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Giurisprudenza

Commissione di apertura su mutuo, fra trasparenza e clausole abusive

5 Maggio 2025

Corte di Giustizia UE, Sez. VIII, 30 aprile 2025, C-699/23 – Pres. e Rel. S. Rodin

L’ottava sezione della Corte di Giustizia UE, con sentenza del 30 aprile resa nella causa C-699/23, si è pronunciata sul controllo del carattere abusivo, per violazione dell’obbligo di trasparenza, di una clausola, contenuta in un contratto di mutuo, che imponga al mutuatario il pagamento di una commissione di apertura, che remuneri le spese per l’esame, la concessione o il trattamento del mutuo o del credito ipotecario.

Il giudice del rinvio, più nel dettaglio, chiedeva alla Corte di Giustizia se l’art. 5 della Direttiva 93/13 (concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori) dovesse essere interpretato nel senso di ritenere che la clausola che impone tale commissione al consumatore non possa soddisfare il requisito di trasparenza di cui all’art. 5, a meno che:

  • non precisi in modo dettagliato tutti i servizi forniti in compenso di tale commissione
  • non precisi il tempo necessario all’esecuzione di tali servizi
  • il professionista non informi il consumatore dell’esistenza di tale commissione al momento della comunicazione del tasso di interesse proposto, non indichi una tariffa oraria e non gli fornisca fatture dettagliate, dalle quali risulti la ripartizione di tali servizi nonché le relative tasse.

Requisito di trasparenza e commissioni di apertura sul contratto di mutuo

La Corte ha sottolineato che il requisito di trasparenza di cui all’art. 5 menzionato non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale delle clausole contrattuali, ma che, al contrario, detto obbligo deve essere inteso in maniera estensiva: pertanto, il contratto deve esporre in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola di cui trattasi nonché, se del caso, il rapporto tra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che il consumatore sia posto in grado di valutare, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano.

Il mutuante non è tenuto a specificare nel contratto la natura di tutti i servizi forniti in cambio delle spese previste da una o più clausole contrattuali: tuttavia, alla luce della tutela che la Direttiva 93/13 accorda al consumatore, in ragione del fatto che quest’ultimo si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative, che il grado di informazione, occorre che la natura dei servizi effettivamente forniti possa essere ragionevolmente compresa a partire dal contratto considerato nel suo complesso.

La Corte ha precisato, sotto questo profilo, che spetta al giudice nazionale verificare se l’istituto finanziario abbia comunicato al consumatore gli elementi sufficienti affinché quest’ultimo venga a conoscenza del contenuto e del funzionamento della clausola che gli impone il pagamento di una commissione di apertura, nonché del suo ruolo nel contratto di mutuo; il carattere chiaro e comprensibile di una clausola deve essere valutato dal giudice competente alla luce di tutti gli elementi di fatto pertinenti, tra cui:

  • la formulazione della clausola esaminata
  • le informazioni che l’istituto finanziario ha fornito al mutuatario, ivi comprese quelle che è tenuto a fornire conformemente alla normativa nazionale pertinente (prima della conclusione dl contratto)
  • la pubblicità realizzata da tale istituto in merito al tipo di contratto sottoscritto (tenendo conto del livello di attenzione che ci si può attendere da un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto).

La circostanza che le clausole contrattuali vertano o meno sull’oggetto principale di tale contratto è irrilevante: infatti, affinché il consumatore, conformemente all’obiettivo perseguito da detto requisito di trasparenza, possa decidere con cognizione di causa se desidera essere vincolato dalle condizioni predisposte dal professionista, egli deve necessariamente, prima di prendere una siffatta decisione, aver potuto prendere conoscenza dell’intero contratto, dal momento che è l’insieme delle clausole di quest’ultimo che determinerà in particolare i diritti e gli obblighi incombenti al consumatore.

Il requisito di trasparenza non implica tuttavia l’obbligo, per l’istituto bancario, di specificare con precisione la natura di tutti i servizi forniti in cambio della commissione di apertura, né il volume orario dedicato alla fornitura di ciascuno di tali servizi, dal momento che:

  • tali elementi non incidono sull’importo totale della remunerazione da pagare in correlazione a tale commissione e sulla facoltà del consumatore di comprendere i motivi che giustificano tale remunerazione
  • tale onere non sarebbe idoneo a facilitare la comprensione del consumatore prima della conclusione del contratto.

Occorre ricordare che la valutazione del carattere “chiaro e comprensibile” di una clausola contrattuale, ai sensi dell’art. 5 della Direttiva 93/13, deve essere effettuata dal giudice alla luce di tutti gli elementi di fatto pertinenti e tenendo conto di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto, tra cui:

  • le informazioni che l’istituto ha fornito al mutuatario nelle varie fasi precedenti la firma del contratto di mutuo
  • quelle fornite al momento della comunicazione del tasso d’interesse proposto
  • quelle dovute, conformemente alla normativa nazionale.

Ciò in quanto il carattere trasparente di una clausola contrattuale, costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione del carattere abusivo di tale clausola che spetta al giudice nazionale effettuare: l’abusività non può essere presunta, poiché una siffatta qualificazione dipende dalle circostanze specifiche della conclusione di ciascun contratto, comprese le informazioni particolari fornite da ciascun professionista a ciascun consumatore, nonché dalla realtà dei servizi forniti.

In sintesi, questi il principio di diritto espresso:

  • l’articolo 5 della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una giurisprudenza nazionale la quale, alla luce di una normativa nazionale che prevede che la commissione di apertura di un mutuo ipotecario remuneri i servizi connessi all’esame, alla concessione o al trattamento del mutuo o del credito ipotecario o altri servizi analoghi, ritenga che la clausola che impone una siffatta commissione al consumatore soddisfi il requisito della trasparenza derivante da tale articolo 5, senza che detta clausola precisi in modo dettagliato l’integralità dei servizi forniti in cambio di tale commissione al momento della comunicazione del tasso di interesse proposto né indichi una tariffa oraria e senza che l’istituto bancario fornisca al consumatore fatture dettagliate, dalle quali risulti la ripartizione di detti servizi nonché le relative tasse, purché quest’ultimo sia stato posto in grado di valutare le conseguenze economiche che gliene derivano, di comprendere la natura dei servizi forniti in cambio delle spese previste da detta clausola e di verificare che non vi sia sovrapposizione tra le diverse spese previste dal contratto o tra i servizi che queste ultime remunerano.
  • gli articoli da 3 a 5 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che il prezzo dei servizi coperti da una clausola contrattuale che prevede una commissione di apertura, definita dalla normativa nazionale come avente ad oggetto i servizi connessi all’esame, alla concessione o al trattamento del mutuo o del credito ipotecario o altri servizi analoghi, sia espresso sotto forma di percentuale applicata all’importo del mutuo concesso, purché il consumatore sia stato effettivamente posto in grado di valutare le conseguenze economiche che gli derivano da tale clausola, di comprendere la natura dei servizi forniti in cambio delle spese previste da detta clausola e di verificare che non vi sia sovrapposizione tra le varie spese previste dal contratto. In caso di risposta negativa, una simile clausola non può creare, a scapito del consumatore, un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

Commissioni di apertura e confronto con massimali di costo da statistiche nazionali

Il Giudice del rinvio ha inoltre chiesto alla Corte di Giustizia se sia sufficiente per la corretta applicazione della citata Direttiva, ai fini della valutazione di abusività di una clausola con la commissione di apertura, se la stessa indichi chiaramente l’importo dovuto a tale titolo e che quest’ultimo non superi un massimale corrispondente a un costo medio delle commissioni di apertura risultante da statistiche nazionali (pur in assenza di precisazioni relative ai servizi remunerati e al prezzo di ciascuno di tali servizi).

La Corte di Giustizia ricorda che una clausola contrattuale non negoziata individualmente si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto:

  • quanto alla questione se sia rispettato il requisito della buona fede, occorre constatare che, alla luce del sedicesimo considerando della stessa, a tale fine il giudice nazionale deve verificare se il professionista, trattando in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse a una simile clausola nell’ambito di un negoziato individuale
  • quanto all’esame della sussistenza di un eventuale significativo squilibrio, esso non può limitarsi ad una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto, da un lato, e i costi posti a carico del consumatore da tale clausola, dall’altro: un significativo squilibrio può risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto di cui trattasi, viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili, sia esso in forma di restrizione al contenuto dei diritti che, ai sensi di tali disposizioni, egli trae da tale contratto o di ostacolo all’esercizio dei medesimi o ancora dell’imposizione di un obbligo ulteriore, non previsto dalla disciplina nazionale.

La Corte aveva già dichiarato che una clausola contrattuale che stabilisce una commissione di apertura, che abbia ad oggetto la remunerazione di servizi connessi all’esame, alla costituzione e al trattamento personalizzato di una domanda di mutuo, necessari per ottenere un siffatto mutuo o credito, non risulta idonea ad incidere in modo sfavorevole sulla posizione giuridica del consumatore, a meno che i servizi forniti in cambio non rientrino ragionevolmente in tali prestazioni o che l’importo posto a carico del consumatore a titolo di detta commissione sia sproporzionato rispetto all’importo del mutuo.

Pertanto, tra i criteri da esso applicati per valutare l’esistenza di un eventuale significativo squilibrio, è possibile per il giudice competente tener conto di statistiche nazionali che determinano un costo medio delle commissioni di apertura su un dato periodo, ma solo tale elemento non può essere sufficiente: nell’ipotesi in cui il giudice nazionale si limitasse ad effettuare un confronto tra l’importo della commissione di apertura prevista da una clausola di cui esamini il carattere eventualmente abusivo e tale costo medio, un siffatto esercizio di comparazione sarebbe significativo solo a condizione di basarsi sui dati più recenti che coprono necessariamente un periodo di applicazione della Direttiva 93/13.

Spetta sempre al giudice competente assicurarsi del rispetto del requisito della buona fede e del fatto che detta clausola non determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, verificando in particolare che, conformemente alla normativa nazionale, le spese trasferite al consumatore corrispondano a servizi effettivamente forniti dall’istituto bancario all’origine dei costi sostenuti da quest’ultimo.

Questo l’ultimo principio di diritto espresso dalla Corte:

l’articolo 3 e l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale la quale consideri che una clausola contrattuale che preveda, conformemente alla normativa nazionale pertinente, il pagamento da parte del consumatore di una commissione di apertura destinata a remunerare i servizi connessi all’esame, alla concessione e al trattamento personalizzato di una domanda di mutuo o di credito ipotecario, possa non creare, a danno del consumatore, un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto e ciò senza che il professionista sia tenuto a precisare la natura dei servizi remunerati da tale commissione né il costo di ciascuno di essi, a condizione che l’eventuale esistenza di un siffatto squilibrio possa essere oggetto di un controllo effettivo da parte del giudice competente, conformemente ai criteri risultanti dalla giurisprudenza della Corte, se necessario confrontando l’importo di una commissione di apertura imposta a un mutuatario e il costo medio delle commissioni di apertura rilevate in un periodo recente.


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