La Grande Sezione della Corte di Giustizia UE, con sentenza dell’11 novembre 2025, resa nella causa C‑19/23, pur confermando la validità della Direttiva relativa ai salari minimi adeguati, ha annullato la disposizione sui criteri che gli Stati membri che prevedono salari minimi legali devono obbligatoriamente prendere in considerazione al momento della determinazione e dell’aggiornamento di tali salari.
Contestualmente, ha annullato la norma che ne impedisce la riduzione, quando tali salari sono soggetti a indicizzazione automatica.
Il contenuto della direttiva sui salari minimi
Il 19 ottobre 2022 è stata adottata la Direttiva (UE) 2022/2041, relativa a salari minimi nell’Unione europea, che stabilisce un quadro articolato su tre assi principali:
- l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose
- la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari
- il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi.
Per quanto riguarda il primo asse:
- l’art. 5 prescrive:
- al paragrafo 1, agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di istituire le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento di tali salari, che devono basarsi su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza e prevede, al paragrafo 2, criteri che devono obbligatoriamente essere presi in considerazione dagli Stati membri a tal fine
- il paragrafo 3 conferma quindi espressamente la facoltà degli Stati membri di ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, fatti salvi gli obblighi e la condizione ivi enunciati; il paragrafo 4 prevede che la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali debba essere orientata mediante valori di riferimento indicativi
- i paragrafi 5 e 6 dell’art. 5 riguardano, rispettivamente, la frequenza degli aggiornamenti dei salari minimi legali e la designazione o l’istituzione di organi consultivi per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali.
- gli artt. da 6 a 8 della direttiva impugnata riguardano le variazioni e le trattenute sui salari minimi legali, il coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento di tali salari e l’accesso effettivo dei lavoratori a detti salari.
Per quanto riguarda il secondo asse:
- l’art. 4, par. 1, al fine di aumentare la copertura della contrattazione collettiva e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, prevede che gli Stati membri adottino, se del caso, le misure di cui alle lettere c) e d) per tutelare i lavoratori e i rappresentanti sindacali, nonché i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro quando partecipano o desiderano partecipare alla contrattazione collettiva.
- il paragrafo 2 impone agli Stati membri in cui il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore a una soglia dell’80% di prevedere un quadro per promuovere la contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime, e di definire un piano d’azione a tal fine, che stabilisca un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva e che sia riesaminato periodicamente e, se necessario, aggiornato
Per quanto attiene al terzo asse, gli artt. da 9 a 13 prevedono disposizioni orizzontali riguardanti gli appalti pubblici, il monitoraggio e la raccolta di dati, le informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo, il diritto di ricorso e la protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli nonché il regime delle sanzioni.
Sulla corretta ripartizione di competenza fra UE e Stati membri
La Danimarca ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia per ottenere l’annullamento integrale della direttiva, sostenendo che viola la ripartizione delle competenze tra UE e Stati membri, in quanto comporta un’ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni all’interno dell’Unione e nel diritto di associazione, settori che, conformemente ai Trattati, esulano dalle competenze dell’Unione.
La Corte ritiene tuttavia che l’esclusione della competenza dell’Unione prevista dai Trattati nei due settori in questione non si estenda a tutte le questioni che presentano un nesso qualsiasi con le retribuzioni o il diritto di associazione; non riguarda nemmeno qualsiasi misura che, nella pratica, avrebbe effetti o ripercussioni sul livello delle retribuzioni: in caso contrario, alcune competenze attribuite all’Unione per sostenere e integrare l’azione degli Stati membri in materia di condizioni di lavoro sarebbero svuotate dei loro contenuti.
Pertanto, l’esclusione della competenza si applica solo all’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni e nel diritto di associazione, che la Corte identifica in due casi specifici:
- quando la direttiva impone, agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, dei criteri da prendere in considerazione nelle procedure per la determinazione e l’aggiornamento di tali salari: con ciò, la direttiva comporta un’armonizzazione di una parte degli elementi costitutivi dei salari minimi legali e, di conseguenza, un’ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni
- quando si impedisce la riduzione dei salari minimi legali quando la legislazione nazionale prevede un meccanismo automatico di indicizzazione di tali salari.
In riferimento al primo punto, l’art. 5, par. 2, della Direttiva impugnata, elenca, alle lettere da a) a d), quattro elementi che i criteri nazionali di cui al paragrafo 1 di tale articolo devono almeno comprendere:
- il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita
- il livello generale dei salari e la loro distribuzione
- il tasso di crescita dei salari
- i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività
Certamente – ricorda la Corte – come dimostra la locuzione “almeno” utilizzata in tale art. 5, par. 2, tale elenco non è esaustivo, in quanto gli Stati membri sono liberi di aggiungervi altri elementi; inoltre, gli Stati membri possono, in base alla direttiva, definire i criteri nazionali conformemente, in particolare, alle rispettive prassi nazionali, e decidere il peso relativo dei diversi criteri nazionali, compresi gli elementi di cui a detto articolo 5, paragrafo 2;.
Tuttavia, come sostenuto dalla Danimarca, lo stesso art. 5, par. 2, impone agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali di provvedere affinché detti criteri comprendano, almeno, i quattro elementi ivi elencati: imponendo l’uso di tali elementi nelle procedure di determinazione e di aggiornamento dei salari minimi legali, il legislatore dell’Unione ha stabilito un requisito vertente sugli elementi costitutivi di tali salari, il che ha un’incidenza diretta sul livello di detti salari, e ciò, contrariamente a quanto indicato nell’ultima frase del paragrafo 1 dell’art. 5 della direttiva, indipendentemente dalla pertinenza di detti elementi a livello nazionale tenuto conto delle condizioni socioeconomiche esistenti negli Stati membri.
Pertanto, l’art. 5, par. 2, della direttiva impugnata comporta un’armonizzazione di una parte degli elementi costitutivi di detti salari e, pertanto, un’ingerenza diretta del diritto UE nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 67 e 68 della presente sentenza.
Di conseguenza, la Corte annulla le disposizioni della direttiva che comportano tali ingerenze dirette del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni che, per questo motivo, esulano dalle competenze legislative dell’Unione.
Quanto al secondo punto, l’art. 5, par. 3, della direttiva impugnata, sebbene tale disposizione si limiti a consentire agli Stati membri di ricorrere a un meccanismo automatico di indicizzazione dei salari minimi legali e operi un rinvio al diritto nazionale e alle prassi nazionali per quanto concerne i criteri appropriati sui quali tale meccanismo deve basarsi, essa subordina tuttavia, l’uso, da parte degli Stati membri, di un meccanismo automatico di indicizzazione alla “condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale“: ciò, nei limiti in cui impone una clausola di non regresso del livello dei salari minimi legali agli Stati membri che utilizzano un meccanismo automatico di indicizzazione di tali salari, comporta un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno di quest’ultima.
Quanto al diritto di associazione, per la Corte la direttiva non comporta alcuna ingerenza diretta: per quanto riguarda la disposizione della direttiva dedicata alla “promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari“, tale disposizione non obbligherebbe gli Stati membri a imporre l’adesione di un maggior numero di lavoratori a un’organizzazione sindacale.
