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Giurisprudenza

Versamenti per l’aumento di capitale e cessione del credito restitutorio

27 Gennaio 2021

Federica De Gottardo, Dottoranda in diritto commerciale presso l’Università di Trento, Avvocato in Trento

Cassazione Civile, Sez. V, 20 novembre 2020 n. 26446 – Pres. Chindemi, Rel. Lo Sardo

Di cosa si parla in questo articolo

Mediante la sentenza de qua la Suprema Corte ha richiamato i propri precedenti (tra tutti, Cass. 29 luglio 2015, n. 16049) in tema di classificazione delle dazioni di denaro alla società da parte del socio, con specifico riferimento (i) alla qualificazione giuridica di tali versamenti e (ii) alla sorte degli eventuali crediti restitutori in ipotesi di successiva cessione della partecipazione sociale da parte del socio finanziatore. Nella specie, il giudizio ha avuto ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione della maggior imposta di registro dovuta in relazione al verbale assembleare che ha accertato la sottoscrizione di un aumento di capitale sociale da parte del socio cessionario mediante compensazione con il credito restitutorio da “finanziamento infruttifero” operato dal socio cedente prima dell’alienazione della propria partecipazione.

Quanto alla qualificazione giuridica delle diverse modalità di dazione di denaro in favore della società, la Suprema Corte ha richiamato la classificazione invalsa nella prassi giurisprudenziale, che individua tre principali tipologie di apporti dei soci alla società: (i) i “finanziamenti”, pacificamente inquadrabili nello schema del contratto di mutuo ex artt. 1813 ss. c.c.; (ii) i “versamenti a fondo perduto” (o “versamenti in conto capitale”), privi della natura del mutuo, che sono da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparati agli effetti sostanziali; (iii) i “versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale”, in relazione ai quali la qualificazione giuridica dipende in larga parte dall’individuazione della reale intenzione dei soggetti – socio e società – tra cui il rapporto si è instaurato.

Posta tale distinzione di massima, la Suprema Corte ha chiarito, per ciascuna di tali tipologie di apporto, la sorte riservata al credito restitutorio relativo ai predetti i versamenti in ipotesi di successiva cessione della partecipazione sociale. In particolare: (i) nel caso dei “finanziamenti”, il socio conserva – salvo diversa previsione pattizia – la titolarità del credito a titolo di rimborso uti singulus anche in caso di successiva cessione della quota ad un terzo; (ii) nel caso dei “versamenti a fondo perduto”, la natura degli apporti in questione – assimilabili al capitale di rischio – ne rende impredicabile la cessione separata rispetto alla vendita della quota; (iii) nel caso dei “versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale”, il socio diventerebbe titolare di un credito restitutorio soltanto laddove l’aumento non sia operato. In tale ultima ipotesi, il credito troverebbe titolo – precisa la Corte – non nel rimborso di una somma data a mutuo, ma nell’essere “venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società”.
Con riferimento a tale ultima tipologia di versamenti in società, la Suprema Corte ha quindi chiarito che “l’alienazione della partecipazione sociale può essere operata senza includervi tale versamento, la cui restituzione costituisce un credito in capo al disponente, sia pure condizionato ed inesigibile sino a quel momento (come ora esposto ed in senso diverso dal versamento del secondo tipo), il quale quindi può essere ceduto separatamente dalla quota sociale”.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha altresì chiarito che proprio la separata circolazione della partecipazione sociale e del credito restitutorio costituisce elemento che, a posteriori, consente di qualificare l’apporto del socio come versamento finalizzato al futuro aumento del capitale sociale. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, ove “risulti che il socio abbia eseguito l’erogazione del denaro in vista di un futuro aumento, del quale avrebbe per definizione in tale veste beneficiato, e che, mutata la sua prospettiva all’interno dell’ente collettivo, egli abbia inteso uscirne disponendo sia della quota e sia – separatamente – di quel credito, tale elemento potrebbe essere completamente indicativo proprio della qualificazione del versamento nel terzo tipo sopra descritto”.

 

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