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Giurisprudenza

La responsabilità dei sindaci. Commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 10452 del 14 maggio 2014

8 Luglio 2014

Avv. Prof. Stefano Loconte e Avv. Antonio Matarrese, Studio Legale e Tributario Loconte & Partners

Cassazione Civile, Sez. I, 14 maggio 2014, n. 10452

Di cosa si parla in questo articolo

Di recente la Cassazione Civile si è espressa sulla questione attinente la responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori nel caso in cui, a fronte di perdite che superano il capitale sociale, non abbiano convocato l’assemblea per gli opportuni provvedimenti.

La fattispecie trattata involge molteplici istituti di diritto ma, come è ovvio, ciò che è di maggiore rilievo è l’affermazione netta della responsabilità solidale dei sindaci che, a fronte delle condizioni di dissesto già evidenti nel momento in cui erano pienamente operativi, omettevano di vigilare in conformità agli obblighi correlati alla loro carica, non adoperandosi per la cessazione dell’attività, generando ed aggravando il danno patrimoniale che conduceva al fallimento della società.

Inoltre, la sentenza statuisce – dandola per certa – la natura solidale dell’obbligazione risarcitoria del danno, che viene così imputato a tutti gli amministratori e i sindaci che si erano succeduti negli esercizi nei quali le perdite eranoemerse.

Il primo elemento considerato dalla Suprema Corte attiene al fondamento della responsabilità di amministratori e sindaci, ravvisata nella “prosecuzione dellattività malgrado la perdita del capitale sociale”, facendone conseguire “lirrilevanza delle cause che durante tale illegittima prosecuzione dell’attività sociale hanno inciso sulla produzione del dissesto, che non si sarebbe verificato in caso di cessazione dellattività”.

In particolare, occorre rilevare che le norme che prevedono la responsabilità di amministratori e sindaci verso la società sono contenute negli artt. 2392 e 2407 c.c.: il primo discorre della responsabilità degli amministratori, i quali devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. Tale responsabilità sussiste anche quando, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, gli amministratori non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

L’art. 2407 c.c., a sua volta, delinea la responsabilità dei sindaci, che devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni; essi “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.

Ed è proprio nel novero di quest’ultima disposizione che è possibile rintracciare i contorni della vicenda di cui alla decisione della Corte Cassazione in commento. Viene infatti affermata la responsabilità dei sindaci in quanto, a fronte delle ingenti perdite della società, questi non hanno tratto le conseguenze che la legge espressamente prevede in ipotesi di tal fatta omettendo di vigilare come dovevano (si fa riferimento in particolare ai doveri di vigilanza del collegio sindacale descritti dall’art. 2403 c.c.).

La Suprema Corte aveva già affermato che: “sussiste la violazione del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dallart. 2407 c.c., comma 2, con riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di unattività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, … : al fine dellaffermazione della responsabilità dei sindaci, invero, non occorre lindividuazione di specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente il non aver rilevato una così macroscopica violazione, o comunque di non aver in alcun modo reagito ponendo in essere ogni atto necessario allassorbimento dellincarico con diligenza, correttezza e buona fede, anche segnalando allassemblea le irregolarità di gestione riscontrate odenunziando i fatti al P.M., ove ne fossero ricorsi gli estremi per consentire allufficio di provvedere ai sensi dellart. 2409 c.c., in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per lipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria1.

L’altro interessante aspetto evidenziato dalla Corte di Cassazione concerne la definizione della responsabilità in termini di solidarietà tra amministratori e sindaci: infatti, la sentenza impugnata aveva pronunciato condanna solidale per l’intero del danno individuato, nonostante fosse stato espressamente richiesta la commisurazione della responsabilità in relazione alle singole colpe.

Ebbene, la Suprema Corte ribadisce che il danno causato alla società – derivando dalla violazione degli obblighi di controllo e di vigilanza, anche in riferimento ai bilanci precedenti la nomina dei sindaci – sia riconducibile ad una responsabilità di tutti i convenuti (sindaci ed amministratori per appunto) e tale solidarietà deve essere affermata rispetto all’interezza del danno causato e non rispetto ad una porzione dello stesso.

Per completezza, sebbene nella sentenza si trascuriil tema del nesso eziologico tra la condotta (omissiva e commissiva) e il danno causato, si ricorda che la Suprema Corte si è già espressa nel merito, affermando che il nesso di causalità è in re ipsa, considerato che ai sindaci si addebita la mancata formulazione di rilievi critici su i bilanci presentati e sullo stato economico patrimoniale della società, in evidente dissesto, che, secondo il principio dell’id plerumque accidit, avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento2.

Infine, nella sentenza in commento, si esamina – seppur brevemente – il criterio di commisurazione del danno, che non viene identificato nella differenza tra attivo e passivo ma, come meglio specificato dagli Ermellini, nelle perdite realizzate negli esercizi in cui si è verificato il dissesto irreversibile.

Infatti, il danno imputabile ai sindaci di una società fallita non può essere identificato nella differenza tra attivo e passivo sia perché tale differenza può essere cagionata da molteplici cause, non tutte necessariamente ricollegate e ricollegabili all’azione dei sindaci, sia perché questo criterio è in contrasto con il principio che obbliga all’accertamento del nesso eziologico tra condotta e danno.3

 

1

Cfr. Cassazione Civile, sez. I, 11 dicembre 2010, n. 22911. Nello stesso senso, Cassazione Civile, sez. I, 29 ottobre 2013, n. 24362.


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2

Sul tema si legga V. Papagni, Aggravamento del dissesto della società: la responsabilità dei sindaci, in Diritto e Giustizia, 2013.


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3

Tuttavia è stato osservato che esiste una eccezione a tale esclusione, che si ravvisa nelle ipotesi in cui “per linattendibilità dei dati contabili o comunque a seguito delle violazioni poste in essere datali amministratori e dellinsufficiente vigilanza da parte degli organi di controllo, sia stata accertata limpossibilità di ricostruire i danni con la analiticità necessaria per individuare le conseguenza pregiudizievoli riconducibili al comportamento dei sindaci: nel qual caso la differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa (Cfr. Cass. 2538/2005)”. In termini, V. Papagni, op.cit..


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