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Giurisprudenza

Opposizione all’omologazione del concordato fallimentare e abuso del diritto

9 Aprile 2021

Silvia Motta

Cassazione Civile, Sez. I, 11 novembre 2020, n. 25318 – Pres. Cristano, Rel. Ferro

Di cosa si parla in questo articolo

Con l’ordinanza in esame, la Corte si sofferma su due temi: (i) il diritto del socio illimitatamente responsabile di società di persone dichiarato fallito ex art. 147 l. fall. di opporsi all’omologazione del concordato fallimentare e (ii) l’abuso del diritto nel concordato fallimentare.

La Corte, in primo luogo, analizza la disciplina dell’art. 147 l. fall., nella parte in cui prevede che la sentenza che dichiara il fallimento di una società di persone produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili e passa poi all’analisi dell’art. 129 l. fall. ai sensi della quale, se la proposta di concordato è stata approvata, il giudice delegato dispone che il curatore ne dia immediata comunicazione al fallito che, insieme a “qualsiasi altro interessato” potrà proporre, nel termine stabilito dal giudice delegato, eventuali opposizioni.

L’art. 129 l. fall. che investe il fallito di un interesse titolato ad opporsi all’omologazione, va letto congiuntamente all’art. 147 l. fall., che prevede il fallimento dei soci illimitatamente responsabili quale conseguenza diretta della dichiarazione di fallimento di una società di persone, senza introdurre alcuna distinzione tra società fallita e socio fallito.

La Corte riconosce che lo stesso dato letterale dell’art. 129 l. fall. parifica l’interesse della società fallita e del socio fallito ex art. 147 l. fall. di opporsi all’omologazione e preclude un’interpretazione anti testuale che escluda la possibilità del socio fallito ex art. 147 l. fall. di opporsi sulla base di regole giuridiche di diritto delle società evidentemente meno speciali (cfr. art. 2288 c.c. ai sensi del quale la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di presone determina la sua esclusione di diritto dalla società).

La Corte, in secondo luogo, ricorda e conferma il principio già più volte affermato per cui la limitazione dei poteri del giudice, in sede di omologazione del concordato, al controllo di legalità della procedura, con la conseguente esclusione di ogni valutazione in ordine al merito della proposta, non impedisce al tribunale di verificare l’eventuale abuso di diritto che ricorre“quando il fine della procedura ecceda il sacrificio imposto al patrimonio del fallito per la parte non necessaria al soddisfacimento dei creditori” (Cass. 3274/2011, 16738/2011, 24359/2013).

La Corte ribadisce chela valutazione in merito all’eventuale abuso di diritto non può oltrepassare l’orizzonte temporale in cui la proposta è formulata e chiede di essere votata e giudicata a quell’epoca doverosamente fissandosi ogni apprezzamento di eventuale eccessiva alterazione dell’equilibrio nel valore di scambio dell’attivo concorsuale rispetto al proposto pagamento integrale dei creditori.

La Corte precisa inoltre che affinché sia verificata la sussistenza di abuso di diritto occorre un divario tra attivo ceduto e passivo rilevato particolarmente consistente e di per sé non soggetto a oscillazioni di valore determinate da fisiologici margini di ragionevole disputabilità di singole porzioni patrimoniali ovvero dal sopraggiungere di fattori esterni straordinari non prevedibili.

La Corte ribadisce il principio già espresso in passato che aveva puntualizzato che “il controllo demandato al Tribunale in sede di omologazione del concordato fallimentare […] e in presenza di opposizione del fallito – tesa ad evitare che l’accordo tra i creditori ed il terzo o tra il creditore proponente e gli altri creditori finisca per “espropriarlo” dei propri beni in misura sproporzionata rispetto alle obbligazioni contratte – deve essere ispirato ai principi e alle norme che disciplinano il processo di esecuzione forzata – individuale o collettiva – diretti ad impedire “la rottura dell’equilibrio tra l’interesse generale al pagamento dei creditori del fallimento e l’interesse del ricorrente al rispetto dei suoi beni” (Cass. 6904/2010).

 

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