitazione, servitù, superficie ed enfiteusi, rientra nell’ambito di applicazione dell’art 67, comma 1, lett. h) del Tuir e non più nell’ambito dell’art. 67, comma 1, lett. b) e b-bis) del TUIR; vieppiù, dalla stessa data, ai fini della individuazione del relativo regime impositivo IRPEF, il trasferimento a titolo oneroso dei predetti diritti[7] viene disciplinato dagli artt. 67, comma 1, lett. b) e b-bis) e 68, comma 1 del TUIR solo se è qualificabile come cessione ai fini delle imposte sui redditi.

Nonostante le modifiche normative citate, i dubbi circa il trattamento ai fini IRPEF della cessione dell’usufrutto non sono stati immediatamente fugati, ciò anche a causa delle successive interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate che, in parte confliggevano con quelle elaborate dalla dottrina prevalente, in particolare dal Consiglio Nazionale del Notariato.

2. La tesi del Consiglio Nazionale del Notariato

Il Consiglio Nazionale del Notariato, nello Studio n. 14-2024/T, in relazione alla distinzione tra costituzione e cessione di diritti reali di godimento su beni immobili ha, in estrema sintesi, affermato che, se a seguito dell’operazione, il diritto reale oggetto del negozio cessasse totalmente, si ricadrebbe, ai fini IRPEF, nell’ambito di una “cessione” regolata ex lettere b) e b-bis) dell’art. 67 TUIR. Qualora, invece, dopo l’operazione, persistesse in capo al disponente un diritto reale sul bene oggetto dell’operazione, si avrebbe una “costituzione” del diritto reale stesso, regolata dal comma 1 lettera h) dell’art. 67 TUIR.

La distinzione di cui sopra avrebbe dovuto, secondo le conclusioni raggiunte nello Studio citato, essere estensibile anche alle operazioni aventi ad oggetto il diritto di usufrutto, nonostante la concessione di quest’ultimo fosse già ricompresa tra i redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lettera h) del TUIR prima della modifica normativa in esame[8].

In ossequio alla tesi del Consiglio Nazionale di Notariato, a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni normative citate, il trasferimento a titolo oneroso dell’usufrutto su beni immobili effettuato da persone fisiche non in regime di impresa sarebbe dovuto rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1 lett. b) del TUIR nell’ipotesi in cui, successivamente all’operazione, il cedente non avesse mantenuto la titolarità della nuda proprietà, anche a seguito di cessione contestuale della stessa; viceversa, in caso di conservazione della nuda proprietà in capo al cedente, la fattispecie avrebbe dovuto essere quella della concessione, di cui all’art. 67, comma 1 lettera h) del TUIR.

3. La risposta ad interpello n. 133/2025

La summenzionata tesi del Consiglio Nazionale di Notariato è stata contestata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 133 del 14 maggio 2025. Il quesito proposto dal contribuente, che muoveva proprio dalla tesi in oggetto, era volto a verificare se il contestuale trasferimento a due distinti acquirenti del diritto di usufrutto e della nuda proprietà di un bene immobile dovesse qualificarsi unitariamente come cessione, con conseguente assoggettamento all’articolo 67, comma 1, lettera b), del TUIR (come da interpretazione riportata nello Studio 14-2024/T citato), o se, diversamente, ciascun trasferimento dovesse considerarsi distintamente, per cui la costituzione del diritto di usufrutto e la cessione della nuda proprietà sarebbero dovuti ricadere rispettivamente nell’ambito di applicazione della lettera h) e della lettera b) del detto articolo 67 del TUIR.

La conclusione cui è pervenuta l’Agenzia delle Entrate è quella per cui, nel caso in esame, il corrispettivo derivante dalla costituzione a titolo oneroso dell’usufrutto avrebbe costituito un reddito diverso ai sensi del citato articolo 67, comma 1, lettera h), del TUIR, determinato secondo i criteri di cui al successivo articolo 71, comma 2; la plusvalenza derivante dalla cessione della nuda proprietà sarebbe stata tassabile ai sensi del citato articolo 67, comma 1, lettera b), del TUIR, secondo i criteri di cui al successivo articolo 68 TUIR, nell’ipotesi in cui la cessione avvenisse entro cinque anni dall’acquisto.

In altre parole, secondo la risposta ad interpello citata, la cessione dell’usufrutto di bene immobile sarebbe stata omologabile alla cessione della piena proprietà (con la possibilità, quindi, di avvalersi del regime di esenzione in caso di possesso ultra-quinquennale) se il cedente, anteriormente alla cessione, fosse stato titolare del solo diritto reale di godimento. Nel caso in cui, invece, alla data della cessione, il cedente avesse posseduto la piena proprietà, il reddito diverso eventualmente emergente dall’operazione sarebbe stato sempre imponibile in quanto derivante da concessione dell’usufrutto, ai sensi del citato art. 67, comma 1 lettera h), anche se, contestualmente alla cessione dell’usufrutto fosse stata ceduta anche la nuda proprietà.

4. La norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1-bis, del D.L. 17 giugno 2025, n. 84

A seguito del clima di incertezza determinatosi per effetto delle modifiche normative introdotte nel corso del 2024 e della lettura delle stesse proposta dall’Agenzia delle Entrate con la citata risposta ad interpello n. 133/2025, il legislatore è intervenuto a chiarire le modalità di interpretazione delle nuove disposizioni in materia di redditi diversi generantisi a seguito di trasferimento a titolo oneroso dei diritti di usufrutto e di altri diritti reali di godimento su beni immobili.

La norma di interpretazione autentica (avente pertanto con efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2024[9]) di cui all’art. 1, comma 1-bis del D.L. 17 giugno 2025, n. 84[10], prevede che il comma 1 dell’articolo 67 del TUIR, si interpreta nel senso che il reddito derivante dalla concessione, a titolo oneroso, di usufrutto o dalla costituzione di altri diritti reali di godimento su un bene immobile costituisce un reddito diverso imponibile ai sensi della lettera h) dello stesso comma 1, quando il soggetto disponente mantiene un diritto reale sul bene immobile, mentre si qualifica come plusvalenza, tassabile ai sensi delle lettere b) e b-bis) del comma 1, al ricorrere delle condizioni temporali ivi previste, se il disponente si spoglia contestualmente e integralmente di ogni diritto reale sul bene.

Di conseguenza, la cessione del diritto di usufrutto su beni immobili effettuata da una persona fisica soggetta ad IRPEF, non in regime di reddito d’impresa, è imponibile quale plusvalenza immobiliare[11] a condizione che, a seguito della cessione stessa, il cedente non mantenga alcun diritto reale sul bene oggetto di usufrutto, anche se effettua la cessione di quest’ultimo diritto e della nuda proprietà contestualmente, come da interpretazione a suo tempo proposta dal Consiglio Nazionale di Notariato.

 

[1] Cfr. Consiglio Nazionale di Notariato, Studio n.n. 14-2024/T.

[2] Cfr. per tutti, Consiglio Nazionale Notariato, Studio n. 32-2017/T.

[3] Cfr. Risposta ad interpello 381/2021.

[4] Con aliquota che nel corso degli anni è passata dal 12,5% al 26%.

[5] In grassetto le modifiche normative intervenute nel corso del 2024.

[6] La dicotomia di trattamento era, ovviamente, riferibile anche all’usufrutto nell’ipotesi in cui si fosse ritenuta errata l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, riportata nel documento di cui alla nota 2, che accomunava costituzione e cessione del diritto in oggetto.

[7] Qualora, ovviamente, siano trasferibili a titolo oneroso a terzi, ai sensi della legislazione vigente.

[8] In tal senso appare illuminante quanto riportato nella Relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio 2024-2026, pag. 97.

[9] Nella disposizione in oggetto, infatti, si rinvia all’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212.

[10] Convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2025, n. 108.

[11] Da determinarsi come differenza tra il corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e il costo di acquisto del bene o le spese di costruzione, ai sensi dell’art. 68, comma 1, del TUIR ed eventualmente soggetta, ricorrendovi i presupposti, all’imposta sostitutiva con aliquota del 26% ai sensi dell’art. 1, comma 496 della Legge 266/2005, come modificata dall’art. 1, comma 695, della legge n. 160 del 27 dicembre 2019.

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