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Note

Mutuo a tasso variabile con piano di ammortamento alla francese: se non sono rispettate le condizioni contrattuali, risulta violata la clausola sulla pattuizione del tasso stesso

30 Agosto 2016

Biagio Campagna

Giudice di Pace di Santa Maria di Capua Vetere, 20 gennaio 2015, n. 79

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1.La pronuncia del giudice e i fatti di causa – 2. I termini del contrasto: giurisprudenza e dottrina 3. Caratteri e natura giuridica del contratto di mutuo. – 4. Riflessioni.

 

Massima

Qualora venga stipulato un mutuo a tasso variabile con piano di ammortamento cd. alla francese, può accadere che, in caso di estinzione anticipata del mutuo, il mutuatario si trovi a pagare una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe pagato se la rata fosse stata rideterminata ad ogni variazione di tasso non solo nella quota di interessi ma anche in quella capitale.

 

1. La pronuncia del giudice e i fatti di causa

Il Giudice di Pace di Santa Maria di Capua Vetere, con la sentenza del 20 gennaio 2015 n.79, si è pronunciata in materia di mutuo a tasso variabile con piano di ammortamento alla francese, inerente un’estinzione anticipata di mutuo. Il caso verte nella sua parte essenziale, sull’applicazione da parte della Banca del c.d. piano di ammortamento alla francese, con l’applicazione di fatto di un tasso effettivo diverso e superiore rispetto a quello convenuto nel contratto di mutuo, che il giudice ha considerato illegittima ai sensi degli artt. 1283 e 1284 c.c. Un piano di ammortamento siffatto, può essere non conveniente nel caso in cui si voglia procedere ad una estinzione anticipata del mutuo, in quanto con le prime rate saranno stati versati soltanto gli interessi, mentre in capitale sarà, per la maggior parte, ancora da restituire. Sarà, dunque, precluso un tipico vantaggio dell’estinzione anticipata di un mutuo: evitare il pagamento di interessi non maturati. In sintesi, qualora venga stipulato un mutuo a tasso variabile con piano di ammortamento alla francese, può accadere che, in caso di estinzione anticipata del mutuo, il mutuatario si trovi a pagare una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe pagato se la rata fosse stata rideterminata ad ogni variazione di tasso non solo nella quota di interessi ma anche in quella capitale. Nell’ammortamento “alla francese” le rate sono costanti e gli interessi sono calcolati sul capitale residuo[1]. Una volta calcolata la quota interessi per la prima rata, sarà possibile calcolare la quota capitale e il nuovo capitale residuo per differenza. Dunque ne consegue un piano di ammortamento con quote interessi decrescenti, in quanto calcolate su un capitale residuo che decresce, e quote capitali crescenti, in quanto calcolate sottraendo alla rata costante una quota interessi sempre più piccola. Sommando tutte le quote capitali si ottiene il capitale iniziale chiesto in prestito, mentre sommando tutte le quote interessi si ottiene il totale interessi da rimborsare (come nel caso in discussione). L’effetto dei tassi di interessi si avverte maggiormente nel primo periodo del piano di ammortamento, successivamente tende ad influire sempre meno sulla composizione della rata. Siccome la maggior parte degli interessi viene corrisposto con le prime rate del mutuo, il vantaggio derivante da un’eventuale estinzione anticipata diminuisce sempre più con l’avanzare dei rimborsi. L’ammortamento all’italiana prevede rate decrescenti composte da quote capitali costanti e quote interessi decrescenti. Per costruire il piano di ammortamento sarà necessario calcolarlo per ogni periodo[2]. Infatti, fermo restando che gli interessi sono sempre calcolati sul capitale residuo, il piano di ammortamento all’italiana presenta un capitale residuo sempre più contenuto rispetto a quello francese. Dunque gli interessi saranno calcolati sempre su un valore più contenuto, determinando un totale interessi ridotto. Consideriamo un prestito di 40.000 euro al tasso del 6% fisso con un piano di ammortamento (rimborso) di 10 anni e con cadenze di pagamento semestrali.[3] La rata da pagare sarà di 2.688,63 euro per tutti i semestri e per 10 anni, tuttavia, mentre nella prima rata la quota capitale è di 1.488,63 euro e la quota interessi e di 1.200,00 nell’ultima avremo 2.610,32 euro come quota capitale e 78,31 euro quale quota interesse; dunque a metà piano di ammortamento il cliente avrà rimborsato la maggior parte degli interessi (746,31euro), mentre il capitale da rimborsare sarà ancora molto consistente(1.942,32) Alle stesse condizioni consideriamo un mutuo con ammortamento italiano[4]. La prima rata da pagare sarà così composta 3200 euro di cui 2000 euro di quota capitale e 1200 di quota interessi. Dunque a metà piano di rimborso il cliente avrà già rimborsato la maggior parte degli interessi (rata così composta 2660 euro di cui 2000 euro di quota capitale e 660 quota di interessi), mentre il capitale da rimborsare è perfettamente a metà percorso. Rispetto al piano di ammortamento alla francese, questa formula consente di risparmiare sul totale interessi a causa del più rapido rimborso del capitale a fronte di una rata di importo maggiore. Infatti, fermo restando che gli interessi sono sempre calcolati sul capitale residuo, il piano di ammortamento all’italiana presenta un capitale residuo sempre più contenuto rispetto a quello francese. Dunque gli interessi saranno calcolati sempre su un valore più contenuto, determinando un totale interessi ridotto. Il Giudice adito nel caso de quo ha riconosciuto che il tasso effettivo applicato dalla banca si discostasse invero poi dal tasso pattuito con il cliente, non a caso lo stesso giudice sottolinea che il metodo di ammortamento alla francese in caso di mutuo a tasso variabile, è stato elaborato dalla Banca calcolando la quota capitale delle rate come se il tasso di interesse fosse sempre uguale per tutta la durata del contratto di mutuo. In tal modo il mutuatario, considerato che la rata rimane costante, per cui paga sempre la stessa somma, nonostante abbia stipulato un mutuo a tasso variabile non beneficia della variazione in ribasso del tasso nella restituzione della quota capitale; il mutuatario restituisce meno capitale e quindi paga somme in più, non dovute in forza della pattuizione del tasso di interesse in misura variabile. Pertanto nel caso di specie, ciò ha comportato che nel momento del pagamento della sorta capitale residua per l’estinzione anticipata, il mutuatario ha dovuto pagare una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe pagato se la rata fosse stata determinata non solo nella quota di interessi, ma anche nella quota capitale ad ogni variazione di tasso.

2. I termini del contrasto: giurisprudenza e dottrina

Sul tema la giurisprudenza di merito incontra invero notevoli oscillazioni. Tendenzialmente, così argomenta chi non riconosce alcun fenomeno anatocistico occultato nel piano di ammortamento alla francese: “Ora, il metodo di ammortamento alla francese, di per sé, non comporta alcuna forma di anatocismo[5]. Le rate, comprensive di capitale e interessi, sono costanti. Quindi, la restituzione del capitale è prevista secondo quote crescenti. E la rata ingloba interessi, semplici (non composti), sempre calcolati, al tasso nominale, sul residuo capitale da restituire (com’è corretto: gli interessi essendo il corrispettivo del godimento del denaro da altri concesso; cfr. l’art. 821, comma 3, c.c.).Quel che è vero è che, nell’ammortamento alla francese, l’ammontare degli interessi (della somma dovuta per interessi) è maggiore rispetto ad un ammortamento del capitale per quote uguali: poiché nell’ammortamento alla francese il capitale è da restituirsi secondo quote crescenti, a parità di durata del mutuo, il suo ammortamento è più lento che se le quote fossero uguali. Dunque, il tasso effettivo degli interessi è maggiore”[6]. È interessante dunque notare, nella soprarichiamata decisione, come, pur negandosi un fenomeno anatocistico, si riconosca che il tasso effettivo applicato si discosti poi dal tasso pattuito, in quanto tale discostamento avviene necessariamente e non si può evitare. Analogamente la giurisprudenza che condivide tale impostazione adotta termini e osservazioni dello stesso tenore: “con il termine “piano di ammortamento alla francese” (ovvero “a rata costante”) dovrebbe intendersi unicamente il piano che preveda rate di rimborso costanti nel tempo, ipotesi all’evidenza consentita solo in caso di mutui a tasso fisso; tale espressione (e metodologia) viene tuttavia estesa anche ai mutui a tasso variabile, con la particolarità che il piano di ammortamento è simulatamente calcolato sulla base del tasso vigente alla data di stipulazione (come se dovesse rimanere costante), e ciò consente di individuare, in ciascuna rata, la quota di capitale in restituzione (tanto che a volte il piano di ammortamento in tali casi riguarda il solo capitale), potendosi poi conteggiare per ciascuna rata la quota di interessi, in base al tasso variabile, sul capitale via via residuo al netto delle restituzioni di capitale effettuato con le rate precedenti (ne conseguiranno rate non costanti nella loro entità). In ogni caso la “condizione di chiusura” risponde a una precisa regola matematica, e il CTU, nel caso di specie, ha riscontrato il rispetto da parte della banca di quella precisa “condizione di chiusura” che nell’ammortamento alla francese viene definita “condizione iniziale”; il CTU ha rilevato che la formula matematica in questo caso “utilizza la legge di sconto composto”, ma unicamente al fine di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite (criterio che in alcun modo si pone in danno del mutuatario, essendo assicurato e agevolmente verificabile – che la somma di tali quote sia pari all’importo mutuato), mentre non va ad incidere sul separato conteggio degli interessi, che nel piano di ammortamento alla francese risponde alle regole dell’interesse semplice.[7] Ancora, aderisce alla medesima impostazione la giurisprudenza di merito beneventana: “Non può invece essere condivisa la tesi secondo la quale il piano di ammortamento c.d. “alla francese” sarebbe da considerarsi comunque illegittimo in quanto produttivo di interessi anatocistici. Il piano di ammortamento “a scalare” prevede che il debitore rimborsi alla fine di ogni anno (o di altro intervallo temporale) e per tutta la durata del piano, una rata costante posticipata, tale che al termine del periodo stabilito il debito sia completamente estinto, sia in linea capitale che per interessi.

Come si è detto, ogni rata costante si compone di una quota interessi e di una quota capitale; l’importo della rata costante dell’ammortamento in parola è calcolato, sulla base della somma dovuta per capitale, del tasso di interesse e del numero delle rate, tramite l’utilizzo del principio dell’interesse composto, in virtù del quale “si rendono uguali il capitale mutuato con la somma dei valori attuati di tutte le rate previste dal piano di ammortamento”. Il principio dell’interesse composto non provoca tuttavia alcun fenomeno anatocistico nel conteggio degli interessi contenuti in ogni singola rata. In ciascuna rata la quota interessi è costituita dagli interessi sul debito residuo del periodo precedente: nella prima rata gli interessi si calcolano sulla somma concessa in mutuo. In ciascuna rata la quota capitale è la differenza fra la rata costante è la quota interessi e il debito residuo è la differenza fra il debito residuo della rata precedente e la quota capitale della stessa. Quando le parti hanno inserito in contratto la somma oggetto di mutuo, il tasso di interessi e il numero delle rate, non è più possibile alcun intervento successivo del mutuante, il quale non ha la possibilità di suddividere la rata fra quota capitale e quota interessi, poiché tale suddivisione è già contenuta nella definizione di una rata costante di quel determinato importo. In sostanza, una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito dì rate costanti, la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali; il rimborso di un mutuo acceso per una certa somma, ad un certo tasso e con un prefissato numero di rate costanti, può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo”[8]. Alla stregua di quanto fin qui argomentato la dottrina è pervenuta ad una sorta di considerazione finale sulla legittimità e convenienza del metodo di ammortamento “alla francese”. Dal primo punto di vista si ribadisce che il metodo non presenta in quanto tale alcun profilo di illegittimità. Né con riguardo al meccanismo della prioritaria imputazione del pagamento agli interessi (ex art. 1194 c.c.); né con riguardo al calcolo tipico degli interessi, automaticamente computati rata per rata soltanto sul capitale residuo e perciò a scalare (ex art. 1283c.c.).[9] Una volta accetta questa soluzione, dal secondo punto di vista, il metodo alla francese va valutato nel suo complesso in relazione alla situazione finanziaria del mutuatario. Ed infatti, la circostanza per la quale l’ammontare finale di interessi può essere superiore a quello implicato – ad esempio – dal metodo all’italiana, va soppesata con l’altra circostanza per la quale il mutuatario è davvero in grado pianificare l’ammortamento del mutuo con accantonamenti costanti perciò semplice da inserire nel proprio piano finanziario; ovvero la sua capacità – in sede di rating iniziale della sua posizione – di negoziare un tasso di interesse più basso o ancora una clausola di restituzione anticipata, con penale moderata, ad una certa fase dell’ammortamento, in relazione alla sua liquidità e alla convenienza della banca mutuante. Elementi questi che vanno valutati in concreto caso per caso, e che in astratto non permettono di esprimere alcuna valutazione definitiva sulla convenienza o sulla vessatorietà di tale metodo di ammortamento rispetto agli altri che ne sono un’alternativa.

3. Caratteri e natura giuridica del contratto di mutuo

Lo schema contrattuale che emerge dalla definizione del mutuo contenuta nell’art. 1813 c.c. si mantiene per unanime opinione nelle linee della tradizione[10], in conseguenza di una precisa scelta dei codificatori[11]. L’operazione contrattuale, pertanto, si caratterizza per la consegna di denaro o cose fungibili, con la nascita in capo a chi le riceve di restituirne l’equivalente, ma con la possibilità a suo favore di utilizzarne e di disporne liberamente, assicurata dall’acquisto della loro proprietà in capo all’accipiens e del fatto che non deve restituire quanto ricevuto in natura[12]. La definizione che del contratto di mutuo dà il legislatore nell’art. 1813 c.c. lo configura, secondo l’opinione assolutamente prevalente, come un contratto reale, che si perfeziona attraverso la consegna al mutuatario del denaro o delle cose fungibili[13]. Questa interpretazione trova peraltro conferma nei lavori preparatori del codice, dato che in sede di redazione definitiva si è consapevolmente rifiutata la formulazione contenuta in uno dei progetti preliminari, che apriva il mutuo alla conclusione consensuale, per adottare quella attualmente vigente. Da questa scelta emerge chiaramente la volontà di mantenere il contratto nello schema tradizionale del contratto reale, sia dando conto delle sempre maggiori esigente della pratica, di cui il legislatore era pure consapevole, attraverso l’introduzione, con l’art. 1822 c.c, della promessa di mutuo. Nelle operazioni economiche e commerciali, sempre più spesso, vengono utilizzati strumenti finanziari, regolati dall’ordinamento giuridico, che permettono investimenti economici non solo in ambito imprenditoriale ma anche familiare. Il credito, in particolar modo, svolge un ruolo di primaria importanza nella produzione e nello scambio della ricchezza. Contratti quali il mutuo si sono rilevati spesso indispensabili sia per i proprietari di capitali che investono le proprie ricchezze, sia per i privati che riescono a concretizzare, nell’immediato, la disponibilità di una somma che non posseggono nel presente ma che ritengono di poter restituire nel tempo. Il mutuo, come tutti i contratti non è esente da vicende che possono determinare la risoluzione e, il più delle volte, le inadempienze non si limitano alla prestazione del mutuatario, ma riguardano anche la sfera del mutuante. Nel richiamare la definizione legislativa di mutuo, è bene tener presente che il testo unico bancario invece non dà la definizione di credito fondiario, ma si limita a enunciarne il suo oggetto: “la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” (art. 38 comma 1 t.u.b.)[14]. L’art. 38 comma 1 t.u.b. usa l’espressione, certamente più generale rispetto a quella di mutuo, di “finanziamento”. Per finanziamento si intende, in senso lato, la messa a disposizione di certe risorse da una parte all’altra con obbligo di restituzione. Un finanziamento, astrattamente, può essere realizzato con diverse modalità[15]. Nella prassi, però, il credito fondiario si realizza quasi sempre come contratto di mutuo. Il credito fondiario è dunque normalmente qualificabile come contratto di mutuo, con applicazione delle disposizioni del codice civile che regolano tale materia, in quanto non derogate dalle disposizioni speciali del testo unico bancario. Elemento caratteristico del contratto di mutuo è la “consegna” del bene. L’oggetto della consegna può consistere in “danaro” oppure in “altre cose fungibili”, anche se – nelle economie moderne – il mutuo ha quasi sempre a oggetto del danaro. Questa distinzione acquisterà, nel corso dei ragionamenti che si cercheranno di svolgere in questo articolo, una sua particolare rilevanza, considerato che – mentre per le “altre cose fungibili” non esistono particolari alternative alla consegna fisica dei beni – nel caso del danaro esistono più alternative alla consegna materiale. Anzi: si può ritenere che la consegna fisica del danaro rappresenti oggi un’ipotesi residuale, di scarsa rilevanza pratica. Ciò pone dinanzi alla necessità di dare un’interpretazione ampia della nozione di “consegna”, se si vuole che la disciplina positiva del contratto di mutuo continui ad avere una sua utilità. Il testo dell’art. 1813 c.c. prevede che il contratto di mutuo è il contratto con il quale una parte “consegna” (e non semplicemente “si obbliga a consegnare”) una cosa. Il fatto che una delle parti deve eseguire immediatamente la consegna distingue il contratto di mutuo e gli altri contratti reali dai contratti consensuali (la consegna essendo richiesta, ai fini del perfezionamento del contratto, nei soli tipi contrattuali qualificabili come “reali”[16]). Nei contratti reali vi è insomma, già in sede di stipulazione del contratto, un’attività materiale. Nei contratti consensuali invece il vincolo contrattuale si perfeziona con la mera espressione della volontà delle parti, che “si obbligano” a fare qualcosa (che faranno poi in un momento futuro, più o meno lontano dal momento della conclusione del contratto).Dall’elemento lessicale appena esaminato (uso del termine “consegna” nell’art. 1813 c.c.) si ricava la necessità della consegna per il perfezionamento del contratto di mutuo: il mutuo viene per tale ragione qualificato come contratto “reale”, non essendo sufficiente il consenso delle parti alla dazione in mutuo del bene. Il significato di contratto “reale”, quale opposto a “consensuale”, è stato spiegato dalla Corte di cassazione a sezioni unite in una sentenza del 2005[17]. La Cassazione evidenzia come i contratti si perfezionino di regola con il semplice consenso delle parti (c.d. principio consensualistico)[18]. Ci sono però alcuni contratti speciali per i quali il consenso – pur sempre necessario – non basta, in quanto il contratto è perfetto soltanto con la consegna della cosa, con la “traditio” alla controparte del bene. Prima della consegna non c’è contratto, ma solo uno dei due elementi della fattispecie complessa (consenso + traditio) di cui è composto il contratto reale. Pertanto la consegna non è effetto obbligatorio del contratto, ma elemento costitutivo del medesimo. A tal riguardo si può osservare che il carattere reale del contratto di mutuo, con le rigidità che esso presenta, risulta oggi – per varie ragioni e sotto diversi profili – attenuato. Esistono difatti nel nostro ordinamento altre disposizioni di legge nonché interpretazioni giurisprudenziali che riducono la valenza di natura reale del contratto in esame. Il riferimento è, essenzialmente, alle seguenti circostanze: a) secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la nozione di consegna di cui all’art. 1813 c.c. non coincide con la mera dazione materiale del bene, ma va intesa in senso lato come “dazione in disponibilità giuridica” della cosa[19]. Sotto questo profilo la “consegna” non deve necessariamente essere “fisica” (o “materiale”), ma può essere “simbolica” (o “spirituale”);b) il testo unico bancario prevede la possibilità che il contratto di mutuo e l’erogazione del danaro formino oggetto di atti separati (art. 39 comma 2 t.u.b.);c) il legislatore disciplina espressamente, all’art. 1822 c.c., la promessa di mutuo, fattispecie nella quale la consegna del bene non avviene contestualmente alla conclusione del contratto; d) più in generale si possono ritenere legittimi accordi in forza dei quali la consegna del bene viene posticipata rispetto alla stipulazione del contratto. Il nostro legislatore insomma, anche se con sfumature differenti e in contesti diversi, non ha mostrato rigore assoluto nel qualificare il contratto di mutuo come reale, quantomeno nella sua accezione più rigorosa della necessaria contestualità fra conclusione del contratto ed erogazione del danaro. E’ bene inoltre tenere anche presente la pronuncia del Tribunale di Milano, 30 ottobre 2013 con massima di Aldo Angelo Dolmetta secondo cui: “La complessiva clausola contrattuale di un mutuo – che prevede insieme un tasso fisso (come preso a base per il calcolo delle quote di rimborso del capitale), delle restituzioni rateali calcolate col sistema dell’ammortamento di un prestito a rate costanti (c.d. sistema alla francese) e un tasso variabile (pari a un mezzo del tasso nominale annuo Euribor più uno spread dell’1%) – è nulla per indeterminatezza suo oggetto ed è quindi nulla violando la norma dell’art. 1346 c.c. In effetti, le parti di cui si compone la clausola non danno luogo a una univoca applicazione, ma richiedono la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi”.

4. Riflessioni

In primo luogo, la previsione del piano di ammortamento alla francese preferita dagli istituti di credito per quanto concerne il rimborso del capitale erogato a titolo di mutuo, deve assolutamente condurre il professionista chiamato ad esaminare tale contratto, ad una valutazione in ordine all’inserimento nell’atto di citazione della domanda relativa alla nullità parziale ex art. 1419 c.c. della clausola contenente tale previsione, per violazione degli artt. 1346 c.c.

In secondo luogo, in considerazione anche della recente pronuncia del Tribunale di Lecce, Sezione Seconda Civile, del 17 novembre 2014 (che ha di fatto dichiarato l’invalidità della pattuizione contrattuale prevedente la capitalizzazione composta degli interessi perché contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c.), deve far riflettere in ordine alla tematica, a volte dimenticata stante la presenza del fenomeno sicuramente più grave dell’usura nei contratti di mutuo (già presente in sede di pattuizione con l’applicabilità dell’art. 1815 secondo comma c.c. circa la gratuità del negozio giuridico), dell’anatocismo su cui ancora oggi, più del passato, è necessario portare avanti tale “battaglia” nonostante le sacche di resistenza da parte delle banche in ordine alla legittimità di tale prassi secondo la Delibera del CICR del 2000.

Va considerato inoltre che a tal proposito proprio la delibera CICR del febbraio 2000 ha stabilito che: Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. E’ bene, poi, sottolineare che la suddivisione in rate del rimborso della somma presa a mutuo costituisce solo una modalità di adempimento e non ha invece l’effetto di frazionare il debito in una serie di autonome obbligazioni[20]. E’ chiaro che risulta immediatamente indispensabile per il mutuatario una ponderata riflessione sulle modalità del piano di ammortamento, proprio per valutare in concreto la propria capacità di adempimento, di programmare con prudenza i futuri flussi finanziari in entrata e in uscita dal proprio patrimonio, di scegliere lo schema di rimborso più compatibile con le proprie personali esigenze. Un’attenta valutazione del piano di ammortamento[21], è altresì, necessaria nella prospettiva di un’eventuale estinzione anticipata, incluso il pagamento della eventuale relativa penale, infatti, a seconda dei piani di ammortamento convenuti, giunti a metà della durata del contratto, potrà essere rimborsato più o meno metà del capitale prestato(condizione questa in genere necessaria per estinguere anticipatamente il contratto).La scelta fra tasso fisso e tasso variabile è strettamente connessa con l’andamento del costo del denaro[22]e quindi, dei tassi applicati dalla BCE. Nel caso di tasso fisso, infatti, a fronte di una percentuale più alta di interessi, vi è la certezza che per nessun motivo questi potranno cambiare, anche nel caso di inflazione vertiginosa. Nel caso di tasso variabile invece, a fronte di un interesse iniziale più basso, ci si assume, però, il rischio di un aumento del tasso di inflazione e, di conseguenza, del tasso di interessa applicato. In ogni caso, anche nei mutui a tasso variabile esiste sempre una componente fissa, costituita dal c.d. spread (differenza), il quale, espresso in termini di punti percentuale, si aggiunge invariabilmente al valore, invece, mutevole, espresso dal parametro di riferimento (ad esempio Euribor + 1 punto percentuale, un punto e mezzo, ecc)[23].

Le considerazioni innanzi compiute consentono di trarre le fila del discorso. Il collegamento negoziale costituisce l’immancabile presupposto che consente al giudice di ritenere rilevante e influente che qualora venga stipulato un mutuo o tasso variabile con piano di ammortamento cd. alla francese, può accadere che, in caso di estinzione anticipata del mutuo, il mutuatario si trovi a pagare una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe pagato se la rata fosse stata rideterminata ad ogni variazione di tasso non solo nella quota di interessi ma anche in quella capitale. Sotto altro aspetto, in ragione dell’unitarietà dell’operazione economica, la rilevanza del nesso funzionale del contratto di mutuo non esclude l’applicazione [24] dei criteri quali buona fede e correttezza, che, grazie alla loro evoluzione e alla loro lettura costituzionalmente orientata in rapporto all’art. 2 Cost.[25], rappresentano le regole di condotta sulla cui base valutare il rapporto in ogni sua fase.

 


[1] Per costruire il piano di ammortamento sarà necessario calcolare per ogni periodo: a) La quota interessi= capitale residuo (periodo precedente) x tasso di interesse (rapportato al periodo); b) Quota capitale = rata (costante) – quota interessi (Rata = quota interessi + quota capitale); c) Capitale residuo = capitale residuo (periodo precedente) – quota capitale.

[2] a) (quota capitale = capitale iniziale / numero di rate); b) Capitale residuo = capitale residuo (periodo precedente) – quota capitale (costante); c) Quota interessi = capitale residuo (periodo precedente) x tasso di interesse (rapportato al periodo); d) Rata = quota interessi + quota capitale Rispetto al piano di ammortamento alla francese, questa formula consente di risparmiare sul totale interessi a causa del più rapido rimborso del capitale.

[3] Ammortamento francese: Quota interessi = 40.000,00 x 3% (6%/2) = 1.200,00 ; Rata = 2.688,63 – 1.200,00 = 1.488,63 ;Capitale residuo = 40.000,00 – 1.488,63 = 38.511,27 ; Totale interessi = 13.772,57 euro.

[4] Quota interessi = 40.000,00 x 3% (6%/2) = 1.200,00 ;Rata = 1.200,00 + 2.000,00 = 3.200,00 ;Capitale residuo = 40.000,00 – 2.000,00 = 38.000,00; Totale interessi = 12.600,00 euro.

[5] Adusbef Veneto v. decisioni n. 1130/2011; n. 1280/2012.

[6] Collegio Arbitrale di Milano, decisione n.429 del 21.01.2013.

[7] Tribunale di Milano, 5 maggio 2014, n.5733.

[8] Tribunale di Benevento 19.11.2012, n.1936.

[9] Silvestri, Tedesco, Mutuo a tasso fisso e rimborso graduale secondo il sistema alla francese con rate costanti, in Giur. merito, 2009, 82.

[10] Fragali, Del Mutuo, in Comm. c.c. Scialoja Branca, sub art. 1813-1922, 2° ed., Bologna-Roma,1996,1 ss.; Grassani, voce <<Mutuo(dir. civ.)>>, in Novissimo Dig., X, Torino, 1964, 1050; Galasso, Mutuo e deposito irregolare, Milano 1968, 204; Giampiccolo voce <<Mutuo( dir. priv.)>>, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977, 447 ss.; Natoli, I contratti reali, Milano, 1975, 26ss.; Simonetto ,voce <<Mutuo. Disciplina generale>>, in Enc. Giur., XX, Roma, 1990, 2; Luminoso, I contratti tipici e atipici, I, Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano,1995, 681 s.; Gardella Tedeschi, voce <<Mutuo(contratto di)>>, in Digesto/civ., XI, Torino,1994, 538s.; Cenni, La formazione del contratto tra realità e consensualità, Padova, 1998, 125 ss.; Nivarra e Romagno, Il mutuo, Milano, 2000,9 ss.; Galgano ,Diritto civile e commerciale, II, 2, 4° ed., Padova, 2004, 155.

[11] V. sulle discussioni in sede di compilazione del codice, soprattutto con riguardo alla struttura reale o consensuale del contratto, Fragali, Del Mutuo, cit., 1 s.; Gardella Tedeschi, op.loc.cit.; Nivarra e Romagno, op.cit., 11 ss.

[12] Luminoso, I contratti tipici e aticipi, 672 S. Fausti P.L., Il mutuo, in Tratt. dir.civ, e comm. del CNN, diretto da Perlingieri, Napoli-Roma, 2004; Nicola Graziano, Il mutuo bancario, Cedam 2013; Teti R., Il mutuo, in Tratt. Rescigno, XII, t. IV, Torino, s.d., ma 1985, 641 ss. e, ivi, 660; Fauceglia G., Del mutuo, in Valentino, D., a cura di, Dei singoli contratti (artt. 1803-1860), in Comm. c.c. Gabrielli, III, Torino, 2011, 113 ss. e, ivi, 133).

[13] Forchielli, I contrarri reali, Milano, 1952, 5 ss.; Dal Martello, voce <<Pegno irregolare>> in Novissimo Dig., XII, Torino, 1965, 817 ss.; Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, I, in Tratt. Sacco, 3° ed.,Torino, 2004, 865 s.; Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, 2° ed., Milano, 1999, 243.

[14] Questa diversità di tecnica legislativa nella descrizione dei due istituti non deve ovviamente sorprendere, considerato che sono contenuti in testi normativi differenti: del mutuo viene data una definizione per ragioni di uniformità sistematica, costituendo uno dei tanti contratti tipici regolati nel codice civile la cui disciplina si apre – appunto – con l’enunciazione della nozione.

[15] In ipotesi si potrebbe realizzare un’operazione di credito fondiario anche mediante un’apertura di credito bancario (secondo la definizione che ne dà il codice civile, l’apertura di credito bancario “è il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato”; art. 1842 c.c.). Per un approfondimento in merito alla possibilità di attuare il credito fondiario mediante un contratto di apertura di credito, G. Falcone, Commento all’art. 38, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di M. Porzio-F. Belli-G. Losappio-M. Rispoli Farina-V. Santoro, Milano, 2010, 371 s.

[16] Ad esempio nel riporto il contratto si perfeziona “con la consegna” dei titoli (art. 1549 c.c.); con il contratto estimatorio una parte “consegna” una o più cose mobili (art. 1556 c.c.); nel deposito la legge dice che una parte “riceve” dall’altra una cosa mobile (art. 1766 c.c.); il sequestro convenzionale è il contratto col quale due o più persone “affidano” a un terzo una cosa o una pluralità di cose (art. 1798 c.c.); nel comodato si dice che una parte “consegna” all’altra una cosa (art. 1803 c.c.).

[17] Cass., 21 giugno 2005, n. 13294 in Riv. dir. civ., 2006, II, 471, con nota di E. Camilleri.

[18] È appena il caso di ricordare che, secondo l’art. 1376 c.c., “nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.

[19] Fra le sentenze più recenti che contengono una statuizione del genere si può segnalare Cass., 2 aprile 2007, n. 8120, ai sensi della quale il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica da parte del mutuatario. Si veda inoltre Cass., 5 luglio 2001, n. 9074, secondo cui la natura reale del contratto di mutuo non richiede in via tassativa che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, l’esigenza del requisito della “traditio” potendo ritenersi soddisfatta – in determinati casi – allorquando il risultato pratico concretamente raggiunto s’identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato.

[20] Ad esempio Cass. 6 febbraio 2004, n. 2301, in Not. 2004, 3, 236.

[21] Sul metodo alla francese v. Dagna , Profili civilistici dell’usura, in Il diritto degli affari, a cura di Inzitari, Padova, 2008, 147.

[22] Nonostante i continui aumenti del costo del denaro operati dalla BCE specie negli ultimi anni, gli esperti restano fortemente convinti che il tasso variabile sia più competitivo. Cellino, Variabile? Niente paura, in il Sole 24 Ore – Plus,12 agosto 2006,4-5; ID. Il variabile resta competitivo, ivi, 5 agosto 2006, 7; Incorvati, Il variabile resta il più conveniente, in Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2006, 4; Paolucci, Il mutuo rincara e frena le richieste, in La stampa, 4 agosto 2006, 5.

[23] Mentre l’IRS (interest rate swap) è il parametro finanziario di riferimento per stabilire il costo delle operazioni a medio e lungo termine regolate a tasso fisso; l’Euribor, è una quotazione di tassi variabili rilevati con criteri di obiettività sul mercato finanziario della U.E. v. www.mutuonline.it, www.telemutuo.it.

[24] In passato una giurisprudenza di merito ha sostenuto la contrarietà a buona fede della condotta del finanziatore che, pur partecipando alle trattative tra venditore e compratore, abbia versato il prezzo al venditore senza prima accertarsi che la merce oggetto del contratto sia disponibile presso il venditore e pronta per essere consegnata. Cfr., App. Milano, 3 luglio 1991, in Giur. di Merito, 1993, 1016, con nota di Cricenti.

[25] Per tutte, Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28056, in I contratti, 2009, 289.

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