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Crediti d’imposta inesistenti o non spettanti: il MEF chiarisce la differenza

9 Luglio 2025
Di cosa si parla in questo articolo

Il MEF ha pubblicato l’atto di indirizzo n. 18 del 01 luglio 2025, fornendo chiarimenti in ordine alla definizione di crediti d’imposta non spettanti o inesistenti.

La legge delega per la riforma fiscale aveva infatti stabilito l’obiettivo di distinguere in modo più preciso, anche sotto il profilo sanzionatorio, i crediti d’imposta non spettanti da quelli inesistenti: in attuazione della delega, pertanto, il D. Lgs n. 87/2024 relativo alla revisione del sistema sanzionatorio tributario, ha introdotto una definizione per entrambe le categorie, con effetti sia in ambito penale che amministrativo-tributario.

Sul piano penale, si ricorda che l’art. 10-quater del D. Lgs. 74/2000 stabilisce in particolare:

  • la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per l’uso in compensazione di crediti inesistenti oltre i 50mila euro
  • la pena da 6 mesi a 2 anni per l’utilizzo di crediti non spettanti sopra tale soglia, con esclusione della punibilità in caso di incertezza oggettiva sugli specifici elementi o le particolari qualità che fondano la spettanza del credito.

A livello amministrativo, le sanzioni invece sono pari:

  • al 70% dell’importo per compensazioni con crediti inesistenti (art. 13, c. 5, D. Lgs. n. 471/1997), aumentata in caso di frode documentale (comma 5-bis)
  • al 25% per l’uso di crediti non spettanti, incluso il mancato rispetto di adempimenti amministrativi (comma 4-bis), con possibile sanzione fissa di 250 euro nei casi meno gravi (comma 4-ter).

Il recupero dei crediti indebitamente usati in compensazione è disciplinato dall’art. 38-bis del D.p.r. 600/1973, con termini di decadenza differenziati:

  • 5 anni per i crediti non spettanti
  • 8 anni per quelli inesistenti.

La nozione di crediti d’imposta inesistenti

Secondo quanto precisato dal D. Lgs. 87/2024, e ribadito dall’atto di indirizzo del MEF, rientrano nella categoria dei crediti inesistenti quelli per i quali:

  • mancano del tutto o in parte i requisiti oggettivi o soggettivi stabiliti dalla normativa di riferimento
  • tali requisiti sono falsificati o simulati tramite condotte fraudolente, ad esempio mediante documentazione falsa o artifici nella compilazione del modello F24.

Rispetto alla precedente definizione, più legata alla non riscontrabilità nei controlli automatizzati o formali, la nuova nozione valorizza i presupposti giuridici sostanziali del credito (chi può beneficiarne e per quale operazione), anziché il solo profilo formale dei controlli.

Si specifica inoltre che, per “normativa di riferimento”, si devono intendere non solo le fonti primarie, ma anche quelle secondarie, come decreti attuativi o regolamenti esplicitamente richiamati.

Non rientrano invece le fonti di prassi o i manuali tecnici non espressamente richiamati.

La definizione di credito d’imposta non spettante

Diversamente, sono considerati crediti non spettanti quelli che, pur fondati su presupposti apparentemente corretti, presentano vizi legati:

  • al mancato rispetto di adempimenti amministrativi formali espressamente previsti a pena di decadenza
  • a violazioni nelle modalità di utilizzo, per cui il MEF precisa che tali violazioni possono concernere:
    • crediti fruiti in tempi non consentiti, per debiti non compatibili con la compensazione, o oltre i limiti quantitativi fissati dalle leggi vigenti
    • la possibilità o meno di compensazione, in funzione del tipo di debito da estinguere: ad esempio, quando il credito d’imposta relativo ai bonus edilizi venga utilizzato da banche o intermediari in compensazione di debiti previdenziali e assistenziali, in violazione del divieto introdotto dall’art. 4-bis, c. 1, del D.L. 39/2024
    • casi in cui il credito insorto non è stato utilizzato in compensazione ma è stato fatto oggetto di cessione
    • casi in cui il credito sia fruito oltre i limiti di compensazione di cui agli artt. 1, c. 53, L. 244/2007 e 34 della legge n. 388/2000 (ora art. 3 D. Lgs. 33/2025).
  • all’insussistenza di elementi integrativi richiesti dalla disciplina, anche se il credito rispetta i requisiti principali: ciò è frequente nei crediti d’imposta per ricerca, sviluppo, innovazione o design, dove la non spettanza può derivare da carenze rispetto a caratteristiche qualitative indicate in fonti tecniche non richiamate esplicitamente dalla norma.

L’atto di indirizzo evidenzia infine l’utilità della certificazione preventiva degli investimenti (art. 23, D.L. 73/2022), rilasciata da soggetti qualificati, come strumento per assicurare certezza giuridica sulla spettanza del credito ed evitare contestazioni fondate unicamente su valutazioni tecniche.

Il MEF ricorda che, in base all’art. 23, c. 4, qualora il contribuente si doti di tale certificazione che attesti la qualificazione tecnica degli investimenti e che riguardi l’attività concretamente realizzata, un eventuale atto, impositivo o sanzionatorio, che contesti la fruizione del credito sotto l’unico profilo della qualificazione dell’investimento, potrà essere censurato dal contribuente sotto il profilo della sua nullità.

Tale certificazione può essere chiesta anche dopo l’avvenuta effettuazione degli investimenti, purché eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta, non abbiano già formato oggetto di un processo verbale di constatazione da parte dell’amministrazione finanziaria.

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