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Attualità

Regime fiscale degli importi da equalizzazione nel settore dei fondi alternativi

5 Settembre 2023

Emidio Cacciapuoti, Partner, McDermott Will & Emery

Davide Massiglia, Counsel, McDermott Will & Emery

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 420 del 25 agosto 2023 sul regime fiscale degli importi da “equalizzazione” ricevuti dagli investitori nel contesto dei fondi di investimento alternativi.


La presente nota è volta a fornire alcune brevi osservazioni in merito al contenuto della Risposta dell’Agenzia delle Entrate ad istanza di interpello n. 420 del 25 agosto 2023 (la “Risposta”), avente ad oggetto il regime fiscale dei cosiddetti importi da “equalizzazione” ricevuti da taluni partecipanti ad un fondo di investimento (cosiddetti investitori “precedenti”) in conseguenza della partecipazione all’iniziativa da parte di investitori cosiddetti “successivi”.

I chiarimenti forniti dall’amministrazione finanziaria risultano di interesse in quanto rappresentano le prime interpretazioni note a commento della fattispecie degli importi da equalizzazione. Tuttavia, come illustrato nel prosieguo, si ritiene che l’analisi svolta e le conclusioni raggiunte dall’amministrazione finanziaria al fine di fornire riscontro al contribuente istante non possano considerarsi esaustive e definitivamente applicabili a tutte le fattispecie di equalizzazione riscontrabili nel mercato dei fondi alternativi.

1. La fattispecie oggetto dell’istanza di interpello e le conclusioni dell’Agenzia delle Entrate

La Risposta analizza l’applicazione della ritenuta del 26% da parte di un intermediario finanziario italiano con riferimento a taluni importi (“additional amount”) ricevuti da investitori italiani nel contesto della partecipazione ad un fondo alternativo di investimento di diritto estero (UE). L’intermediario istante svolge il ruolo di sostituto di imposta[1] in relazione ai proventi (redditi di capitale) conseguiti dagli investitori fiscalmente residenti in Italia e derivanti da tale fondo in quanto distributore (rectius collocatore) del fondo e soggetto che interviene nel pagamento degli stessi proventi.

Il regolamento di gestione del fondo (“limited partnership agreement”) prevede, come da prassi, che gli investitori successivi (“additional limited partners”) ammessi a partecipare al fondo “equalizzino” gli investitori precedenti (“original limited partners”). Tuttavia, per quanto possibile desumere dal testo della Risposta, nel caso di specie il gestore avrebbe avuto la facoltà (e non l’obbligo) di richiedere agli investitori successivi il pagamento di un importo con la funzione di riconoscere agli investitori precedenti una remunerazione per aver impiegato le proprie risorse finanziarie nel fondo per un arco temporale più lungo (additional amount). Inoltre, in base al testo della Risposta, l’additional amount sembrerebbe determinato sugli importi che gli investitori successivi avrebbero dovuto versare per partecipare al fondo se fossero stati ammessi alla data iniziale (e non dipendente dalla valorizzazione del portafoglio sottostante).

Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, l’additional amount, qualificato come “interest” nelle “distribution notice” inviate dal fondo, è riconosciuto agli investitori precedenti “in connessione all’impiego di capitale da questi effettuato” anteriormente agli investitori successivi, “nell’ambito del mandato conferito al gestore”. Ai fini fiscali, pertanto, tale additional amount rappresenterebbe per gli investitori precedenti “un provento riconducibile ai redditi di capitale di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR, il cui trattamento fiscale è equiparabile ad un provento distribuito (…) “in costanza di partecipazione”” al fondo (e dunque da assoggettare a tassazione a cura del sostituto di imposta in misura pari al lordo del relativo ammontare).

2. Le diverse fattispecie di importi da equalizzazione nel settore dei fondi alternativi

Il meccanismo di equalizzazione è necessario al fine di allineare la posizione finanziaria dei singoli investitori, indipendentemente dalle rispettive date di sottoscrizione nel fondo. Si tratta di una prassi consolidata per i fondi di investimento, laddove anche gli investitori che sottoscrivono quote in una fase successiva, sono considerati come se avessero sottoscritto alla data del primo closing (che solitamente coincide con la data di avvio di operatività del fondo).

Ne consegue che tutti gli investitori successivi saranno tenuti a corrispondere:

  • un importo, a titolo di commissione di gestione, calcolato applicando ai loro impegni di sottoscrizione la medesima percentuale complessivamente versata sino a quel momento dagli investitori che hanno sottoscritto quote del fondo precedentemente (investitori precedenti);
  • la propria quota proporzionale dei versamenti effettuati fino a quel momento dagli investitori precedenti, al netto di eventuali restituzioni, distribuzioni ovvero di rimborsi di cui questi ultimi siano stati nel frattempo destinatari.

Oltre a tali importi, i documenti costitutivi del fondo prevedono l’eventuale versamento di una somma aggiuntiva (l’additional amount di cui alla Risposta, nella prassi definiti “interessi da equalizzazione”) a favore degli investitori precedenti per il maggior impiego di capitali sotto il profilo temporale. Tale meccanismo di “compensazione” può essere effettuato seguendo diverse metodologie di applicazione e modalità di calcolo. Ai fini di un corretto inquadramento e qualifica (sia civilistica che fiscale) delle predette somme, sarebbe pertanto necessario effettuare un’analisi, caso per caso.

Senza pretesa di esaustività, proveremo ad analizzare le fattispecie più ricorrenti nel mercato (ivi inclusa quella oggetto della Risposta):

  1. i documenti costitutivi del fondo prevedono la facoltà per il gestore di richiedere il versamento di una somma da parte degli investitori successivi da calcolarsi tenendo in considerazione il valore di mercato del portafoglio già esistente nel fondo alla data di sottoscrizione degli investitori successivi;
  2. i documenti costitutivi del fondo prevedono l’obbligo da parte del gestore di applicare un tasso d’interesse predeterminato (solitamente Euribor incrementato di uno spread) sulle somme oggetto di equalizzazione.

Le due fattispecie appena descritte si distinguono per due caratteristiche principali: (i) la discrezionalità del gestore nell’applicare il meccanismo di equalizzazione e (ii) la metodologia di calcolo degli importi dovuti.

Nel primo caso, molto diffuso nei fondi con gestori extra-UE (tipicamente U.S.), il gestore ha la facoltà di richiedere un versamento che, per caratteristiche di calcolo, ricorda la corresponsione di un sovrapprezzo il quale, di fatto, remunera l’investitore precedente per l’eventuale incremento di valore del portafoglio. Trattasi quindi di una remunerazione strettamente correlata alla valorizzazione del capitale impiegato.

Nel secondo caso, invece, la ratio del meccanismo di equalizzazione è quella di “allineare” la partecipazione di tutti gli investitori alla data di avvio operatività del fondo, riconoscendo quindi agli investitori precedenti un importo a titolo di “indennizzo” per aver sostenuto una maggiore esposizione finanziaria anche solamente temporanea rispetto agli investitori successivi. In tal senso, il gestore non ha alcuna facoltà di applicare o meno la procedura ma è tenuto ad agire in base alle disposizioni regolamentari.

3. Le fattispecie di redditi di capitale potenzialmente rilevanti nei casi di equalizzazione e la casistica degli interessi “compensativi”

Ai sensi dell’articolo 44, comma 1, TUIR, costituiscono, inter alia, redditi di capitale:

  • gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti” (lettera a));
  • i proventi derivanti dalla gestione, nell’interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti” (lettera g));
  • gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale (…)” (lettera h)).

Nel caso degli importi aggiuntivi da equalizzazione dovrebbe risultare agevole escludere le somme in esame dalla fattispecie di redditi di capitale di cui alla lettera a). Difatti, considerando le modalità di funzionamento dei fondi di investimento e di partecipazione degli investitori agli stessi, non si ritiene ravvisabile un rapporto di mutuo nell’investimento effettuato dagli investitori precedenti in attesa dell’ingresso (meramente eventuale) degli investitori successivi.

Per quanto riguarda la fattispecie di cui alla lettera g), occorre sottolineare come il dato letterale della disposizione, in linea con la definizione regolamentare di organismo di investimento collettivo del risparmio[2], pone in evidenza la funzione economica del fondo (gestione collettiva del risparmio raccolto tra una pluralità di investitori) e la rilevanza delle scelte (autonome) del gestore al fine di qualificare i relativi proventi tassabili[3].

Con riferimento all’ultima fattispecie “di chiusura” di cui alla lettera h), si segnala che nelle precedenti formulazioni dell’articolo 44 (rectius articolo 41, TUIR ante modifiche introdotte dal D.lgs. n. 461/1997) era prevista esplicitamente l’esclusione dei cosiddetti interessi “compensativi” dalla definizione di redditi di capitale. Pertanto, tali importi non erano assoggettati ad imposizione nei casi diversi dalla percezione di tali somme nell’ambito del reddito di impresa.

La nozione civilistica di interessi compensativi ex articolo 1499, Codice civile, individua come tali quegli interessi che hanno il fine di compensare del mancato godimento dei frutti della cosa consegnata. Detti interessi sussistono perciò solo se la cosa è fruttifera e c’è stata la consegna, ancorché il debito non sia ancora esigibile[4]. Come confermato dalla Corte di Cassazione, gli interessi compensativi sono dovuti quando le reciproche prestazioni dei contraenti non devono essere eseguite contemporaneamente e sono così chiamati perché servono “per una funzione equitativa allo scopo di ristabilire l’equilibrio economico tra i contraenti” (sottolineatura aggiunta)[5].

L’amministrazione finanziaria si era espressa a commento dell’esclusione da tassazione degli interessi compensativi[6] innanzitutto confermando che, nonostante il dettato del Codice civile faccia riferimento alla fattispecie della compravendita, “costituiscono indubbiamente una categoria giuridica estensibile oltre il limitato ambito per il quale essi trovano una definizione normativa[7] e infine ritenendo che “[l]a ratio degli interessi compensativi è, infatti, quella di non privare il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione, avente ad oggetto beni fruttiferi, dei frutti che gli stessi producono, attribuendo in tal modo un ingiustificato vantaggio all’altra parte[8].

La relazione illustrativa al D.lgs. n. 461/1997 che ha introdotto la citata modifica della lettera h) all’articolo 41, TUIR specifica che “venendo alla norma di definizione e di chiusura di cui alla lettera h), si è utilizzata l’espressione “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale”, per sottolineare, dal punto di vista economico, che il reddito di capitale si caratterizza come tipica fattispecie di reddito prodotto (a differenza del reddito diverso – guadagno di capitale espressione economica di un reddito entrata) e, dal punto di vista giuridico, che per la produzione di un reddito (frutto economico del capitale) è necessaria l’esistenza di un atto (negozio od altro rapporto) di impiego del capitale. Tale definizione è apparsa già sufficientemente chiara per escludere dalla categoria in esame tutte quelle somme che non siano frutto di un atto di impiego del capitale, quali, in particolare, i cosiddetti interessi compensativi dovuti a titolo di mera reintegrazione di una posizione di perdita patrimoniale. Si è ritenuto, pertanto, non necessario ripetere l’esclusione degli interessi compensativi, presente nell’attuale art. 41” (sottolineatura aggiunta).

4. Conclusioni

Tutto quanto sopra premesso, si procede con la valutazione degli impatti fiscali delle fattispecie di additional amount da equalizzazione nelle differenti casistiche riscontrabili nella prassi di settore.

  1. Nei casi in cui la richiesta di pagamento degli additional amount sia rimessa alla discrezione del gestore e la base di calcolo dipenda dalla valorizzazione attuale del portafoglio del fondo alla data di ingresso degli investitori successivi, tali somme dovrebbero essere qualificate come redditi di capitale derivanti dalla partecipazione al fondo ed in particolare come “proventi distribuiti in costanza di partecipazione” anche in ragione della definizione normativa di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), TUIR la quale collega la qualifica fiscale dei redditi da organismi di investimento collettivo del risparmio alla gestione del patrimonio e, dunque, anche all’incremento del valore del fondo stesso.
  2. Diversamente, nei casi in cui il gestore abbia l’obbligo di procedere con l’equalizzazione e l’additional amount sia parametrato al valore dei versamenti degli investitori successivi, indennizzando così gli investitori precedenti per il loro impiego di capitali a favore dei medesimi investitori successivi, tali importi non potrebbero essere qualificati come redditi di capitale ex articolo 44, comma 1, lettera g), TUIR stante l’assenza di correlazione tra le predette somme e l’attività di investimento svolta dal gestore e il conseguente andamento del portafoglio. Si potrebbe trattare invece di importi potenzialmente qualificabili come redditi di capitale derivanti da “altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale” di cui all’articolo 44, comma 1, lettera h), TUIR[9]. Tuttavia, posto che la motivazione della corresponsione degli additional amount è quella di eliminare differenze tra investitori precedenti e successivi e dunque “ristorare” gli investitori precedenti che hanno anticipato finanziariamente le somme investite anche a favore degli investitori successivi, tali importi rientrerebbero nella definizione di interessi compensativi e pertanto non assoggettati a tassazione in capo ai soggetti non esercenti attività di impresa[10].

Merita inoltre segnalare che la qualificazione degli additional amount viene spesso specificata nel regolamento di gestione e pertanto occorrerebbe anche tenere conto della costante interpretazione dell’Agenzia delle Entrate volta a dare rilevanza alle disposizioni regolamentari al fine di definire il regime fiscale applicabile alle somme derivanti dalla partecipazione ai fondi di investimento[11]. Ad ogni modo, stante la richiamata definizione civilistica di interessi compensativi e la ratio sottesa al meccanismo dell’equalizzazione, l’esclusione da tassazione dovrebbe risultare applicabile a prescindere dalla presenza di una specifica clausola qualificatoria degli additional amount come interessi compensativi nel regolamento di gestione.

 

[1] Ai sensi dell’articolo 10-ter, comma 2, Legge n. 77/1983.

[2] Si veda articolo 1, comma 1, lettera k), D.lgs. n. 58/1998.

[3] In sede di commento alla riforma della fiscalità dei proventi da organismi di investimento collettivo del risparmio introdotta dal d.l. n. 225/2010, secondo quanto specificato dall’amministrazione finanziaria, “[t]ali redditi riflettono la valorizzazione delle quote del fondo stesso operata dalla società di gestione e pertanto si tratta di quei proventi direttamente riferibili all’incremento di patrimonio rilevato in capo all’OICR” (Circolare n. 33/2011 paragrafo 3.).

[4] Come riscontrabile, ad esempio, nei fondi di investimento dove i versamenti effettuati da parte degli investitori precedenti sono un dato di fatto e l’ingresso degli investitori successivi e i relativi versamenti sono soltanto eventuali.

[5] Cfr., ex multis, Cassazione n. 16172/2017 e n. 10726/2001.

[6] Circolare n. 24/1979.

[7] Pertanto, la fattispecie degli interessi compensativi ben potrebbe essere riscontrata anche al di fuori della casistica dei contratti di compravendita (ad esempio nel settore dei fondi di investimento) al ricorrere della funzione equitativa in base alla relativa ratio così come individuata dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza nelle rispettive interpretazioni.

[8] L’esclusione da tassazione delle somme qualificabili come interessi compensativi anche nell’attuale formulazione della disposizione di cui all’articolo 44 del TUIR è sostenuta anche da autorevole dottrina secondo cui “[p]er quanto riguarda, invece, gli interessi compensativi si ricorda che gli stessi, sia in base alla disciplina contenuta nel previgente D.P.R. n. 597 del 1973, che in quella del T.U.I.R., non formano oggetto di tassazione, a meno che, non siano conseguiti nell’esercizio dell’impresa. La non tassabilità degli interessi compensativi, nel senso che non sono ricompresi tra i redditi di capitale, è confermata dall’art. 44, comma 1, lett. h), del T.U.I.R. Si deve osservare, infatti, che la nozione di reddito di capitale, come individuata nell’art. 44 del T.U.I.R., impedisce di considerare gli interessi in questione come proventi riferibili ad un impiego di capitale” (M. Leo, ”Le imposte sui redditi nel Testo Unico”, Tomo I, 2022, pag. 648).

[9] Per le ragioni esposte nella presente nota non si ravvisano motivazioni a supporto di tale tesi, tuttavia, qualora si accedesse a tale interpretazione, sebbene la SGR o gli intermediari finanziari che intervengono nella riscossione non ne sopportano l’onere economico, gli stessi potrebbero essere tenuti a svolgere il ruolo di sostituto di imposta in relazione al pagamento di tali somme (cfr., ex multis, Risoluzione n. 89/2012). In tal caso, dovrebbe essere oggetto di analisi anche il presupposto territoriale di tassazione dei redditi in esame (ex articolo. 23, comma 1, lettera b, TUIR) in quanto “il mero pagamento da parte di un soggetto italiano [es. la SGR] dietro specifico incarico non fa perdere al provento la natura di “reddito di fonte estera” (Circolare n. 213/2000, paragrafo 1.3). Pertanto, il regime fiscale degli interessi da “equalizzazione” dipenderebbe dalle caratteristiche soggettive degli investitori successivi pagatori (es. residenti in Italia vs non residenti) e degli investitori precedenti percettori (es. residenti in Italia vs non residenti) e non dal paese di residenza/stabilimento del fondo di investimento. Nella valutazione degli impatti fiscali che deriverebbero dalla qualifica di redditi di capitale ex articolo 44, comma 1, lettera h), TUIR, non trattandosi dunque di proventi da fondi di investimento, non risulterebbero applicabili le disposizioni/procedure previste con riferimento ai proventi da fondi in materia, ad esempio, di codici tributo per il versamento delle ritenute, di compilazione modello 770 e di individuazione delle fattispecie di esenzione ex D.lgs. n. 239/1996 (ad esempio, si dovrebbero applicare nei confronti degli investitori non residenti le riduzioni da ritenuta ai sensi delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni oltre che le relative certificazioni e modulistica, compresa la necessità di aggiornamento delle stesse ogni anno).

[10] Diversamente da quanto sostenuto dalla dottrina pubblicata a commento della Risposta, cfr. M. Piazza, “Negli Oicr i primi investitori hanno un provento extra”, Sole 24 Ore, 26 agosto 2023. Si condivide, invece, il commento dell’autore in merito al fatto che il pagamento degli additional amount aumenta il costo fiscalmente rilevante della partecipazione al fondo per gli investitori successivi al pari di commissioni o spese di sottoscrizione.

[11] Cfr., ex multis, Circolare n. 33/2011, Risposta n. 269/2019 e Risposta n. 197/2021.

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