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Giurisprudenza

Non vi è doppia imposizione (giuridica) nel caso di indeducibilità dei compensi degli amministratori già tassati ai fini Irpef

25 Marzo 2020

Natascia Ubaldino

Cassazione Civile, Sez. V, 20 febbraio 2020, n. 4400 – Pres. Cirillo, Rel. Venegoni

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 4400/2020 si è pronunciata sulla rettifica effettuata dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società per costi indeducibili con riferimento a compensi straordinari corrisposti ad alcuni dei suoi amministratori nell’anno 2003.

Più specificamente, la società aveva nominato amministratori delegati tutti i suoi quattro consiglieri di amministrazione, riconoscendo un compenso ulteriore a due di essi in virtù dell’attribuzione di ulteriori compiti. Tale speciale remunerazione era stata deliberata con decorrenza dall’anno 2004, ma era stata comunque riconosciuta agli individuati amministratori per l’anno 2003.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che l’assenza di deliberazione fosse sufficiente per dirimere la questione della deducibilità del costo sostenuto, indipendentemente dalla contestazione, sollevata in contenzioso, della possibilità o meno di nominare tutti i consiglieri di una società anche amministratori delegati e, quindi, della corretta interpretazione degli art. 2381 c.c. e art. 2389 c.c. I compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili, quindi, se non previamente deliberati: non si tratta tuttavia di una novità visto che tale principio era già stato chiarito dalla Corte stessa (Sez. V n. 5349 del 2014).

La sentenza in commento rileva, invece, per il secondo tema trattato e risolto dalla Corte, ossia se si integri doppia imposizione nel negare, da un lato, la deducibilità per la società ai fini Irpeg e, dall’altro, nell’assoggettare a tassazione ai fini Irpef i compensi in capo agli amministratori. La Corte, citando una sua precedente pronuncia (Sez. V n. 33217 del 2018) nega la violazione del divieto di doppia imposizione affermando che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni (Cass. n. 19687 del 2011; conf. a Cass. n. 8351 del 2002).

Non vi è quindi, conclude la Corte, una doppia imposizione in senso giuridico, perché il presupposto della tassazione dei predetti compensi è diverso: da un lato, costi non deducibili dalla base imponibile societaria ai fini IRPEG e assoggettati “indirettamente” a tassazione; dall’altro, redditi percepiti da persone fisiche ed in capo alle stesse direttamente tassati.

 

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