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Giurisprudenza

Obblighi di adeguatezza per l’intermediario nel caso di investimenti in obbligazioni Cirio

31 Marzo 2016

Avv. Vittorio Mirra, Dottorando di ricerca in Diritto ed Impresa, LUISS Guido Carli, Roma, Cultore della materia in Diritto dei mercati finanziari, LUISS Guido Carli, Roma

Cassazione Civile, Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 2535

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo è frutto esclusivo delle opinioni personali dell’autore, che non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.

 

In tema di gestione di patrimonio mobiliare, è configurabile la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso. La professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone, invero, di valutare comunque l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3 e 1727, comma 1, cod. civ., qualora non ravvisi tale adeguatezza.

La dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario non può essere comunque qualificata come confessione stragiudiziale. Siffatta dichiarazione è, peraltro, altresì inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dagli artt. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 2535 del 9 febbraio 2016 si occupa nuovamente dei profili di correttezza del comportamento dell’intermediario nel caso di contratti di investimento riguardanti acquisto di obbligazioni Cirio.

E’ noto che gli scandali del c.d. risparmio tradito hanno accentuato l’attenzione dei giudici sugli obblighi di informazione in capo agli intermediari e sui profili di correttezza dei relativi comportamenti, ai fini della tutela della parte “debole” contrattuale (il cliente retail), penalizzato dal proprio deficit informativo rispetto ad un soggetto professionale.

Nel caso di specie si sottolinea nuovamente il fine unitario delle previsioni in capo agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento e cioè quello di segnalare all’investitore la non adeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere (c.d. suitability rule). Nella segnalazione di inadeguatezza dell’operazione proveniente dalla banca non vi era alcuna indicazione in merito alla natura ed alle caratteristiche del titolo, il suo emittente, il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione, ed eventuali situazioni di default dell’emittente, informazioni che erano invece necessarie alla luce del fatto che di lì a breve si sarebbe verificato il crollo delle obbligazioni Cirio.

Per la Suprema Corte, dunque, le istruzioni del cliente non possono essere in ogni caso vincolanti per la banca, posto che la stessa ha comunque l’obbligo di valutare l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3 e 1727, comma 1, cod. civ., qualora non ravvisi tale adeguatezza.

In sostanza la posizione privilegiata – dal punto di vista informativo – della banca fa sì che il comportamento tenuto da quest’ultima non possa essere considerato idoneo ad aver correttamente adempiuto gli obblighi informativi previsti dall’art. 21 TUF. Né la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, può essere qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte, che determini la realizzazione di un pregiudizio.

Infine, per quel che concerne i profili relativi all’onere della prova, la Suprema Corte conferma come il giudice debba accertare se sussista effettivamente la prova positiva della diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a carico dell’intermediario, sul quale è posto il relativo onere probatorio. Pertanto, ai fini della risarcibilità del danno subito, è sufficiente che l’investitore alleghi da parte della banca o dell’intermediario finanziario l’inadempimento delle obbligazioni poste a loro carico dall’art. 21 TUF e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento, incombendo, per contro, sull’intermediario l’onere di dimostrare d’aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta.

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