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Giurisprudenza

Responsabilità solidale tra società per i debiti non soddisfatti in caso di scissione

3 Maggio 2016

Daniele Ruggiero, Trainee presso GLG & Partners

Cassazione Civile, Sez. I, 7 marzo 2016, n. 4455

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 4455 del 2016 ha stabilito che “quando una scissione origina la costituzione di una nuova società, ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”. Secondo la Corte, inoltre, “detto principio riconosce il diritto del creditore alla preventiva escussione e individua soltanto un possibile ordine di escussione. L’ordine di escussione, ovvero, l’ordine di responsabilità rispetto al pagamento, potrà essere regolarmente attuato solo e soltanto se vengono correttamente formalizzate le costituzioni in mora dei debitori, secondo l’ordine di responsabilità”.

Gli ermellini, accogliendo parzialmente il ricorso, hanno, innanzitutto, chiarito l’interpretazione della norma di cui all’art. 2504-decies c.c., comma secondo (oggi 2506-quater c.c., comma terzo[1]), sostenendo che la stessa consente ai creditori della società originaria di potersi rivolgere, per il soddisfacimento del rispettivo credito, non solo alla società cui il debito è confluito a seguito della cessione (che, in ogni caso, risponde per intero) ma anche alla società scissa, nei limiti del patrimonio rimastole o assegnatole.

Preliminarmente, la Corte precisa che con “debiti della società scissa non soddisfatti dalla società di cui fanno carico” si devono intendere i debiti della società scissa la cui destinazione è desumibile dal progetto di scissione. E ciò per una duplice motivazione: (i) il testo della norma è inequivoco e (ii) i crediti la cui destinazione non è desumibile dal progetto sono già disciplinati dal dispositivo dell’art. 2506-bis c.c., comma terzo[2][3].

Ciò posto, la Corte ha decretato che a garanzia dei creditori esistenti prima della scissione deve essere assicurata una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo complesso, sia almeno pari all’ammontare del patrimonio netto ante scissione. La ratio della norma è da rinvenirsi, da un lato, nella tutela della garanzia patrimoniale generale stabilita dall’art. 2740 c.c., comma primo, in favore dei creditori e, dall’altro, nel principio generale secondo il quale il debitore non può, con atto unilaterale (quale, ad esempio, la scissione), diminuire la garanzia patrimoniale di cui i creditori godono[4].

Di contro, la responsabilità della società scissa è da intendersi non solo come sussidiaria, essendo esplicitamente previsto il beneficio della preventiva escussione[5] della società alla quale tale passività è stata trasferita ma anche limitata al valore effettivo del patrimonio netto contabile risultante dalla scissione. Tale ultimo limite tende, infatti, a definire “la misura del credito azionabile nei confronti delle società non beneficiarie, non la misura della garanzia patrimoniale prestata dal debitore” in quanto la norma tende a “mantenere integre le garanzie dei creditori sociali, non certo ad accrescerle”.

Per tutti questi motivi, la Suprema Corte, nel cassare con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, ha richiesto un accertamento ex novo dello stato di insolvenza della scindenda per stabilire per quale quota del debito quest’ultima debba essere chiamata a rispondere e quale incidenza effettiva abbia avuto tale porzione di debito sulla situazione patrimoniale della società.

 


[1] L’art. 2504-decies non è stato riproposto nell’ambito della sostituzione completa del capo cui apparteneva, in virtù di quanto disposto dall’art. 6 D. Lgs 17.01.2003, n. 6, con decorrenza dal 01.01.2004, ma il comma citato è confluito nel vigente art. 2506-quater.

[2] Tale norma prevede una disciplina pressoché identica a quella dettata dall’art. 2506-quater c.c., comma terzo. Dalla connessione tra le due norme citate può essere desunta la volontà del legislatore di tutelare, in maniera compiuta, completa e sostanzialmente identica, tutti i creditori della società ante scissione.

[3] Si potrebbe obiettare (ed è stato obiettato) che (i) l’art. 2503 c.c. – la cui disciplina, ai sensi dell’art. 2506-ter c.c., comma quinto, si applica anche in caso di scissione – già attribuisce ai creditori la possibilità proporre opposizione alla scissione potendo, dunque, determinare la mancata attuazione della stessa e (ii) i creditori che non hanno proposto tale opposizione erano ben a conoscenza della distribuzione dei debiti tra le società. Tale tutela assume carattere reale e opera ex ante ed è da tenere ben distinta da quella fornita dall’art. 2506-quater c.c., comma terzo, che, invece, mira a evitare la diminuzione della garanzia costituita dal patrimonio netto pre-scissione che si verificherebbe per effetto della stessa. Le due tutele, dunque, non devono intendersi come esclusive l’una dell’altra, ma piuttosto come complementari.

[4] Cfr. Tribunale di Milano, sezione ottava, 02 gennaio 2013.

[5] Che non può ritenersi escluso, come precisato dall’art. 1293 c.c. secondo il quale “la solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse . . .”.

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