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Giurisprudenza

Sul momento consumativo del reato di domanda di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso col fallito

1 Aprile 2019

Marianna Geraci – Avvocato presso Tonucci & Partners e Dottoranda di Ricerca in Diritto Penale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Cassazione Penale, Sez. V, 27 marzo 2018, n. 27165 – Pres. Pezzullo, Rel. Riccardi

Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto avverso un’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Como confermava il sequestro preventivo – disposto dal G.I.P. del medesimo Tribunale – di cinque assegni attraverso i quali la curatela del fallimento di una società aveva pagato due dei propri creditori sulla base di un rapporto di credito qualificato come fraudolentemente simulato.

I Giudici di legittimità hanno precisato che la ratio del delitto di cui all’art. 232, comma 1, L. Fall. – che punisce “chiunque, fuori dai casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona, presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito” – sia quella di tutelare l’interesse della massa dei creditori a che i crediti insinuati siano veridici e reali, evitando che dalla proposizione di crediti simulati venga ad essere diminuita o annullata la possibilità di soddisfacimento dei crediti effettivi.          
Per l’integrazione del reato è poi necessario – ricorda la Corte – presentare una domanda di ammissione al passivo fallimentare per un credito “fraudolentemente simulato”.
In primo luogo, per credito simulato deve intendersi ogni preteso diritto di credito, oggetto della domanda di ammissione al passivo da parte del soggetto attivo del reato, non corrispondente alla realtà giuridica da esso formalmente rappresentata, idoneo ad incidere negativamente sul regolare soddisfacimento delle ragioni del ceto creditorio in sede di riconoscimento dei rispettivi diritti di credito e di ripartizione dell’attivo fallimentare; in secondo luogo, un credito fraudolentemente simulato è integrato da quella simulazione che si traduce ontologicamente nella presentazione di una domanda di ammissione ideologicamente falsa (nella misura in cui si fonda su una pretesa creditoria fittizia) idonea a perfezionare l’inganno.          
Forniti questi chiarimenti, i Giudici, pronunciandosi sulla questione sollevata dai ricorrenti in merito al tempus commissi delicti del reato in esame, hanno puntualizzato che la presentazione della domanda di insinuazione al passivo integra un elemento normativo della fattispecie e non invece un elemento naturalistico: la domanda di ammissione al passivo, in altri termini, per essere giuridicamente rilevante, anche ai fini penali, deve possedere determinati requisiti, tra cui quello di essere corredata – in base a quanto disposto dall’art. 93 L. Fall. – dai documenti giustificativi del credito vantato. Pertanto, solo la domanda di insinuazione al passivo che sia ammissibile, in quanto completa dei documenti dimostrativi del preteso diritto di credito, può rilevare ai fini della consumazione del reato; diversamente, la presentazione di tale domanda sprovvista di evidenze documentali comprovanti i crediti e quindi incompleta, sarebbe priva di rilevanza non solo ai fini penali, non integrandosi l’elemento normativo della fattispecie, ma anche a quelli civili (dell’ammissione al riparto). Tale impostazione risulta peraltro confermata dall’orientamento di autorevole dottrina secondo la quale per la sussistenza della fraudolenta simulazione non è sufficiente la mera presentazione della domanda, ma occorre che ad essa sia allegata una qualche documentazione atta a perfezionare l’inganno.

Del resto, osservano gli Ermellini, l’opinione contraria sostenuta nel ricorso consentirebbe di eludere “agevolmente e sistematicamente la fattispecie penale mediante presentazione di una domanda di ammissione formalmente regolare, benchè non documentata, e successiva produzione di documentazione fraudolenta attestante l’esistenza di un credito simulato”.

In conclusione, la produzione dei titoli originali, incorporanti i crediti di cui si intende chiedere l’insinuazione al passivo, è requisito di proponibilità della stessa domanda di ammissione, da ciò conseguendo che il delitto di cui all’art. 232, comma 1, L. Fall., allorquando si tratti di crediti incorporati in titoli di credito, non può ritenersi consumato – come è avvenuto nella vicenda in esame – con la presentazione della mera domanda di ammissione nel caso in cui non siano stati prodotti gli originali dei titoli; la consumazione del reato coincide invece “con il momento in cui la domanda di insinuazione al passivo venga presentata regolarmente e compiutamente, corredata dalla indispensabile, ai fini della stessa proponibilità, produzione dei titoli incorporanti i crediti di cui si intende chiedere l’insinuazione”.


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