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Giurisprudenza

Sulla prova dell’inerenza di componenti negative di reddito

3 Novembre 2025

Fabio Povegliano, Avvocato Praticante del Foro di Treviso 

C.G.T. di secondo grado di Trento, Sez. II, 30 giugno 2025, n. 55 – Pres. e Rel. Biasi

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 55/2025, la C.G.T. di secondo grado di Trento ha ribadito che incombe sul contribuente l’onere della prova in relazione all’inerenza delle componenti negative di reddito, compresi gli interessi passivi, non avendo modificato l’art. 7, co. 5-bis del D. Lgs. n. 546/1992né le regole di riparto dell’onere probatorio né sui poteri del giudice, che deve “valutare la prova comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale” (Cass. Ord. n. 31880/2022 e N. 29289/2024)

Nella vicenda, la contestazione dell’Agenzia delle Entrate, con la quale veniva disconosciuta la deducibilità di alcuni costi per servizi resi da una società terza, veniva confermata dai giudici di prime cure, i quali ritenevano la documentazione prodotta dalla contribuente non sufficiente a fondare una valutazione di inerenza.

La C.G.T. di secondo grado di Trento, dopo aver confermato le conclusioni contenute nella sentenza appellata, ha ribadito che grava sul contribuente l’onere di offrire la prova dell’inerenza di un componente negativo di reddito “in quanto soggetto tenuto a dimostrare l’imponibile maturato, in quanto l’inerenza non consiste in una mera relazione tra costo e ricavo, ma tra costo ed attività d’impresa, astrattamente idonea a produrre reddito imponibile (cfr. Cass. n. 34752/2022, n. 10713/2020, n. 13300/2017 e n. 27657/2021)

L’Amministrazione Finanziaria aveva, inoltre, rilevato che il tasso di interesse applicato su di un finanziamento erogato alla società contribuente risultava essere oltremodo elevato rispetto al tasso medio di mercato nonché rispetto al tasso di finanziamento bancario.

Per tali ragioni, dunque, aveva proceduto con il disconoscimento (parziale) della deducibilità dei costi riferibili agli interessi corrisposti, riprendendo a tassazione la parte eccedente il tasso medio di mercato.

Secondo la contribuente, l’art. 109, comma 5, del TUIR escluderebbe in radice l’applicazione del principio di inerenza agli interessi passivi, dal momento che nel disporre i criteri di deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi fa espressamente riferimento a quelli diversi dagli interessi passivi

In realtà, come chiarito anche dalla giurisprudenza, la norma non disciplina l’inerenza in senso generale, ma si limita a regolare il meccanismo del c.d. pro-rata, che incide sulla deducibilità dei componenti negativi riferibili ad attività produttive di proventi esenti, e non esclude affatto l’assoggettabilità degli interessi al principio generale di inerenza.

Richiamandosi a delle precedenti pronunce della Cassazione (i.e. n. 2795/2025, n. 23872/2020 e n. 6240/2020), la C.G.T. di secondo grado di Trento ha quindi affermato che, con riferimento all’inerenza degli interessi passivi, l’esclusione degli interessi passivi dal regime di cui all’art. 109, comma 5, TUIR, non può istituire una presunzione legale assoluta di inerenza, dovendo invece essere intesa “nel senso che li affranca da una correlazione diretta con i componenti attivi del reddito di impresa, certamente e comunque rilevandone il vincolo con l’attività d’impresa nel suo complesso.  

Per tali ragioni, rigettando l’appello formulato dalla contribuente, ha ribadito che “una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento del contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire al riguardo, le spiegazioni necessarie, essendo, in difetto, pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione” (cfr. Cass. n. 29679/2019, n. 7680/2002 e n. 11599/2007).

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