Il Tribunale di Brindisi, con decreto del 3 luglio 2025 (Est. Natali, Pres. Memmo), si è espresso in ordine ai presupposti per l’omologa del concordato preventivo in continuità aziendale, in presenza di classi di creditori dissenzienti, ovvero se sia sufficiente il voto favorevole anche di una sola classe di creditori “interessati”, interpretando ed applicando l’art. 112, c. 2 CCII.
Secondo il Tribunale, in estrema sintesi, sarebbe sufficiente, ai fini dell’omologa, il consenso (anche solitario) del creditore “interessato” e non necessariamente “maltrattato” o “pregiudicato” dalla prospettiva concordataria.
Se sia sufficiente il voto favorevole di una sola classe
In tema di omologazione, secondo l’art. 109, c. 5 CCII, il concordato preventivo in continuità aziendale s’intende approvato quando sia stato votato favorevolmente da tutte le classi nelle quali il ceto creditorio è stato suddiviso: ai fini dell’unanimità richiesta dalla norma, è necessario raggiungere in tutte le classi la maggioranza dei crediti inseriti in ciascuna di esse.
Tale disposizione trova, però, una deroga espressa nel meccanismo previsto dall’art. 112, c. 2 CCII (sui presupposti per omologare in ogni caso la proposta di concordato qualora “una o più classi siano dissenzienti“), introdotta dal legislatore, in attuazione dell’art. 11 della Direttiva Insolvency, per favorire l’approvazione delle proposte concordatarie che, prevedendo la prosecuzione dell’attività, siano finalizzate alla tutela dell’impresa, quale valore di rilievo non solo costituzionale ex art. 41 cost., ma anche UE.
In base all’art. 112, c. 2 CCII, infatti, “la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza dell’approvazione a maggioranza delle classi, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori: 1) ai quali è offerto un importo non integrale del credito; 2) che sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione“.
Il Tribunale ricorda preliminarmente che l’art. 11 della direttiva Insolvency prevede che: “Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all’articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l’accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti: a) è conforme all’articolo 10, paragrafi 2 e 3; b) è stato approvato: i) dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza, ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”.
Come evidenziato da una pronuncia della Corte di Appello di Roma (n. 2968/2024), la previsione, nell’ambito della Direttiva insolvency, della condizione della mancata approvazione del concordato preventivo da parte di tutte le classi nell’ambito di un’autonoma lettera e, dunque, di un proprio distinto contesto espressivo e contenutistico, impone di adottare un’interpretazione, comunitariamente orientata, della norma interna attuativa e, dunque, dell’art. 112, c. 2, lett. d), CCII secondo cui la locuzione “in mancanza” deve ritenersi riferita alla non approvazione da parte della maggioranza delle classi, nel qual caso diviene sufficiente il voto favorevole di una sola classe, seppure con le caratteristiche indicate nel periodo finale del comma 2.
Citando altre pronunce di merito nel frattempo intervenute, il Tribunale di Brindisi afferma dunque che si sta consolidando il principio secondo cui l’omologazione del concordato può essere disposta, anche in presenza di dissenso di una o più classi e ciò:
- in considerazione dell’univocità del dato testuale, che non lascia margini ad una diversa interpretazione
- in ragione della necessità di salvaguardare l’attività aziendale e di assicurare un soddisfacimento globale più vantaggioso rispetto a quanto conseguibile mediante la liquidazione giudiziale.
Pertanto, è sufficiente il voto favorevole della minoranza delle classi o anche di una sola classe per omologare la proposta di concordato preventivo in continuità aziendale.
La classe di voto “golden share” per l’omologa del concordato: i creditori “interessati”
Il Tribunale esamina poi il problema relativo all’identificazione della classe titolare di quella che può definirsi la golden share, la cui manifestazione di voto favorevole, cioè, è sufficiente ai fini dell’omologazione.
In base all’art. 11, ai fini del cross-class cram down, il piano deve essere approvato da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, c.d. creditori “maltrattati”.
Nel considerando n. 54, si prevede che “qualora una maggioranza delle classi non sostenga il piano di ristrutturazione, dovrebbe essere possibile che il piano possa comunque essere omologato da almeno una classe di creditori interessati o che subiscono un pregiudizio che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, riceveranno pagamenti o manterranno interessi o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che ricevano pagamenti o mantengano interessi se fosse applicato l’ordine delle cause legittime di prelazione previsto dal diritto nazionale in caso di liquidazione. … per pregiudizio del creditore si intende la riduzione del valore dei suoi crediti”.
La distinzione tra “creditori interessati” e “creditori pregiudicati”, ai fini dell’omologa del concordato, di cui all’art. 11 della Direttiva Insolvency, non ha una valenza solo nominale: i creditori “interessati” (ovvero coloro che sarebbero, almeno parzialmente, soddisfatti, ove fosse osservato l’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione) possono, eventualmente, coincidere con i creditori “svantaggiati”, laddove la proposta di concordato preventivo programmi per essi un grado di soddisfacimento inferiore rispetto a quello che avrebbero potuto conseguire rispettando la regola della priorità assoluta su tutto il valore.
Nondimeno, in concreto, può accadere che tale coincidenza soggettiva non si verifichi e ciò ogniqualvolta la proposta, per effetto di un “sacrificio” imposto alle classi superiori, assicuri ad essi un grado di soddisfacimento pari o superiore rispetto a quello che avrebbero potuto ottenere in virtù della regola della priorità assoluta su tutto il valore.
Dunque, il testo della direttiva è univoco nel prevedere che la cd. “golden share” possa essere attribuita, in alternativa:
- alle classi di voto di “parti interessate”
- se previsto dal diritto nazionale, alle classi di voto di “parti che subiscono un pregiudizio”.
Ai singoli stati membri è riconosciuta quindi la facoltà, nell’esercizio della propria discrezionalità, di scegliere tra i due modelli di disciplina o, meglio, di optare con previsione espressa e ad hoc per la categoria dei creditori c.d. maltrattati, perché diversamente, sempre ai fini dell’omologa del concordato, trova applicazione il diverso concetto di creditori meramente interessati.
Il legislatore italiano, all’art. 112, c. 2, lett. d), CCII, in attuazione del citato art. 11, ha previsto che sia sufficiente il voto favorevole di “almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti, rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.
Il legislatore ha, quindi, lasciato un potere decisivo alla classe “interessata”, ovvero alla classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Per contro, la norma non sembrerebbe contenere alcun cenno alla classe di creditori “che subiscono un pregiudizio”, ovvero alla classe di creditori che, per effetto della proposta, è destinata a soggiacere a un trattamento deteriore rispetto a quello di cui sarebbe destinataria, laddove fosse applicata la regola della priorità assoluta su tutto il valore, sia quello di liquidazione, sia quello eccedente.
Né, al riguardo, al fine di sostenere una diversa conclusione, sarebbe richiamabile, l’obbligo di interpretazione comunitariamente orientata, essendosi il legislatore nazionale limitato a scegliere una delle due possibili opzioni di disciplina, entrambe consentite dal livello di disciplina comunitario, prediligendo quella prefiguarata come regola generale e residuale, a livello sovranazionale.