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Giurisprudenza

Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: applicabilità in caso di preesistente concordato preventivo e delimitazione della nozione di profitto confiscabile

9 Gennaio 2020

Enrico Pezzi, dottorando in Studi Giuridici Comparati ed Europei, curriculum di diritto e procedura penale e filosofia del diritto, Università di Trento

Cassazione Penale, Sez. III, 02 ottobre 2019, n. 47103 – Pres. Liberati, Rel. Corbo

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza pubblicata, la Cassazione si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza Focarelli (Sez. U., 24 maggio 2004, n. 29951), secondo la quale il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria è insensibile alla procedura fallimentare. Secondo tale impostazione, infatti, solamente in relazione al sequestro funzionale alla confisca facoltativa ovvero a quello impeditivo il giudice è chiamato a bilanciare le ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori.

Per le ipotesi di confisca obbligatoria la Cassazione ha pacificamente sottolineato che la valutazione richiesta al giudice cautelare non contiene margini di discrezionalità, essendo la res considerata pericolosa in base ad una presunzione assoluta. Pertanto, nell’ipotesi di confisca disciplinata dall’art. 12 bis d. lgs. n. 74/2000, l’insensibilità della misura cautelare reale assume carattere “assoluto”, prevalendo anche sui diritti dei creditori e sull’ordine di prelazione nei pagamenti, poiché le somme potenzialmente confiscabili rilevano non tanto quali debiti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma in quanto profitto di un reato (confisca diretta), ovvero in quanto mezzi necessari per assicurare l’attuazione di una sanzione penale, (confisca per equivalente).

Tale assunto porta la Terza Sezione a riconoscere la compatibilità del sequestro anche nell’ipotesi di intervenuta omologazione, in epoca precedente all’adozione del vincolo cautelare reale, di un concordato preventivo in regime di continuità aziendale.

In tale prospettiva, la Corte, in continuità con altri precedenti conformi (Sez. III, n. 22061 del 23 gennaio 2019; n. 42087 del 12 luglio 2016; n. 5728 del 14 gennaio 2016), ritiene ammissibile il sequestro anche in presenza di transazioni od accordi tra il soggetto gravato del debito tributario e l’Amministrazione finanziaria, in quanto la funzione del primo consiste nel garantire che la misura ablatoria, pur se inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno del contribuente, esplichi i propri effetti qualora il versamento promesso non si verifichi: solo l’integrale pagamento del debito tributario rende inoperativa la confisca, determinando la revoca del sequestro preventivo.

In ogni caso, la Terza sezione precisa la non ammissibilità della rideterminazione dell’estensione del profitto del reato connessa alla stipulazione di transazioni fiscali con l’Amministrazione finanziaria, in assenza di una espressa previsione legislativa sul punto.

 (Sul rapporto fra tutela dei creditori nelle procedure concorsuali in relazione al sequestro ed alla confisca, M. Bontempelli, R. Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in Pen. Cont., 2/2019, 123; F. Menditto, Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, Milano, 2015).

Per quanto concerne infine il profitto del reato, l’orientamento giurisprudenziale prevalente fa applicazione del principio in base al quale la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme di denaro depositate in conti correnti del reo ove si abbia la prova che le stesse non possano in alcun modo derivare dal reato. Ciò si verifica in particolare nelle ipotesi di depositi di somme avvenuti in epoca successiva al momento del perfezionamento dell’illecito. Costituendo il profitto del reato tributario in un “risparmio di imposta”, esso va circoscritto alle utilità e valori esistenti al momento in cui esso viene perfezionato.

Sul punto, tuttavia, si riscontrano talune pronunce che sembrano riconoscere l’ammissibilità della confisca diretta, in una prospettiva più ampia, anche alle somme riscosse sulla base di un credito esistente al momento della consumazione dell’illecito e tuttavia in quella data non ancora esigibile (Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 6816, Sena).

La Corte, nella pronuncia in commento, aderisce all’orientamento nettamente prevalente, pur ritenendo di dover precisare il concetto di “risparmio di imposta” includendovi anche le ulteriori attività patrimoniali esistenti al momento della consumazione dell’illecito penale, con le quali sarebbe stato possibile sostenere la spesa dovuta ed indebitamente non sostenuta perché agevolmente liquidabili, e che solo successivamente sono state riscosse, le quali, in definitiva, possono costituire oggetto di confisca diretta e del sequestro ad essa funzionale (Sul rapporto fra “risparmio di spesa” e “profitto confiscabile” cfr. R. Borsari, Reati tributari e confisca di beni societari. Ovvero di un’occasione perduta dalle Sezioni Unite, in Le soc., 7/2014, 867; C. Piergallini, Responsabilità dell’ente e pena patrimoniale: la Cassazione fa opera nomofilattica, in RIDPP, 2/2014, 999; nonché, anche per un’ampia critica circa la confiscabilità del risparmio di imposta, V. Mongillo, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in RIDPP, 2/2015, 716).

 

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