La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28382, pubblicata lo scorso 27 ottobre, si è pronunciata sui presupposti per la detrazione o il rimborso di crediti IVA relativi ad operazioni effettuate per la realizzazione di beni, da parte di una società in-house e successivamente oggetto di cessione a titolo gratuito al proprio socio, ente territoriale.
In particolare, ha chiarito che, ai fini della detrazione o del rimborso di tali crediti IVA, è necessario non solo il rapporto di inerenza tra i costi sostenuti a monte e la realizzazione dei beni ceduti a valle, ma anche il rispetto dei presupposti indicati dalla normativa unionale, così come interpretata dalle pronunce della Corte di Giustizia dell’UE.
Nel caso di specie, una società partecipata da un Comune, e costituita per la valorizzazione del patrimonio immobiliare dell’ente territoriale, aveva provveduto nel corso del tempo alla realizzazione ovvero alla ristrutturazione di varie opere di pubblica utilità, poi cedute al comune a titolo gratuito, in sede di liquidazione della società, senza addebito di IVA.
Essendo stata posta in liquidazione, la società inoltrava all’Agenzia delle Entrate una richiesta di rimborso a titolo di crediti IVA non portati in dichiarazione, e relativi alle fatture passive ricevute per gli acquisti compiuti per la realizzazione delle opere suddette.
A fronte del diniego del rimborso da parte dell’Ufficio per “mancata prova dello svolgimento di un’attività imprenditoriale e della effettiva inerenza degli acquisti nell’attività svolta”, la Società ed il Comune decidevano dunque di impugnare detto provvedimento di fronte alla CTP.
Questa, tuttavia, rigettava le loro argomentazioni, affermando come – fermo il riconoscimento dei presupposti delle operazioni IVA, nonché la loro inerenza – i beni realizzati fossero stati ceduti a titolo gratuito, essendo invece gli stessi assoggettabili ad IVA, dovendosi dunque ritenere elusivo il comportamento della Società.
La sentenza veniva impugnata dalla medesima Società e dal Comune di fronte alla CTR, che accoglieva le loro censure e annullava il provvedimento di diniego del rimborso.
La statuizione dei giudici di seconde cure veniva così nuovamente impugnata dall’Ufficio, che proponeva ricorso per cassazione per violazione di legge, sottolineando come la cessione a titolo gratuito delle opere realizzate costituisse un’illegittima sottrazione delle stesse all’assoggettamento ad IVA.
Nell’aderire a tale ultima ricostruzione, la Suprema Corte ha sin da subito richiamato il proprio consolidato orientamento, secondo cui costituisce operazione imponibile ai fini IVA “qualsiasi assegnazione fatta dalla società al socio, anche attraverso fattispecie complesse e collegamenti negoziali, a prescindere dal tipo di titolo della cessione, sia essa a titolo gratuito o oneroso”, dal momento che “rileva esclusivamente l’effetto traslativo o costitutivo di diritti in favore dell’assegnatario, secondo l’intento perseguito dalle parti e la funzione economico sociale in concreto assegnata all’atto”.
Tale principio si inserisce in un più ampio quadro, ricavabile dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di IVA, secondo cui la gratuità di una cessione o di un servizio non esonera l’operazione dalla sua sottoposizione ad IVA; ciò implica la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per gli acquisti effettuati per la realizzazione del bene ceduto o del servizio prestato, diritto che tuttavia sussiste solo quando si ravveda un “nesso diretto ed immediato tra le spese connesse alle operazioni a monte e una o più operazioni che siano imponibili a valle” (c.d. inerenza della spesa).
Ne consegue che il nesso di inerenza sarà insussistente ogniqualvolta una società, pur avendo pagato l’IVA a monte, realizzi a valle un’operazione in cui ometta di addebitare l’IVA.
D’altra parte, come precisato anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-528/19, ai fini della detrazione dell’IVA è necessario che l’operazione a valle, anche quando non sia soggetta ad imposta, si presenti come funzionale e necessaria allo svolgimento dell’attività economica della società.
Pacifica dunque la normale imponibilità delle cessioni a titolo gratuito, queste ultime risulteranno legittimamente sottratte dall’applicazione dell’IVA (poiché non costituenti “cessioni di beni”) solamente laddove la cessione, pur resa in assenza di corrispettivo, risponda anche all’interesse della cedente, insussistente nel caso de quo: il bene è uscito del tutto dal circuito economico del soggetto passivo, che non può trarne più alcuna utilità.
Né assume rilievo, ad avviso della Corte, l’assunto – invero ritenuto dirimente dalla C.T.R. – per cui l’Ufficio non avesse “espressamente contestato a mezzo di un apposito atto l’imponibilità della cessione gratuita delle opere pubbliche realizzate o ristrutturate dalla società in house”, che, come tale, non poteva “formare materia di giudizio in sede contenziosa”.
L’unico profilo rilevante atteneva infatti alla “necessaria inerenza di queste – le operazioni a monte – con le operazioni a valle, che va relazionata alla imponibilità di queste ultime, salvo che nelle ipotesi circoscritte dalle sentenze della CGUE, qui del tutto assenti, ossia che la cessione fosse operata anche nell’interesse della cedente”.
