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Prestiti e interesse composto: osservazioni di un matematico

1 Marzo 2024

Fabrizio Cacciafesta, Professore Emerito di Matematica Finanziaria, Università di Roma “Tor Vergata”

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: Il presente articolo approfondisce il tema del prestito con ammortamento alla francese attraverso un preciso angolo visuale, quello cioè dello studioso di matematica finanziaria. Dopo aver valutato criticamente alcuni profili problematici dell’istituto – plausibile illiceità della modalità di calcolo, rischio di anatocismo, mancanza di trasparenza – il percorso argomentativo seguito conduce a sostenere che tale modalità di ammortamento non costituisce un’operazione che si svolge in interesse composto.

ABSTRACT: The present article delves into the topic of so called French repayment scheduled loans, through a a specific perspective, that of the financial mathematician. After critically evaluating certain problematic aspects of the institution – such as the plausible illegality of the calculation method, the risk of usury, and the lack of transparency – the argumentative path followed leads to the conclusion that this amortization method does not constitute an operation that takes place in compound interest.


1. Introduzione

E’ atteso, per la fine di questo mese di febbraio, un pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia dei tradizionali prestiti ad ammortamento francese (d’ora in avanti: AFS, l’ultima lettera stando per “standard”).

In realtà, la questione posta dall’ordinanza del tribunale di Salerno che ha innescato il procedimento[1] appare di portata assai limitata. La Corte è chiamata, formalmente, a pronunciarsi sulla validità di un contratto di prestito che non dichiari la modalità secondo cui è disegnato il piano di ammortamento e il regime finanziario adottato. In questi termini, vi è solo una risposta: brevissima, e che abbiamo già data[2] ma non mancheremo di ripetere (par. 2). L’aspettativa comune è però che il responso “salga di livello”, e valga a dissipare tutti e dubbi e le incertezze che, a diverso titolo e da diversi punti di vista, sono stati avanzati nell’ultimo quindicennio riguardo la compatibilità dell’AFS con i principi del nostro ordinamento.

Personalmente, aggiungiamo la speranza che il responso sia per essere tecnicamente ben fondato quanto agli inevitabili contenuti matematico-finanziari: condizione, crediamo, necessaria perché sia destinato a valere davvero. Preoccupa a questo riguardo constatare (anche nell’ordinanza, e in alcuni commenti ad essa[3]) sull’argomento dell’ammortamento dei prestiti in generale, e dell’AFS in particolare, la persistenza di  luoghi comuni: criticabili non in quanto comuni ma in quanto, dal punto di vista matematico, errati[4]. Accanto ad essi, sono recentemente comparsi nuovi “capi d’imputazione” il cui esame esula, in parte, dalle competenze di chi scrive; ma sui quali pure sembra opportuno tentare di fornire a chi dovrà giudicare qualche informazione in una materia che può essergli, oggettivamente, alquanto estranea.

Tra i, ci sia consentito dire, “critici dell’AFS”, sembra si possano distinguere quattro diverse posizioni, che esamineremo separatamente nei paragrafi dal 3 al 6. Alcuni ritengono specificamente l’AFS una forma di ammortamento illecita; altri estendono quella che sostanzialmente è un’accusa di anatocisticità a tutte le modalità di prestito in uso; altri ancora (tra questi, il Tribunale di Salerno) lamentano che l’eventuale uso dell’interesse composto (ad es., per un AFS) non venga menzionato nel contratto; altri ancora, infine, parlano di indeterminatezza e/o mancanza di trasparenza in relazione al fatto che alcuni termini contrattuali potessero essere usati in modo più favorevole al debitore, senza che questi ne fosse a conoscenza.

Il paragrafo 2 sarà dedicato a stabilire il necessario supporto tecnico e terminologico. Seguirà immediatamente il fatto fondamentale: che quella di AFS è un’operazione che non si svolge in interesse composto. Il resto del lavoro non farà che suffragare questo risultato.

2. Premesse matematico-finanziarie: l’interesse composto e i prestiti

Ricordiamo la definizione fondamentale: un capitale è investito in interesse composto quando gl’interessi via via, da subito, prodotti, sono istantaneamente “capitalizzati”: ossia, aggiunti al capitale, del tutto confusi con esso e resi, con ciò, anch’essi fruttiferi. L’espressione inglese è quella di “continuously compounded interest”. La dinamica è quella, si scusi la trivialità del paragone, di una massa che, lievitando, si gonfi.

Il richiamo alla continuità mostra che si tratta di una nozione puramente teorica; eppure, si osservi, indispensabile per la moderna Finanza Matematica.

In molte applicazioni pratiche, la capitalizzazione avviene non “istante per istante”, ma a intervalli (in genere, regolari) di tempo: si parla allora di capitalizzazione mensile, annuale o che altro (monthly, yearly, … compounded interest). Potremmo parlare, in questi casi, di “interesse composto in senso lato”.

In relazione ad un’operazione di prestito, la sentenza della Corte di Cassazione 5286/2000 stabilisce che in presenza di rate … che comprendono parte del capitale e gli interessi, tali interessi non possono certamente divenire capitale da restituire a chi l’ha concesso. E’ dunque a priori inibito che si possa parlare, in relazione ad un prestito, di “capitalizzazione degl’interessi” e dunque di “interesse composto” anche in senso lato. Accortisi di ciò, alcuni sostenitori[5] della presenza di tale regime nello svolgimento dei prestiti hanno rinunciato alla loro idea di pensare al montante dell’operazione come ad una “miscela di capitale ed interessi” (espressione alla quale tenevano molto), e hanno proposto di distinguere la “vera capitalizzazione” come definita in matematica (che dà luogo proprio a quel miscuglio), da una “capitalizzazione giuridica” consistente, in sostanza, nel rendere fruttiferi gl’interessi, tenendoli però distinti dal capitale. Resterebbe la produzione di interessi da interessi (dunque, la anatocisticità), ma si sarebbe in regola con la sentenza appena citata.

Non abbiamo alcuna difficoltà ad accettare l’idea di un debito per interessi tenuto sempre ben distinto da quello per capitale. Ma questo non sposta la sostanza: in nessun prestito in uso (i “PAST”, ossia “prestiti ad ammortamento standardizzato tradizionale” del Rapporto Amases[6]) si ha mai nemmeno “capitalizzazione giuridica” degl’interessi, né istantanea, né periodica. La presenza dell’interesse composto, sia pure “in senso lato”, è del tutto fuori discussione.

In quanto matematici, siamo tenuti a dimostrare quanto asseriamo.

Occorre ricordare che un PAST (ossia, uno qualunque dei prestiti di fatto in uso) prevede una procedura di rimborso progressivo del debito, concordata con una qualunque logica: al limite, con un solo pagamento finale (modalità bullet). A questa procedura si affianca il pagamento periodico di tutti gl’interessi generati, dalla scadenza precedente, dal capitale ancora non rimborsato: dunque, il loro periodico azzeramento.

Tra una scadenza e la successiva, gl’interessi si formano linearmente (non risulta che qualcuno abbia mai posto in dubbio questo fatto, prescritto dalla sentenza n. 191/1964): ne segue che essi non vengono mai “capitalizzati”, neanche “giuridicamente”. Né lo sono al termine del periodo: perché gl’interessi generati periodo per periodo sono pagati al termine di ogni periodo, non possono andare a costituire ad aggiungersi al debito fruttifero (sia pure come componente distinta).

Questo termina la dimostrazione.

Càpita di leggere di interessi pagati che parteciperebbero alla formazione di ulteriori interessi. La sola logica alla base di questa affermazione è che quanto si è pagato a titolo d’interessi avrebbe potuto essere impiegato per ridurre il debito. Ma gli interessi generati da un capitale non rimborsato perché si sono dovuti pagare altri interessi, non sono certo generati da questi ultimi. O si pensa, forse, che le imposte pagate in un anno si continuino a pagare anche in tutti quelli successivi, perché se non si fossero pagate avrebbero generato, anno dopo anno, frutti che sono invece venuti a mancare?

Confermeremo comunque quanto ora dimostrato nei paragrafi 3 e 4, proponendo altre considerazioni ed esempi.

Concludiamo il paragrafo: un prestito AFS è un “PAST”; ma nessun PAST si svolge in interesse composto (neppure “in senso lato”). Dunque, come abbiamo già argomentato altrove[7], l’ordinanza del Tribunale di Salerno è fondata su un equivoco: essa chiede alla Corte di Cassazione come vada giudicato un contratto di prestito che non dichiari il falso.

Nei prossimi paragrafi, esamineremo in dettaglio le tesi di coloro che, da diversi punti di vista, trovano variamente censurabili i prestiti AFS.

3. Tesi n. 1: fra tutti i prestiti in uso, solo quelli ad ammortamento francese standard si svolgono in interesse composto[8].

Alcuni autori, e alcuni giudici, si lasciano fuorviare dal fatto che la rata costante di un AFS è comodamente calcolata mediante una formula in interesse composto: credono che da ciò si possa dedurre che, dunque, l’operazione si svolge in tale regime. In realtà, è vero che se quella formula viene sostituita da una delle molte analoghe che si possono scrivere in interesse semplice, si trova per la rata costante un valore più basso. Ciò è senza dubbio importante, ma non implica la tesi che incautamente ne traggono e che abbiamo dimostrato nel par. 2 essere falsa.

Aggiungiamo le considerazioni e l’esempio seguenti.

Si considerino i tre prestiti di 100 euro per due anni, al tasso del 10% annuo, i cui piani di ammortamento appaiono nella tabella 1. Tutti prevedono pagamenti annui; il primo ed il terzo sono ad ammortamento progressivo generico con rate stabilite (nelle misure di 47 e 53 in un caso, 48 e 52 nell’altro), il secondo è un AFS.

Tabella 1Tre PAST

amm.to progressivo  1 AFS amm.to progressivo 2
pagamenti deb. res. pagamenti deb.res. pagamenti deb.res.
int. cap. tot. int. cap. tot. int. cap. tot.
100 100 100
10 47 57 53 10 47,62 57,62 52,38 10 48 58 52
5,3 53 58,3 5,24 52,38 57,62 5,2 52 57,2

Essi sono praticamente indistinguibili. Tuttavia, nel secondo caso, la rata è calcolata con la formula famigerata: “dunque” (?) quel prestito si svolgerebbe in interesse composto, e si sarebbe in presenza di interessi da interessi; gli altri due, sarebbero invece esenti da tale colpa. Si osserva però che i totali dei pagamenti per interessi sono, rispettivamente, 15,3, 15,24 e 15,2: pressoché identici, nonostante si ripeta spesso che l’interesse composto (che si vuole presente nel secondo caso) provochi una loro “crescita esponenziale”.

Ci sembra che questo sia sufficiente per provare che un prestito AFS non è “geneticamente” per nulla dissimile da uno ad ammortamento progressivo generico, nella formulazione del quale l’interesse composto non entra minimamente.

E’ possibile ed istruttivo, del resto, arricchire i piani ora presentati[9], evidenziando come, stante che alla fine di ogni anno gl’interessi di competenza sono pagati per intero, non si ha alcuna formazione di debito per interessi. Ciò, lapalissianamente, esclude che vi possa essere formazione da interessi e da interessi, e dunque la presenza dell’interesse composto.

Tabella 2Piani d’ammortamento di due PAST, con analisi del debito residuo

amm.to progressivo  1 AFS
pagamenti deb. res. pagamenti deb. res.
int. cap. tot. int. cap. int. cap. tot. int. cap.
0 0 0 0 100 0 0 0 0 100
10 47 57 0 53 10 47,62 57,62 0 52,38
5,3 53 58,3 0 0 5,24 52,38 57,62 0 0

 

4. Tesi n. 2: tutti i prestiti il cui TAN uguaglia il TAE si svolgono in interesse composto[10].

4.1 La tesi è falsa

Altre volte, la presenza dell’interesse composto è dedotta dal fatto che il capitale prestato è uguale alla somma dei valori attuali di tutte le rate, scontate secondo quel regime.

Si consideri il prestito del capitale C, da ammortizzare pagando le rate R1, R2, …, Rn dopo 1, 2, …, n anni, e da remunerare in base al TAN i[11]. Supporre che questo sia anche il TAE vuol dire supporre che valga l’uguaglianza

(1)C= R1/1+i + R2/(1+i)2 + … + Rn/(1+i)n

nota come “relazione di equivalenza in interesse composto” (ma anche, a volte, come di “chiusura finanziaria”, sempre in interesse composto).

La più immediata lettura della (1) è che il TAN di quel prestito ne uguaglia il TAE. La successiva è che il prestito equivale ad un portafoglio di n “sottoprestiti” tipo ZCB in interesse composto, tutti remunerati al tasso annuo i; il primo, prevedente il pagamento di R1 euro dopo un anno; il secondo, quello di R2 euro dopo due anni, l’ultimo, (n-mo), quello di Rn euro dopo n anni. Prestiti di questo genere, ricordiamo, prevedono che il debitore sia tenuto solo a pagare, alla scadenza, il montante in interesse composto di quanto ha ricevuto. Sarebbe meglio dire che lo prevederebbero: la loro evidente anatocisticità ne preclude infatti, l’uso, e li colloca al rango di pure fantasie teoriche[12].

Alcuni argomentano, a questo punto, che il prestito, in quanto può essere visto come un portafoglio di prestiti che si svolgono (si svolgerebbero!) in interesse composto, fanno lo stesso.

Ne segue la tesi enunciata nel titolo del paragrafo: se il TAE  uguaglia il TAN vale la (1), ma questa implica l’anatocisticità[13].

Per tutti i PAST è vero (con la precisazione che faremo tra poche righe) che il TAE ne uguaglia il TAN; segue, tra l’altro, che i prestiti AFS non hanno, in quell’ambito, alcuna specificità: su questo, siamo pienamente d’accordo[14]. D’altra parte, ci è ormai ampiamente noto che i prestiti PAST non si svolgono in interesse composto. Dobbiamo quindi concludere che la deduzione è falsa: la equivalenza tra il prestito reale e il portafoglio di ZCB suggerita dalla (1) ha dei limiti.

Un’osservazione importante. La formulazione che abbiamo adottato è, in realtà, non del tutto precisa dal punto di vista formale, pur essendolo sul piano sostanziale. E’ letteralmente vero che TAE e TAN coincidono per tutti i PAST quando i pagamenti siano previsti con cadenza annuale. Quando (come quasi sempre avviene) tale cadenza sia infraannuale, l’affermazione resta vera al livello dei tassi periodali: quello di remunerazione è uguale a quello effettivo. Cessa di essere vera se ci si riferisce, invece, ai tassi annui equivalenti ai periodali. La ragione di ciò risiede nel fatto che, per le rispettive definizioni, il TAN di un prestito è il suo tasso periodale di remunerazione riportato ad anno in interesse semplice; il suo TAE è, invece, il suo tasso effettivo periodale riportato ad anno in interesse composto. La sostanziale uguaglianza tra tasso di remunerazione e tasso effettivo resta dunque nascosta.

4.2 Prestiti e portafogli di “sottoprestiti”

L’idea del portafoglio di “sottoprestiti virtuali” che replicherebbe un prestito reale merita di venire approfondita. Lo facciamo ricorrendo ancora all’esempio introdotto nel par. 3.

Sempre per sole ragioni di spazio e di leggibilità, restringiamo ulteriormente l’attenzione ad uno solo dei tre prestiti della tabella 1 (ridotti a due nella 2): quello in modalità AFS. La sostanza del discorso sarebbe identica se ci riferissimo a uno qualunque degli altri.

Siamo dunque in presenza del prestito di 100 euro per due anni, per il quale è stato concordato il rimborso con due rate da 57,62 euro. Ne risulta un TAE del 10%, uguale (come ben sappiamo) al TAN che si è convenuto, e che è stato usato per calcolare quella rata con la formula in interesse composto.

Come si decompongono le rate? Vi sono due maniere naturali di procedere: sono riportate nella tabella 3. A sinistra, la modalità standard: quella che fa dell’AFS un PAST. Ad ogni scadenza, gl’interessi sono azzerati: è escluso ogni sospetto di anatocisticità. A destra, figura una modalità alternativa: ad ogni scadenza si rimborsa una parte del debito, e si pagano tutti (e soli!) gl’interessi ad essa relativi. Si forma in questo modo, com’è ovvio, un debito per interessi maturati e non pagati, che figura nella penultima colonna e che si considera fruttifero (i 10 euro d’interessi dovuti per il second’anno si giustificano solo se si pensano generati da un debito pari a 47,62 + 4,76). Il prestito di destra è anatocistico senza alcun dubbio. Si può anche osservare che ha lo stesso TAE di quello di sinistra: il TAE non dipende da come le rate sono decomposte.

Il prestito di destra esemplifica lo spezzamento descritto nel par. 4,1: qui si tratta di due sottoprestiti (virtuali!), di “tipo ZCB in interesse composto” al 10% annuo; uno, per 52,38 euro ad un anno; l’altro, per 47,62 a due.

Tabella 3Due prestiti a rata costante calcolata “in interesse composto”

AFS portafoglio di ZCB
pagamenti deb. res. pagamenti deb. res.
int. cap. tot. int. cap. int. cap. tot. int. cap.
0 0 0 0 100 0 0 0 0 100
10 47,62 57,62 0 52,38 5,24 52,38 57,62 4,76 47,62
5,24 52,38 57,62 0 0 10 47,62 57,62 0 0

Siamo con ciò di fronte a due diversi prestiti, collegabili allo stesso contratto. Esso prevede che 100 euro siano rimborsati con due annualità da 57,62 euro: allude alla modalità di sinistra, o quella di destra?

I due prestiti presentano gli stessi flussi di cassa e lo stesso tasso effettivo. L’unica differenza tra essi è che, contraendo il secondo, chi presta si espone al rischio di essere accusato di pratica anatocistica, e chi riceve si precostituisce un pretesto per citare l’altro in giudizio. Non crediamo immaginabile, dunque, una situazione in cui venga contrattualizzata la seconda alternativa: ossia, che venga concordato il piano di ammortamento di destra.

D’altra parte, se è stato esplicitamente concordato il piano di ammortamento di sinistra, non ci sembra che rimanga nulla da discutere.

Che accade, infine, se il piano di ammortamento non è stato compilato ed il contratto è rimasto, in questo senso, incompleto? Può il debitore affermare che gli è stata applicata la modalità anatocistica, in luogo di quella lecita? Come lo dimostrerebbe? Inseguendo forse nelle scritture contabili del prestatore la destinazione che questi ha dato ai suoi incassi?

Anche poi a prescindere dalla improponibilità pratica della modalità “portafoglio di ZCB”, vi è una sorta di proibizione teorica a pensare un prestito come spezzato in sottoprestiti. La sentenza 2301/2604 stabilisce che con riferimento al contratto di mutuo l’obbligazione è unica e la divisione in rate costituisce solo una modalità per agevolare una delle parti, per cui deve rilevarsi che la rateizzazione dell’unico debito contratto con la banca non determina il frazionamento di esso in una serie di autonome obbligazioni. Come giustamente osservato, pensare ad un prestito come ad un portafoglio di sottoprestiti comporta l’artificioso frazionamento del prestito (operazione di durata unitaria sotto il profilo giuridico) in una pluralità di finanziamenti (e, di conseguenza, di obbligazioni restitutorie e remuneratorie), in contrasto con il principio di unitarietà del rapporto contrattuale[15].

4.3 I limiti della “relazione di equivalenza”

Il sussistere della (1) è, lo abbiamo dimostrato, priva di significato per quanto riguarda la natura del prestito.

Non è però inutile riflettere sul suo significato sostanziale: che, peraltro, è presto detto. Se vale la (1), chi concede il prestito potrebbe alternativamente ottenere lo stesso flusso di ricavi (e cioè, la successione {R1, R2, …, Rn} dopo, rispettivamente, 1, 2, …, n anni) se investisse gli stessi C euro in interesse composto al tasso annuo i. Dunque, per chi investa al tasso annuo i[16], ricevere subito C, o il flusso già descritto, è la stessa cosa. Quel capitale equivale a quel flusso; esso è il “valore” di quel flusso. Ecco perché si parla della (1) come di una “relazione di equivalenza”.

Ma questa equivalenza si ferma al livello dei risultati finanziari: è illegittimo estenderne il significato ai metodi che li hanno generati. Il fatto che 10.000 euro guadagnati onestamente si sarebbero anche potuti rubare, non implica che lo siano davvero stati.

Dovrebbe essere altresì evidente che l’equivalenza è totalmente soggettiva, e legata alle capacità del valutatore. Chi detiene i risparmi sotto forma di conto corrente “valuta” con un metro molto diverso rispetto a chi sa investirli in modo lucroso. Il tempo è denaro, certo, ed ha un suo prezzo: che però non è per tutti lo stesso.

Nella stessa linea di pensiero, si afferma a volte che “pagare è capitalizzare”[17]. Per un istituto che impiega il denaro al 10% annuo e presta 100 euro per due anni a quel tasso, vedersi pagati i 10 euro dovuti al termine del primo anno, o vederli capitalizzati, ossia aggiunti come fruttiferi al suo credito, è la stessa cosa. Nel primo caso, infatti, egli tornerà a prestarli, ed incasserà il relativo montante (11 euro) al termine del second’anno; nell’altro caso, sarà il primo debitore a doverglieli pagare con i relativi interessi (di nuovo, 10 + 1).

Il debitore, normalmente, non è in grado di far fruttare le sue disponibilità come l’istituto; se risparmia di pagare 10 euro alla fine del primo anno, deve affrontare i rischi di un investimento per trasformarli in 11 alla fine del secondo. Per lui, “capitalizzare gl’interessi” vuol dire aggiungere qualcosa al suo debito; “pagare” vuol dire evitare che il suo debito cresca.

5. Tesi n. 3: il contratto di un prestito ad ammortamento francese standard deve rivelare che si svolgerà in interesse composto

E’ la tesi centrale dell’ordinanza del Tribunale di Salerno citata in nota 1, che interroga la Corte di Cassazione su quali siano conseguenze di un’eventuale inosservanza di quest’obbligo. Possiamo solo ripetere quanto notato alla fine del par.2: che la tesi è fondata su un equivoco. Un AFS, infatti, non si svolge in interesse composto.

L’ordinanza trova anche criticabile il fatto che il contratto episodicamente in esame (il quale, si badi, risulta indicasse la rata costante, e fosse corredato di piano d’ammortamento) non parlasse di “ammortamento francese”. Abbiamo fatto rilevare, nel lavoro citato in nota 2, come questa espressione sia troppo tecnica per qualcuno (per quasi tutti) e troppo vaga per alcuni (pochi) altri, potendolasi oggi intendere come sinonimo di “ammortamento a rata costante”[18]: parole insufficienti a definire un prestito AFS.

6. Tesi n. 4: un contratto è irregolare[19] quando alcuni termini potevano essere usati in modo più favorevole al debitore (non informato al riguardo)[20]

Vi è, infine, chi argomenta che, dati i termini contrattuali, il prestito potrebbe non risultare univocamente individuato: la banca sceglierebbe allora la modalità più conveniente per essa, senza informare adeguatamente il cliente. La banca sceglierebbe cioè, tra tutti i valori della rata compatibili con le altre condizioni contrattuali, il più alto.

Una prima osservazione, quantitativa: se una banca concede un PAST (come ci risulta faccia sempre) la rata risultante dalle sue “scelte arbitrarie” determina, salvi errori e/o frodi, e al netto della “distorsione ottica” provocata dall’eventuale frequenza infraannuale dei pagamenti[21], un TAE uguale al TAN. Una rata più bassa corrisponderebbe dunque, ovviamente, ad un TAE inferiore, e dunque più basso del TAN.

Alcuni tribunali hanno condannato banche per aver applicato (secondo loro) TAE superiori al TAN pattuito. Chiediamoci allora: se è stato pattuito un TAN, il TAE non deve, giustamente, superarlo. Ma davvero il finanziato può aspettarsi (o chiedere, o pretendere) che gli venga praticato un TAE inferiore ad esso?

Una seconda osservazione, questa volta “qualitativa”: la modalità PAST, senz’altro adottata dalla banca, è l’unica compatibile con il servizio standard degl’interessi (il loro azzeramento periodico). S’immagini, invece, di calcolare la rata sulla base di una relazione di equivalenza in interesse semplice[22]: la costruzione del piano d’ammortamento richiede lo spezzamento del prestito in una famiglia di sottoprestiti: operazione che sembra si debba considerare illegittima[23]. In qualche caso, questa modalità alternativa richiede anche che gl’interessi maturati vengano pagati scontati. Ciò è matematicamente difendibile, ma giuridicamente non valido per la sentenza 3797/1974, la quale esclude che si possano pagare interessi in misura scontata rispetto a quella maturata.

Se poi un contratto, pur indicando la rata, e/o il TAE, e/o l’intero piano di ammortamento, vada ancora considerato in difetto perché mancherebbe il riferimento a formule algebriche, o la citazione di denominazioni gergali, è questione che travalica le competenze di chi scrive. Il quale può solo osservare che nessuna delle due cose gli pare aggiungerebbe qualcosa al livello di informazione sostanziale.

V’è poi chi ricorre all’art. 114 del TUB (i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati) ed argomenta che ogni contratto di prestito che non specifichi il TAE sia in difetto. Ma se il contratto indica il TAN e dunque con ciò, come richiesto, il tasso d’interesse, il TAE può ritenersi rientrare nella categoria ogni altro prezzo e condizioni praticati?

Il TAE non è un parametro aggiuntivo, ma solo una sintesi di altre condizioni: come lo sarebbe il totale dei pagamenti cui il debitore è ottenuto. Se non figura nel contratto, ma quanto il contratto riporta vale ad individuarlo, il finanziato non è esposto al rischio che il finanziatore lo aggravi di oneri non pattuiti. Né la sua presenza lo aiuta in modo significativo: il costo finale dell’operazione è infatti misurato non dal TAE, ma dal TAEG.

Alcune altre obiezioni sono, infine, propriamente irricevibili.

Accade di leggere che il TAE possa essere individuato in regime di capitalizzazione semplice o di capitalizzazione composta: l’affermazione è da respingere. Il TAE (con l’articolo determinativo: ce n’è uno solo!) è definito, in dottrina e nei testi normativi, in modo univoco, con l’utilizzo dell’interesse composto. Fantasie di tassi effettivi in interesse semplice affiorano saltuariamente qua e là, ma restano sul piano dei giochi intellettuali: sono del tutto inutilizzabili in pratica e, infatti, mai utilizzati.

Accade altresì di leggere che il TAN possa a sua volta essere applicato, indifferentemente, in uno di quei due regimi. Non esiste un TAN “in interesse semplice” ed uno “in interesse composto”: esiste un solo TAN. Chi vuole usare quella denominazione, non può ignorarla.

Se poi si vuole invece significare che un prestito si può svolgere, indifferentemente, in interesse semplice o in interesse composto, abbiamo già fatto notare che tale ambiguità non esiste, perché la seconda alternativa è formalmente proibita. Non compete a chi presta promettere per iscritto che si atterrà alle regole di legge. Tocca a chi sospetta che in un caso specifico sia stata praticata una qualche capitalizzazione d’interessi, di indicare il quando e il dove ciò sia avvenuto.

 

[1] Reca il numero 9120 del 2022.

[2] F. Cacciafesta, Un’ordinanza fondata su un equivoco (l’ammortamento francese secondo il Tribunale di Salerno),

IL CASO.it 23 ottobre 2023 [Articolo 2119]

[3] V. ad es. A. Dolmetta, Commento all’ordinanza di remissione del Tribunale di Salerno; Banca, borsa e titoli di credito (2023); M. Semeraro, Alle Sezioni Unite l’ammortamento alla francese: molti equivoci e un fondo di verità; www.dirittobancario.it, 2023. Entrambi sostengono, sostanzialmente, l’esatto contrario di quanto stiamo qui per argomentare, ed abbiamo del resto già in parte presentato nell’articolo di cui in nota 2.

[4] Ci permettiamo di ricordare che, in matematica, non esistono opinioni, sempre, in quanto tali, legittime, anche se più o meno (o per niente) condivisibili; ma solo “verità” (conseguenze logiche delle definizioni e degli assiomi) ed “errori” (affermazioni contraddittorie con definizioni/assiomi).

[5] Li citeremo nel par. 4.

[6] Si tratta del Rapporto scientifico che l’Associazione per la Matematica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali ha pubblicato sull’argomento (Anatocismo nei piani di ammortamento standardizzati tradizionali, più autori; scaricabile dall’indirizzo https://www.amases.org/rapporto-scientifico-2022-01/).

[7]   V. nota 2.

[8] Come rappresentante di questa corrente di pensiero, citiamo R. Marcelli. La sua abbondante produzione in materia, entro la quale non ci sentiamo di indicare titoli specifici, si trova sul sito www.assoctu.it.

[9] Per motivi di spazio, ci limitiamo ai soli due primi dei tre prestiti in tabella 1.

[10] La tesi, non formulata come da noi qui ma nella equivalente maniera che diremo, è presentata in C. Mari e G. Aretusi, Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare. Il Risparmio, 2018, e Sull’ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice: alcune considerazioni concettuali e metodologiche. Il Risparmio, 2019 (stessi autori). Questi articoli sono stati commentati (con contenuti diversi da quelli ora qui esposti), in F.Cacciafesta, Prestiti reali e loro modellizzazioni: a proposito di due articoli di C. Mari e G. Aretusi; Il Risparmio, 2023. Ne è seguita una polemica non priva di elementi di sgradevolezza: C. Mari e G.Aretusi, Errori, nonsense e mistificazioni nello scritto di F. Cacciafesta. Il Risparmio, 2023; F. Cacciafesta, A proposito di un articolo di C. Mari e G. Aretusi su “il Risparmio” (2023),    https://hdl.handle.net/2108/349583

[11] La scelta di riferirsi a pagamenti annui è dettata solo dal desiderio di rendere lo sviluppo formale più leggibile per i non iniziati.

[12] L’acronimo ZCB sta per “zero coupon bond”, o “obbligazione senza cedole”: prodotti che “funzionano” come i prestiti ora descritti e cui danno il nome. Essi esistono: ma chi emette uno ZCB non si obbliga a corrispondere un certo tasso d’interesse, bensì a pagare un certo capitale. Se un’obbligazione biennale senza cedole del valore di rimborso di 121 euro è venduta per 100, da nessuna parte è stabilito che il debitore s’impegna a pagare, a titolo d’interessi, il 10% annuo composto.

[13] Alterniamo questa espressione con le più lunghe “si svolgono in interesse composto”, o “presentano generazione di interessi da interessi”, che consideriamo del tutto equivalenti.

[14] F. Cacciafesta, Ammortamento francese e bullet: simul stabunt, simul cadent; Assoctu, 15.12.2020

[15] D. Provenzano, Il Rapporto AMASES 2022/01 ecc.; www.assoctu.it (2023)

[16] Per non appesantire il discorso, non aggiungiamo una specificazione che sarebbe a rigore indispensabile. E cioè, che si ipotizza un operatore in grado di investire al tasso i per qualunque durata. L’eventuale riferimento all’interesse semplice anziché al composto renderebbe utopistica quest’ipotesi.

[17] A. Annibali (e altri), Pagare vuol dire capitalizzare; www.attuariale.eu, Ottobre 2020.

[18] A questo riguardo, v. F. Quarta, Trasparenza e determinatezza dell’oggetto nei contratti di finanziamento con “ammortamento alla francese”, Rivista di Diritto Bancario, 2022

[19] Usiamo volutamente questo termine generico per non compometterci con tecnicismi che non siamo in grado di controllare.

[20] Al riguardo, si vedano gli articoli citati in nota 3.

[21] V. par. 4.1.

[22] Usiamo a ragion veduta l’articolo indeterminativo, perché ne esistono assai più di una.

[23] V. par. 3.

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