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Giurisprudenza

Recesso ad nutum solo nelle società a durata indeterminata

15 Febbraio 2021

Federica De Gottardo, Dottoranda in diritto commerciale presso l’Università di Trento, Avvocato in Trento

Tribunale di Milano, 14 luglio 2020, n. 4186 – Pres. Crugnola, Rel. Marconi

Di cosa si parla in questo articolo

Mediante la sentenza de qua il Tribunale di Milano ha confermato il recente orientamento giurisprudenziale che, a seguito di pronunce di segno opposto, ha escluso la possibilità di estendere alle società di capitali il principio, applicabile alle società di persone, che equipara la società con durata statutaria che ecceda l’aspettativa di vita dei soci alla società con durata indeterminata.

Nella specie, il giudizio ha avuto ad oggetto la validità ed efficacia del recesso ad nutum ex art. 2437, comma 3, c.c. esercitato da alcuni soci di una società bancaria la cui durata statutaria era stabilita sino all’anno 2080.In particolare, ai fini della configurabilità del proprio diritto di recesso,i soci attori hanno sostenuto l’assimilabilità della società partecipata ad una società per azioni a tempo indeterminato, in applicazione analogica del principio elaborato dalla giurisprudenza in tema di società di persone sulla base del disposto dell’art. 2285 c.c., secondo cui “ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci”.

Sul punto, il Giudice di prime cure ha dichiarato di aderire ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, la quale ha tracciato una chiara distinzione tra società di persone e società di capitali in relazione al diverso contemperamento tra la tutela del diritto del socio al disinvestimento e la tutela dei terzi creditori della società. Al riguardo, la Suprema Corte ha infatti precisato come – diversamente dalle società di persone, in cui i creditori “possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili” – nelle società di capitali non si possa prescindere dalle “esigenze di certezza e di tutela dell’interesse dei creditori al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest’ultimo offerta” (v. Cass. 21 febbraio 2020, n. 4716). Sulla base di ciò, il Tribunale di Milano ha quindi chiarito che “nelle società di capitali l’interesse del socio al disinvestimento, ove il contratto sociale preveda un termine di durata eccedente le sue aspettative di vita, collide, infatti, con l’interesse dei terzi creditori a non vedere pregiudicata la loro unica garanzia generica, costituita dal patrimonio sociale, attraverso l’esercizio imprevedibile di diritti potestativi all’uscita dalla compagine sociale che possano intaccarne la consistenza. Problema, questo, che non sussiste nelle società di persone, ove il socio receduto continua, comunque, a rispondere anche con il suo patrimonio personale delle obbligazioni assunte dalla società quando ne era socio”.

In considerazione di tale distinzione, il Tribunale di Milano ha pertanto statuito che “l’art. 2437 comma 3 c.c. che attribuisce al socio la facoltà di recesso ad nutumdalla società di capitali a tempo indeterminato è norma di stretta interpretazione che tende, appunto, a contemperare l’interesse del socio al disinvestimento con l’interesse dei terzi creditori alla conservazione della loro garanzia patrimoniale ed alla prevedibilità delle cause che possono intaccarne la consistenza”. La preminenza accordata all’interesse dei creditori sociali e dei terzi rispetto a quello del socio al disinvestimento trova fondamento, infatti, nella circostanza per cui “mentre il socio ha scelto o accettato l’assetto organizzativo della società nel momento in cui è entrato nella compagine sociale, il terzo resta, invece, esposto impotente al rischio del depauperamento della garanzia generica per effetto dell’esercizio imprevedibile della facoltà di recesso da parte del socio”.

Tale conclusione, ha precisato il Giudice di prime cure, vale a maggior ragione “nel caso di recesso dalla società che eserciti l’attività bancaria, sottoposta alla necessità dell’osservanza di norme particolari a tutela del patrimonio cd. di vigilanza (o capitale primario) che, a garanzia dei risparmiatori e dei terzi investitori, deve rispondere a particolari limiti legali di capienza e requisiti di qualità dell’attivo che lo compone, ai fini dell’esercizio dell’attività creditizia (v. C. Cost. 21 marzo 2018, n. 99)”.

 

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