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Giurisprudenza

Sono procedibili verso le l.c.a. delle banche venete le domande di accertamento negativo delle operazioni baciate

10 Maggio 2019

Piero Cecchinato, Studio Legale CCM

Tribunale di Venezia, 26 aprile 2019, nn. 875, 878, 879 – Pres. Tosi, Rel. Ramon

Sono procedibili verso le l.c.a. delle banche venete le domande di accertamento negativo dei crediti da assistenza finanziaria nelle operazioni baciate [1]. Questo il principio che si ricava dalle tre sentenze della Sezione specializzata del Tribunale di Venezia del 26/4/2019 (le nn. 875, 878 e 879, Collegio Tosi, Ramon, Campagner).

Principio che però soffre dei limiti e che necessita, come dicono le stesse sentenze, di “correttamente identificare e qualificare” di volta in volta le domande proposte dai clienti.

Per la Sezione di Venezia, infatti, le cause aventi ad oggetto la contestazione di un acquisto di azioni mediante assistenza finanziaria fornita dalla stessa banca emittente (le c.d. operazioni baciate o di capitale finanziato ex art. 2358 cod. civ.) sono procedibili solo se non destinate ad incidere sullo stato passivo della banca posta in l.c.a. [2].

Domande di mero accertamento o costitutive possono essere proposte al di fuori del procedimento di formazione dello stato passivo soltanto quando dall’eventuale pronuncia di accoglimento non si intenda far derivare diritti di credito o diritti restitutori” (sent. 875/2019, est. Ramon).

E ciò perché “La giurisprudenza ha invero sancito l’improcedibilità davanti al giudice ordinario delle azioni di accertamento o costitutive se azionate nei confronti della curatela, quando la relativa pronuncia sia destinata a rappresentare la “base concettuale” di una pretesa creditoria deducibile in sede concorsuale, a meno che il pretesto creditore non abbia espressamente dichiarato di voler ottenere un titolo da utilizzare contro il debitore solo dopo il suo ritorno in bonis (Cass. 18.10.1991, n 11038), ciò che non può essere, nel caso di specie, posto che l’istituto della liquidazione coatta amministrativa non ammette, diversamente dal fallimento, il ritorno in bonis della banca, sicché l’ottenimento di un titolo giudiziale che non potrebbe mai essere messo in esecuzione nei confronti del convenuto non può rivestire per chi agisce alcuna utilità concreta” (sent. 875/2019).

Come è noto, l’art. 83 TUB stabilisce che le cause proposte contro una banca posta in liquidazione coatta amministrativa divengono improcedibili e che a far data dal momento in cui si verificano gli effetti concorsuali della messa in liquidazione verso i terzi, non possa più essere promossa o proseguita “alcuna azione”, né “alcun atto di esecuzione forzata o cautelare”, con la conseguente necessità di far valere ogni pretesa attraverso lo speciale rito di insinuazione al passivo previsto agli artt. 86 ss. TUB.

L’art. 83 TUB, dettando il principio senza fare distinzioni, sembrerebbe introdurre una regola di valore assoluto, sollevando così ancor meno dubbi rispetto alle ipotesi di fallimento e di liquidazione amministrativa ordinaria, ove l’improcedibilità è espressamente stabilita solo per le azioni esecutive e cautelari [3].

All’apparente rigore della norma pone un limite la Sezione specializzata di Venezia.

L’art. 83 comma 3 TUB va letto nel senso che tutte le domande anche di accertamento o costitutive contro una liquidatela di banca non possono essere proposte avanti il giudice ordinario quando esse siano dirette a porre le premesse di una pretesa contro la massa” (sent. 878/2019, G. est. Ramon).

La regola posta dall’art. 83 TUB solo all’apparenza risulta, quindi, assoluta.

Invero, “Spazi di riserva al giudice ordinario si leggono (p. es. Cass. 17279/2010 sopra citata) nelle pronunce che trattano di domande demolitorie o di accertamento che abbiano come scopo solo tale accertamento. Naturalmente, posto che la domanda deve essere comunque sorretta da un interesse, sarà lo scopo ultimo dell’accertamento, o della pronuncia costitutiva chiesti, a determinare la procedibilità o meno della domanda avanti il giudice ordinario” (sent. 878/2019).

Per la Sezione – che trae spunto diretto dall’orientamento che ritiene procedibili, rispetto all’ordinaria procedura fallimentare, le pretese diverse da quelle recuperatorie [4] – vi è quindi spazio “per non negare la proseguibilità di quelle domande che mirano a tutelare diritti che non potrebbero trovare mai risposta, né positiva, né negativa, nell’ambito della procedura” concorsuale come, per esempio, le domande di accertamento negativo del credito della procedura contro il soggetto contraente in forza di titolo invalido o risolto, che abbia interesse a vedersi liberato dal debito formalmente in essere (sent. 878/2019).

La preclusione derivante dall’aver già rimborsato il finanziamento

Nel caso oggetto della decisione n. 875/2019 la riformulazione delle domande da parte degli attori – che avevano rinunciato alle domande di ripetizione e risarcimento limitandosi a rivendicare l’accertamento di un diverso saldo conto sulla base dello storno delle poste annottate a rimborso dell’assistenza finanziaria – non è stato giudicato sufficiente.

Il problema, in quel caso, è dipeso dal fatto che gli attori avevano già rimborsato il finanziamento utilizzato per l’acquisto di azioni, così che la loro domanda di rideterminazione del saldo conto implicitamente è stata ritenuta una domanda di ripetizione delle somme annotate in uscita con funzione solutoria.

Correttamente, la Sezione non ha ravvisato nessun altro possibile interesse ad agire se non quello della ripetizione di quelle somme.  

Posto che, come s’è detto, gli attori hanno restituito alla banca convenuta gli importi oggetto dei finanziamenti, è evidente che le domande di accertamento della nullità dei contratti di finanziamento e di acquisto delle azioni costituiscono il presupposto logico della domanda, da far valere in sede concorsuale, volta alla restituzione degli importi e/o al risarcimento del danno: ciò che rileva, ai fini della valutazione della improcedibilità delle domande, è il petitum sostanziale, che, nella fattispecie in esame, è la restituzione degli importi pagati per estinguere il finanziamento; diversamente opinando, gli attori non avrebbero alcun interesse all’accoglimento delle domande, che dovrebbero essere dichiarate inammissibili ex art 100 cpc” (sent. 875/2019).

Pertanto, “deve affermarsi l’improcedibilità delle domande attoree anche come riformulate, in quanto domande comunque “idonee ad incidere sul patrimonio del soggetto in liquidazione coatta amministrativa, perché costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa” (sent. 875/2019).

Nel caso oggetto della decisione 878/2019, invece, il finanziamento concesso dalla banca emittente per consentire l’acquisto di azioni proprie non risultava ancora restituito alla data di introduzione della causa, così che la domanda tesa all’accertamento della inesistenza del debito relativo è stata considerata procedibile: “infatti la parte non potrebbe, dalla procedura concorsuale, ottenere una pronuncia che accerti la inesistenza di un credito della procedura medesima verso il terzo” (sent. 878/2019).

Nel caso oggetto della decisione 879/2019 i finanziamenti rilevanti erano due, di cui uno soltanto non ancora restituito alla data di introduzione della causa, per cui rispetto a tale domanda la pretesa è stata giudicata procedibile.

Non così le domande volte alla rideterminazione del giusto saldo conto, in quanto, anche in tal caso, ritenute recanti implicitamente una domanda di ripetizione: “Certamente non può questo giudice conoscere delle domande restitutorie che la parte attrice proponesse esplicitamente, come non può conoscere delle domande risarcitorie. Allo stesso modo non può questo giudice procedere a quegli accertamenti di ‘depurazione del conto’ conseguenti alla pronuncia demolitoria che certamente sono, a conto aperto, tutto ciò che il cliente può chiedere, e che gli viene in generale riconosciuto avere interesse a chiedere, ma che sono la prefigurazione di una domanda restitutoria. Che tali domande di verifica delle poste di conto della attrice celino pretese restitutorie lo dimostra il fatto che delle richieste al giudice di intervenire sulle poste di conto, elidendo quelle conseguenti ai contratti invalidi, accompagnavano tali e quali le domande originarie, ma la domanda di accertamento del saldo finale si chiudeva con la richiesta di ‘condannare la banca a pagare il saldo attivo accertato’” (sent. 879/2019).

La compensazione

Degna di nota la presa di posizione della Sezione specializzata in materia di compensazione, che conferma l’indirizzo a mente del quale tale eccezione è sempre opponibile ex art. 56 l. fall., anche al di fuori dello speciale rito dell’insinuazione al passivo e della procedura di opposizione allo stesso, purché venga sollevata in via di vera e propria eccezione (anche riconvenzionale), dal momento che in questo caso “la parte intende solo paralizzare la domanda di condanna della controparte, e quindi che nulla spetta a questa o che le spetta la somma decurtata del controcredito” (cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2013, n. 14418).

La Sezione specializzata non sembra lasciare spazio alla procedibilità della domanda valorizzando il fatto che sia proposta in funzione dell’accertamento negativo (totale o parziale) del credito della banca per il rimborso del finanziamento. In questo caso, è infatti considerata determinante la posizione processuale di attore del cliente della banca, posizione che impone di svolgere l’eccezione in via, appunto, di domanda, come tale improcedibile in sede ordinaria perché sottendente il riconoscimento di una pretesa recuperatoria (restitutoria o risarcitoria).

La finale e ultima richiesta di compensazione dei rispettivi debiti/crediti cela anch’essa chiari profili restitutori. Come detto, l’unico obbligo contrattuale ancora non integralmente eseguito del complessivo rapporto è solo l’obbligo di restituzione del finanziamento (rate residue), e non può darsi compensazione se non fra crediti contrapposti. Le restituzioni conseguenti alla demolizione del titolo sono strettamente assoggettate al principio della domanda, essendo regolate dall’art. 2033 c.c. La invocata “compensazione” del debito del finanziamento con il prezzo delle azioni e con gli interessi addebitati attiene dunque, in realtà, non già a prefigurate contro pretese della liquidatela – tali importi, anch’essi a debito del cliente, sono stati già onorati – ma a pretese restitutorie del cliente medesimo, di per sé sottratte alla cognizione del giudice ordinario” (sent. 879/2019).

Si tratta di conclusione che rischia di mettere in trappola gli attori che volessero agire in “prevenzione” (come si suole dire), poiché la loro eccezione di compensazione del credito della banca con i loro controcrediti per rimborso del valore delle azioni (in via di ripetizione da nullità o risoluzione contrattuale o in via di risarcimento) avrebbe inevitabilmente la veste di domanda.

Diverso, invece, il caso di chi resista all’azione di recupero della banca insolvente in via di eccezione, anche riconvenzionale, perché in tal caso “tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l.fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione” (Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 18/12/2017, n. 30298).

 

[1] Ossia le domande tese a far dichiarare l’inesigibilità del credito vantato dalla banca per aver finanziato il cliente al fine di acquistare azioni proprie. 

[2] Solo qualora non siano debt sensitive, per usare l’espressione usata dallo scrivente in Quale destino per le cause proposte contro le due popolari venete?, Le Società, n. 10/2017, p. 1132 

[3] L’art. 51 l.fall., richiamato anche dall’art. 201 stessa legge in materia di liquidazione coatta amministrativa ordinaria, pone la regola dell’improcedibilità in maniera espressa solo per le azioni esecutive e cautelari. Nella procedura fallimentare e nella liquidazione ordinaria l’improcedibilità delle cause di cognizione aventi ad oggetto una pretesa di credito (sia in via di mero accertamento che di condanna) viene ricavata invece dagli artt. 52 e 208 l.fall., che riservano allo speciale rito dell’insinuazione nello stato passivo il riconoscimento dei diritti del creditore (per questo l’art. 52 l.fall. viene solitamente considerato complementare alla disposizione dell’art. 51). Nulla, però, si dice sull’improcedibilità dei giudizi in generale. Anzi, l’art. 43 l.fall., nel limitarsi a disporre la sostituzione processuale del curatore, sembra introdurre una regola di senso contrario, rispetto alla quale il concorso fra creditori nello stato passivo potrebbe apparire una previsione speciale. In questo quadro all’art. 83 T.U.B. va riconosciuto il pregio di aver accorpato in un’unica disposizione ed in maniera chiara la regola generale della improcedibilità, riferendola in astratto ad ogni tipo di azione, salvi i rilievi che seguono nel testo.

[4] Cfr. ad es. Cass. 12 gennaio 2000, n. 282 e Cass. civ. Sez. I Sent., 23/07/2010, n. 17279 (“Sono azioni derivanti dal fallimento, ai sensi dell'art. 24 legge fall., quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna; ne consegue che non rientra invece nella competenza funzionale del foro fallimentare, prevista dalla predetta norma, la domanda del terzo che, volta alla declaratoria di nullità di un contratto (nella specie, di edizione) stipulato dalla società fallita, abbia come scopo solo tale accertamento, sia pur ai fini di ottenere – mediante l'inibizione ad effettuare lo sfruttamento delle opere – la libera disponibilità dei relativi diritti, non assumendo, al riguardo, alcun rilievo che essi siano stati nel frattempo inventariati nell'attivo del fallimento”) citata anche dalla Sezione specializzata di Venezia. In dottrina vedi P. Pajardi – A. Paluchoswky, Manuale di diritto fallimentare, VII ed., Milano, 2008, 337, per i quali “in sede fallimentare sono senz’altro escluse le domande di mero accertamento che non sono funzionali all’esecuzione e quindi non tendono alla partecipazione al concorso e alla ripartizione del patrimonio del fallito”.


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