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Giurisprudenza

Sulla deducibilità della svalutazione e della perdita su crediti

15 Maggio 2025

Angelica Chiara Tazzioli, Dottoranda di ricerca in diritto tributario,  Università degli Studi di Milano-Bicocca

Cassazione Civile,  Sez. V,  22 aprile 2025, n. 10408 – Pres. Napolitano, Rel. Napolitano 

Di cosa si parla in questo articolo

Con l’ordinanza n. 10408/2025, la Suprema Corte si è espressa sulla rilevanza fiscale della svalutazione e delle perdite su crediti ai fini della loro deducibilità dal reddito di impresa, alla luce della disciplina recata dagli artt. 101, comma 5, 106, comma 5 e 109, commi 1 e 5 del TUIR.

La vicenda processuale traeva origine dalla impugnazione di un avviso di accertamento recante un rilievo di indeducibilità delle perdite su crediti, contestando la mancata ricorrenza, nel caso di specie, dei presupposti richiesti, rispettivamente, dal combinato disposto degli artt. 101 e 106 citati e dell’art. 109, commi 1 e 5 del TUIR.

L’impresa ricorrente censurava il provvedimento di imposizione deducendo che le perdite in questione fossero relative a crediti commerciali verso gli assicurati per premi non versati e scaduti.

La doglianza veniva tuttavia respinta dal Giudice di prime cure, non avendo la contribuente fornito la prova della sussistenza dei requisiti richiesti, ai fini della sua applicabilità, dello stesso art. 106 cit. Successivamente, la sentenza veniva integralmente riformata in fase di gravame, conseguendone l’annullamento della maggiore ripresa fiscale.

L’Agenzia delle entrate impugnava quindi la pronuncia in sede di legittimità, eccependo che la formulazione testuale dell’art. 106, comma 3, TUIR condurrebbe ad escludere in radice la possibilità di configurare una “svalutazione integrale del credito” a zero diversa dalla perdita del credito stesso, la cui deduzione possa avvenire secondo le regole di tale svalutazione anziché secondo le regole della perdita su crediti.

Ad avviso dell’Ufficio, la contribuente avrebbe di fatto operato una svalutazione a zero dei crediti in parola, applicando la disciplina fiscale della perdita su crediti senza dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti.

La Suprema Corte ha concluso per il rigetto del ricorso proposto dall’Ente impositore.

Richiamando suoi precedenti sezionali, il Collegio esordisce chiarendo che, in tema di svalutazione dei crediti per la determinazione del reddito d’impresa, è legittima e non costituisce indebito vantaggio fiscale l’imputazione a conto economico di crediti integralmente svalutati che, prescindendo dal criterio quantitativo, a conclusione di un’analisi valutativo-estimativa, poggi esclusivamente sulla riconosciuta sussistenza del rischio d’inesigibilità ragionevolmente prevedibile, ma non ancora definitiva, trattandosi di crediti che non sono venuti meno né giuridicamente né economicamente e sono suscettibili di “ripresa di valore”, per rivalutazione e per incasso.

La distinzione tra le due ipotesi (svalutazione e perdita) è data, in concreto, dalla “definitività del venir meno della posta attiva”, nel senso che, alla stregua di un giudizio prognostico, si ha perdita del credito quando esso è divenuto definitivamente inesigibile, mentre si ha svalutazione quando il credito è solo temporaneamente non realizzabile”, ma ciò non esclude la possibilità di imputare a bilancio crediti integralmente svalutati aventi piena rilevanza fiscale ex art. 106, comma 3, TUIR. 

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