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Giurisprudenza

Prova dell’anteriorità del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento a mezzo documenti digitalizzati

24 Aprile 2018

Sara Addamo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 23 maggio 2017, n. 12939 – Pres. Didone, Rel. De Chiara

In un giudizio di opposizione allo stato passivo, il creditore aveva fornito la prova dell’anteriorità del proprio credito alla dichiarazione di fallimento tramite documenti digitalizzati riportanti una marca temporale da cui risultava la data certa, ai sensi dell’art. 1 cod. amm. digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82). La curatela, in sede di costituzione nel giudizio di rinvio, aveva eccepito il mancato rispetto, da parte della società certificatrice (che risultava regolarmente iscritta nel Pubblico Registro dei Certificatori previsto dall’art. 39 d.P.C.m. 30 marzo 2009), delle regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme digitali, validazione temporale del documento informatico, formazione e conservazione del medesimo, previste dal predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Suprema Corte rilevava in merito anzitutto che, stante l’accreditamento e la conseguente iscrizione della società certificatrice nell’apposito elenco pubblico tenuto dal CNIPA, vige una presunzione di conformità della sua attività alle regole tecniche sulla validazione temporale previste dal codice dell’amministrazione digitale, per cui è onere di chi intenda contestarne il rispetto allegare e provare che il certificatore non le abbia invece rispettate.

Inoltre la Corte di Cassazione precisava che l’allegazione in fatto non può, ai sensi dell’art. 394, ult. comma, cod. proc. civ., essere effettuata per la prima volta nel giudizio di rinvio, in quanto nella presente ipotesi è in discussione la veridicità dell’atto attributivo di certezza alla data dei documenti prodotti dal creditore a dimostrazione del proprio credito insinuato al passivo fallimentare, sulla quale incide la predetta presunzione, e non la stessa esistenza della data certa (il cui difetto è stato più volte ritenuto rilevabile d’ufficio: Cass. Sez. U, 20 febbraio 2013, n. 4213).

La Suprema Corte pronunciava, quindi, il seguente principio di diritto:è onere della parte interessata a negare la certezza della data – e dunque, nel giudizio di opposizione a stato passivo, è onere del curatore fallimentare – allegare e provare la violazione delle regole tecniche sulla validazione temporale, al rispetto delle quali l’art. 20, comma 3, cod. amm. digitale subordina l’opponibilità ai terzi della data (e dell’ora) apposta al documento informatico da certificatore accreditato e iscritto nell’elenco di cui all’art. 29, comma 6, cod. cit. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 179 del 2016), e tale allegazione in fatto non può essere effettuata per la prima volta nel giudizio di rinvio.


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