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Giurisprudenza

Revocabilità delle rimesse su conti correnti bancari e prova della scientia decoctionis del creditore

7 Marzo 2016

Francesco Mancuso, Trainee presso Lombardi Molinari Segni

Cassazione Civile, Sez. I, 9 dicembre 2015, n. 24868

Di cosa si parla in questo articolo

Con il provvedimento in esame, la prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione (Pres. Ceccherini, Rel. Di Virgilio) si è espressa in materia di revocabilità delle rimesse effettuate su conti correnti bancari dal debitore poi dichiarato fallito nonché sulla prova della conoscenza, da parte del creditore (nel caso in esame, appunto, una banca) dello stato di insolvenza del debitore.

In particolare, la Suprema Corte, nell’affermare la correttezza dell’applicazione del criterio del saldo disponibile fatto proprio dalla Corte d’Appello (la cui decisione è stata poi oggetto del provvedimento in esame), ha statuito, tra l’altro, il principio secondo cui nel caso di plurime operazioni infragiornaliere di segno opposto da cui risulti uno scoperto di conto corrente “incombe al Fallimento l’onere di provare la cronologia dei singoli movimenti […] che può essere adempiuto anche mediante la prova logica in base all’assunto, favorevole alla banca, che computando prioritariamente tutti i versamenti e le rimesse, costituiscano ancora atti solutori i versamenti compresi tra lo scoperto di apertura ed il limite del fido” con la conseguenza che, qualora le rimesse in conto alla fine della giornata non siano di entità tale da far diminuire il saldo entro il limite del fido, deve riconoscersi alle predette rimesse “effetto estintivo del credito della banca” (così confermando i precedenti orientamenti in materia, tra cui, ex multis, Cass. 14676/2007).

La Cassazione si è pronunciata, poi, in merito all’applicabilità al caso in esame del criterio del massimo scoperto, di cui all’art. 70 l. fall. (che, come noto, limita l’obbligo di restituzione del creditore all’importo pari al differenziale tra l’ammontare massimo delle sue pretese – nel periodo in cui è provata la conoscenza dello stato di insolvenza – e l’ammontare residuo delle stesse alla data di apertura del concorso), nonché in relazione alla prova della scientia decoctionis del creditore. La Suprema Corte ha ribadito che il criterio del massimo scoperto è applicabile “soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure concorsuali iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto [il Decreto Legge che ha introdotto il principio in esame, ndr.]stesso, trattandosi di norme innovative […] e non d’interpretazione autentica”, precisando che, in relazione alla prova del requisito soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza in capo al creditore, detta prova “deve vertere sulla conoscenza dello stato di insolvenza e non sull’astratta conoscibilità” (cfr., in precedenza, ex multis, Cass. 20834/2010).

Nel caso di specie, il curatore fallimentare aveva agito nei confronti della banca creditrice ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall. per ottenere la revocatoria delle rimesse su conto corrente effettuate nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento sull’assunto della consapevolezza, da parte della banca, dello stato di insolvenza della società. Accolta la domanda attorea da parte del Tribunale e, a seguito del rigetto dell’appello promosso dalla banca, quest’ultima ha proposto ricorso per Cassazione contestando non solo l’inesatta qualificazione delle rimesse come solutorie, quanto anche la mancata conoscenza dello stato di insolvenza del debitore. Investito della controversia, il Supremo Collegio rigettato il ricorso per i motivi sopra illustrati e dunque confermato il provvedimento impugnato.

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