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Giurisprudenza

Transfer Pricing: elusione fiscale ed onere della prova

18 Maggio 2022

Luca Rivano

Cassazione Civile, Sez. V, 19 maggio 2021, n. 13571 – Pres. Cirillo, Rel. Fracanzani

Di cosa si parla in questo articolo

In tema di transfer pricing, l’Amministrazione finanziaria può disconoscere a fini fiscali il prezzo praticato tra imprese collegate ai sensi dell’art. 110, comma 7, Tuir senza dovere dimostrare l’intento elusivo del contribuente, e la prova di conformità al principio di libera concorrenza spetta a quest’ultimo; è quanto ribadito dalla Suprema Corte con l’ordinanza in oggetto.

Richiamando sinteticamente i fatti in causa, il contribuente veniva raggiunto da un avviso di accertamento concernente, per quanto di interesse, l’illegittima deduzione, a fini IRPEG (applicabile ratione temporis), della quota di interessi passivi maturati su un finanziamento concesso dalla propria società controllante al tasso del 10%, perché in violazione dell’art. 110, comma 7, del Tuir.

La società ricorreva in Cassazione dopo che la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso avverso l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Regionale aveva, invece, confermato la legittimità della pretesa impositiva originaria, accogliendo l’appello dell’Amministrazione finanziaria.

Nel ricorrere in Cassazione, la società lamentava, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 110, comma 7 del Tuir sulla base di due distinti motivi:

  • da un lato, il contribuente sosteneva l’illegittimità della pronuncia della CTR quanto alla metodologia di valorizzazione del finanziamento (“valore normale” ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Tuir), cui era applicato un tasso di interesse pari all’Euribor a sei mesi maggiorato dello Spread;
  • dall’altro, la violazione dell’art. 112 c.p.c. (“Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”) perché i giudici di appello non si sarebbero pronunciati sulla censura svolta dalla società, secondo cui l’Ufficio avrebbe potuto rettificare il reddito della società solo dopo aver dimostrato l’intento elusivo.

Entrambi i motivi sono stati considerati infondati dalla Suprema Corte che, per le ragioni che vengono di seguito illustrate, ha respinto il ricorso del contribuente.

Quanto al primo motivo, la Corte, richiamando dei pregressi orientamenti (Cass. 15/11/2017, n. 27018, Cass. 15/04/2016, n. 7493, Cass. 30/06/2016, n. 13387, Cass. n. 21828 del 2020),ha specificato in primo luogo che, conformemente alla ratio dell’art. 110, comma 7 del Tuir (valorizzazione a fini fiscali delle transazioni infragruppo alle condizioni che si sarebbero verificate tra imprese indipendenti in transazioni comparabili e in circostanze comparabili), l’Amministrazione finanziaria è certamente legittimata a sindacare la congruità delle operazioni ritenute non in linea con il valore normale di mercato, e, in secondo luogo, quanto alla scelta dell’Ufficio di applicare il tasso Euribor a sei mesi maggiorato dello Spread, la Corte ha chiarito che, dal momento che l’art. 9, comma 3, del Tuir non identifica dei criteri da seguire per determinare il “valore normale”, non appariva sindacabile la scelta operata in concreto dall’Amministrazione finanziaria.

Gli ermellini hanno infatti ricordato che, come era già stato chiarito dalla medesima Corte (Cass., n. 30149 del 2017) nel transfer pricing, l’onere della prova è in capo al contribuente: “l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria si esaurisce nel fornire la prova dell’esistenza dell’operazione infragruppo e della pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale di mercato; il contribuente che intende contrastare la pretesa impositiva deve invece fornire la prova che il corrispettivo convenuto ovvero la mancanza di un corrispettivo per l’operazione infragruppo, corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a tali operazioni“.

Nella fattispecie in esame tale onere, che discende dal principio di vicinanza della prova di cui all’articolo 2697 c.c., era rimasto inadempiuto e pertanto il motivo è stato considerato infondato.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha rilevato che il transfer pricing, non integrando una disciplina antielusiva in senso proprio, ed essendo una disciplina rivolta a reprimere il fenomeno economico in sé,  la disciplina in analisi non prevede che l’amministrazione finanziaria debba provare la maggiore fiscalità nazionale (Cass. n. 11949 del 2012, n. 10739, n. 10742 del 2013; n. 8849 del 2014 e sentenza n. 20805 del 2017).

L’art. 110, comma 7, del Tuir, è perciò applicabile anche in difetto di prova del conseguimento di un concreto vantaggio fiscale da parte del contribuente, essendo sufficiente l’asserita esistenza di transazioni tra imprese collegate ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale.

Non riconoscendo alcun onere probatorio ulteriore in capo all’Amministrazione finanziaria, correttamente il giudice di appello non ha confutato nel merito i motivi del contribuente, in quanto la propria decisione, adeguatamente motivata, risultava incompatibile con la doglianza formulata.

Anche tale secondo motivo è stato quindi ritenuto infondato e il ricorso è stato respinto.

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