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Editoriali

A proposito dell’ACF e degli “inadempimenti” degli intermediari

15 Gennaio 2021

Gianpaolo E. Barbuzzi

Presidente ACF

Di cosa si parla in questo articolo

In un editoriale pubblicato di recente su questa Rivista è stato sollevato il tema dei plurimi inadempimenti delle decisioni ACF da parte degli intermediari.

Inadempimenti che inducono l’Autore a dirsi impressionato dall’entità degli stessi e tali da poter pregiudicare la credibilità dell’Organismo nonché la sua efficacia quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo al rimedio giudiziale, finendo con il minare la fiducia dei risparmiatori nello strumento e a fungere, in ultima analisi, quale disincentivo all’uso dello strumento stesso.

La questione sollevata è di grande rilievo, dati gli interessi coinvolti. È per questo che propongo di affrontarla con una postura valutativa che abbia un orizzonte più ampio, a maggior ragione trattandosi di uno strumento la cui efficienza – in assenza del carattere giuridicamente vincolante – riposa sulla sua “effettività” che è, però, da valutare anche ad ampio spettro e tenendo conto del contesto complessivo in cui le vicende concrete si inseriscono.

I dati statistici dicono molto ma non necessariamente tutto, soprattutto quando aggregati.

I mancati adempimenti delle decisioni ACF sono riconducibili in massima parte a tre specifiche vicende.

1. Banche venete – L’ACF ha avviato la sua operatività il 9 gennaio 2017. Essa è coincisa con il progressivo manifestarsi dello stato di crisi di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Circa la metà (585) dei ricorsi pervenuti nel primo semestre dell’anno (1.182) sono stati presentati da azionisti delle due banche.

Il provvedimento BCE di revoca della “licenza bancaria” del 19 luglio 2017 ha fatto venir meno la competenza dell’ACF a ricevere ulteriori ricorsi riferiti alle due banche ma non ha pregiudicato la possibilità di pronunciarsi su quelli pendenti; ciò, pur nella consapevolezza che eventuali decisioni favorevoli avrebbero al più consentito ai risparmiatori danneggiati di tentare la strada dell’insinuazione al passivo della procedura di l.c.a., oramai avviata, con tutta l’alea del caso.

Le decisioni assunte[1] – pur prive in sé di concrete chance di adempimento diretto – hanno consentito di dare sostanza provvedimentale all’intervento legislativo poi operato con il decreto “milleproroghe 2018” prevedendo, per i risparmiatori la cui pretesa fosse stata accertata dall’ACF, il diritto a un ristoro pari al 30%. È dunque il legislatore che ha riconosciuto valore di effettività alle decisioni dell’Arbitro, considerandole presupposto idoneo per l’erogazione di fondi pubblici: 854 risparmiatori si sono visti così accreditare, nei primi mesi del 2019 e sulla base delle decisioni loro favorevoli dell’ACF, direttamente sui loro conti correnti, circa 12 milioni di €. Non ho contezza che analoghi e così tangibili risultati, ottenuti pur sempre tramite la “mediazione” di una decisione dell’ACF, siano stati conseguiti in altre sedi.

Resta tuttora irrisolto il nodo della legittimazione passiva, quale responsabile civile, del soggetto resosi cessionario degli asset delle due banche in l.c.a. per le operazioni di commercializzazione di strumenti finanziari delle stesse banche, poste in essere dalle allora controllate banche di territorio. Questione su cui il Collegio ACF si è espresso in senso favorevole per i risparmiatori e il giudice civile di primo grado in maniera non univoca. Non constano pronunce giudiziali di grado superiore. Le decisioni ACF rimaste ineseguite sono 135.

2. Banche “risolte” – Sono 150 le decisioni non eseguite relative a fattispecie di misselling nella commercializzazione di titoli emessi da 3 delle 4 banche poste in risoluzione a fine 2015[2]. Pregiudiziale al loro esame nel merito si è rivelata la soluzione della questione circa la legittimazione passiva delle banche acquirenti delle good bank nate dalle ceneri delle vecchie banche risolte. Il Collegio ACF si è espresso in senso positivo. Anche in tal caso varie pronunce giudiziali di primo grado si sono rivelate non portatrici di univoche certezze. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del febbraio 2019, ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva della banca acquirente. Non può che auspicarsi, a questo punto, un intervento risolutivo della Suprema Corte.

3. Azioni, illiquide, emesse da banche popolari – E’ il tema più caldo sul fronte ACF, in quanto 984 dei 3.450 ricorsi pervenuti nell’ultimo biennio riguardano controversie su azioni emesse da 6 banche popolari[3]; azioni rivelatesi poi illiquide, con l’ulteriore effetto che molti ignari risparmiatori sono rimasti prigionieri degli investimenti effettuati. Le quasi 300 decisioni di accoglimento dei ricorsi finora assunte hanno trovato esecuzione solo in 4 casi; peraltro, in poco meno di 200 di questi casi risulta che le decisioni siano state poste a fondamento di accordi di natura conciliativa intercorsi direttamente tra la banca popolare interessata e le associazioni dei risparmiatori aderenti ad un tavolo appositamente costituito, e che ha assunto volontariamente come parametro le decisioni ACF. Anche in questo ritengo possa esprimersi il valore di “effettività” delle decisioni, dal momento che talemodus procedendi ha consentito di erogare ristori, ancorché parziali, a favore di soggetti ritenuti danneggiati dall’ACF. Anche su questo fronte non ho contezza che per i risparmiatori coinvolti sia finora andata meglio in altre sedi.

Concludendo:

– le mancate esecuzioni delle decisioni ACF relative ai tre filoni sopra richiamati sono del tutto preponderanti (95% del totale); marginali quelle riferite al restante contenzioso (5%);

– pur a fronte di tali mancate esecuzioni, resta che l’attività sinora svolta dall’ACF per il contenzioso sub 1 e 2 ha consentito l’erogazione di risarcimenti tempestivi e di entità non trascurabile; d’altronde, non è un caso che l’emergenza ristori sia stata affrontata costituendo a fine 2018 il FIR e dotandolo di un cospicuo fondo pubblico. Il FIR può, inoltre, giovarsi a fini accertativi delle decisioni ACF rimaste ineseguite, così da accelerare l’iter dei rimborsi;

– quanto ai casi sub 3, si tratta di controversie seriali, diretto effetto delle modalità di raccolta sul territorio di risorse patrimoniali negli anni passati da parte di talune banche popolari. Per esse c’è da chiedersi se decisioni non vincolanti assunte da un organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie rappresentino strumento in sé bastevole e se non sia opportuno che esse trovino quantomeno sostegno in pronunce giudiziali definitive di analogo tenore, ovvero che ne venga sancita la vincolatività;

– per il resto, i dati sulla complessiva attività finora svolta, che saranno ben altrimenti esposti e commentati nell’oramai prossima Relazione 2020, consentono a mio avviso di fugare le pur comprensibili preoccupazioni manifestate su questa Rivista;

– depongono nello stesso senso i feedback rivenienti dal quotidiano rapporto con gli utenti del sistema, come anche l’attenzione che percepiamo come crescente da parte degli intermediari nel tener conto degli orientamenti ACF in sede di trattazione dei reclami della clientela, quale mezzo per disinnescare sul nascere situazioni di potenziale conflittualità;

– infine, il trend al rialzo dei ricorsi che pervengono è ulteriore segnale di una fiducia nello strumento che, lungi dall’affievolirsi, si sta piuttosto rafforzando.

 


[1] V., più diffusamente, comunicato stampa del 30 novembre 2018, in sito ACF, sez. Pubblicazioni. I dati ivi pubblicati inglobano anche il contenzioso sulle banche risolte a fine 2015.

[2] Banca Etruria. Banca delle Marche e Cassa di Risparmio di Ferrara.

[3] Di cui 818 riferiti ad un’unica banca popolare.

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