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Attualità

Mutuo fondiario: il limite di finanziabilità al vaglio delle Sezioni Unite

22 Marzo 2022

Margherita Domenegotti, Partner, La Scala Società Tra Avvocati

Chiara Gennaro, Senior Associate, La Scala Società Tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Abbiamo assistito negli ultimi mesi ad un aumento del contenzioso avente ad oggetto le contestazioni relative al superamento del limite di finanziabilità in caso di crediti derivanti da mutui fondiari. Questo fenomeno fonda le sue origini nel netto mutamento giurisprudenziale che ha recentemente sconvolto il panorama giuridico degli operatori qualificati e delle banche nei giudizi di recupero del credito.

Come noto l’art. 38 del Testo Unico Bancario (di seguito, TUB) prevede che “Il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili e che la Banca d’Italia è tenuta a determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.”.

Con delibera CICR del 22 aprile 1995 è stato previsto che il limite massimo per la concessione dei finanziamenti fosse pari all’80% del valore dell’immobile sul quale veniva concessa l’ipoteca.

Gli aspetti che, tuttavia, non sono mai stati spiegati e che oggi costituiscono il fulcro delle problematiche sulle quali la nuova giurisprudenza si sta concentrando, sono le modalità di calcolo del valore dell’immobile al fine di verificare il rispetto della normativa sopra indicata e le conseguenze derivanti da tale eventuale violazione.

Con riguardo a quest’ultimo punto, possiamo sin da subito osservare che l’orientamento un tempo prevalente è radicalmente mutato nel corso degli ultimi anni, tanto che con Ordinanza n. 4117/2022 pubblicata in data 9/02/2022 la Presidente della I Sezione della Corte di Cassazione Dott.ssa Magda Cristiano ha ritenuto di dover rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

In attesa della decisione del consiglio plenario, non possiamo che svolgere l’excursus giurisprudenziale che ha condotto all’attuale contrasto giurisprudenziale.

L’orientamento maggioritario e vigente sino al 2017 era ben espresso dalle cd. sentenze gemelle della Corte di Cassazione n. 16672 del 28/11/2013 e n. 27380 del 6/12/2013, in base alle quali: “l’art. 38 D.Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato tra le parti, qual è l’oggetto negoziale e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del medesimo decreto, il quale attribuisce, invece, all’istituto un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario”.

Secondo tale orientamento, quindi, il mancato rispetto del limite di finanziabilità non costituirebbe una circostanza normalmente accertabile al momento della stipulazione del contratto, atteso che la Banca d’Italia nel determinare il limite dei finanziamenti non ha al contempo prescritto la necessaria indicazione nel contratto degli elementi di riferimento, quali il valore dell’immobile o il costo delle opere da eseguire.

Inoltre, l’art. 38 TUB non sarebbe posto a tutela dei clienti (i quali, al contrario, potrebbero vantare l’interesse ad ottenere un finanziamento massimo possibile), ma a presidio del sistema bancario, al fine di evitare che l’istituto di credito assuma esposizioni eccessive senza un’adeguata contropartita.

Tale orientamento, ritenuto pacifico sino al 2017, è stato invece ribaltato con la nota sentenza n. 17352 del 13/07/2017 che ha ritenuto il limite di finanziabilità elemento essenziale del contratto di mutuo fondiario ed il suo superamento causa di nullità del contratto stesso, salva la possibilità di ottenerne la conversione in mutuo ipotecario (ove ve ne siano i presupposti) e su istanza della banca, nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità.

L’art. 38 TUB, quindi, viene considerato come posto a presidio della natura pubblica dell’interesse economico nazionale violato, in considerazione della ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale.

Pertanto, esclusa la configurabilità di una nullità solo parziale, l’unica modalità per salvare il contratto nullo è stata individuata nella conversione in mutuo ipotecario, ovviamente ricorrendone le condizioni di cui all’art. 1424 cc.

Tale soluzione e l’intero iter argomentativo che ha condotto a questo orientamento, presenta tuttavia degli aspetti problematici e non condivisibili che già la più attenta e recente giurisprudenza (anche di legittimità) non ha mancato di evidenziare.

In particolare, le conclusioni a cui giunge l’orientamento del 2017 discendono dal carattere imperativo dell’art. 38 TUB che è stato fatto derivare dalla natura pubblicistica dell’interesse sotteso alla norma stessa.

Non si può tuttavia sottacere che la norma che risulterebbe violata non è una fonte normativa primaria (quale è ad es. l’art. 38 TUB), bensì una norma secondaria, trattandosi di provvedimento emesso dalla Banca d’Italia.

È necessario, quindi, semmai accertare se le regole prescritte da Banca d’Italia mirino a garantire un interesse pubblico ovvero, come previsto dalle precedenti sentenze della Corte di Cassazione del 2013, ad evitare che la banca si faccia carico di un’eccessiva esposizione finanziaria in assenza di adeguata contropartita.

Si deve, pertanto, svolgere una attenta indagine della reale caratura dell’interesse protetto perché se, da un lato, è vero che l’interesse alla correttezza del comportamento delle banche produce innegabili riflessi sul buon funzionamento dell’intero mercato, è altrettanto vero che ciò potrebbe non essere sufficiente a far scattare la nullità dell’atto dal momento che alla tutela di tale interesse sono comunque preordinati una serie di controlli da parte dell’autorità pubblica di vigilanza.

Altra visione, invece, è quella abbracciata dalla giurisprudenza successiva al 2017 in base alla quale il rispetto del limite di finanziabilità avrebbe ad oggetto un elemento strutturale della fattispecie, la cui violazione condurrebbe quindi alla nullità del contratto.

In senso opposto si pone però la considerazione che l’art. 38 TUB non interferisce sul contenuto del contratto “per aggiunta” ma solo per specificazione, imponendo pertanto che un requisito già presente nel contratto abbia una determinata caratteristica di tipo quantitativo. A ciò si aggiunga che il limite dell’80% non incide in alcun modo sul sinallagma contrattuale, dal momento che disciplina unicamente una regola di condotta.

Al fine di verificare quale sia la conseguenza della violazione del limite di finanziabilità è importante analizzare quali sono gli interessi in gioco che verrebbero colpiti dalla nullità.

Ed infatti, con tale sanzione potrebbe aversi il paradossale risultato di pregiudicare ancora di più gli interessi che in realtà si sarebbe voluto proteggere. Si avrebbe, di fatto, un oggettivo detrimento per la parte mutuataria ovvero per la parte debole del rapporto che, ai sensi dell’art. 125 bis TUB, si vedrebbe costretta a restituire capitale e interessi al massimo entro 36 mesi (in questo senso si è espresso anche il Tribunale di Siena con Ordinanza del 16.12.2021, ma anche la Corte di Cassazione con la recente Ordinanza interlocutoria n. 7509 del 8/03/2022).

Inoltre, il fatto che sia in astratto possibile configurare una nullità virtuale non implica che la detta disponibilità debba sussistere; al contrario, la conclusione della nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità parrebbe contraria alla ratio stessa della disciplina. Penalizza, infatti, eccessivamente il singolo operatore e trascura che la stabilità patrimoniale della singola banca è in prima battuta finalizzata ad impedire lo squilibrio tra garanzie acquisite e concessione del credito e quindi a prevenire, per quanto possibile, il rischio di sovraesposizione.

In altri termini, affermare che la conseguenza sia la nullità conduce ad effetti contrastanti con le finalità della normativa di settore individuata nella preservazione della stabilità patrimoniale degli istituti di credito: retrocederebbe infatti la pretesa della banca a mera pretesa creditoria chirografaria fondata sulla generica ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 cc. Il tal modo, però, si vanificherebbe l’obiettivo di una sana e prudente gestione volta ad assicurare alla banca il recupero dell’importo del credito finanziato in sede di esecuzione forzata.

Inoltre, la giurisprudenza che fa discendere la nullità alla violazione del limite di finanziabilità, tralascia che la valutazione circa il rispetto del limite è da verificare in concreto e all’esterno del contratto, attraverso perizie e valutazioni che presentano indubbi margini di discrezionalità. Tanto più che l’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non è un requisito di forma prescritto ad substantiam.

Inoltre, essendo necessario un accertamento tecnico, è innegabile che potrebbe essere comminata la sanzione della nullità sulla base di valori che presentano un ampio margine di opinabilità che indubbiamente si va ad accrescere sol che si consideri che questa indagine che dovrebbe valutare il bene ex tunc, ovvero al momento della stipula del contratto, viene solitamente svolta a distanza di diversi anni, con tutte le inevitabili conseguenze in termini di vetustà dell’immobile e deterioramento dovuto all’uso.

Per uscire dall’impasse, non sembra convincente neanche l’applicazione dell’istituto della conversione alla luce della difficoltà che si riscontrano nella prassi per il rispetto dei requisiti di cui all’art. 1424 cc, in particolare in merito alla prova che le parti avrebbero voluto un contratto diverso se avessero conosciuto la nullità di quello effettivamente stipulato.

Per tale ragione, come anche suggerito nell’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite, la soluzione che, a parere di chi scrive, risulta più tutelante per tutti gli interessi coinvolti è quella che prevede la possibilità di una mera riqualificazione del contratto in un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris e, semplicemente, liberandolo di tutti i privilegi concessi al creditore fondiario, con conservazione della garanzia ipotecaria.

In questo modo, il superamento del limite non inciderebbe sulla validità del contratto bensì unicamente sulle peculiari garanzie che il credito fondiario attribuisce al creditore: si avrebbe quindi la mera non operatività dell’impianto normativo proprio del credito fondiario (ad es. i.- possibilità di omettere la notifica del titolo esecutivo, ii.- facoltà di proseguire l’esecuzione individuale in caso di fallimento del debitore, salva la necessità di procedere con l’insinuazione al passivo, iii.- diritto ad ottenere il versamento diretto dell’incasso delle somme a seguito di aggiudicazione ex art. 41 TUB).

In questo senso, oltre alla giurisprudenza di merito (ad es. Tribunale di Grosseto del 30/04/2021 Giudice Dott.ssa Adriana Forastiere) si è recentemente espressa l’Ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione del 8/03/2022 in base alla quale, a seguito dell’accertamento del superamento del limite di finanziabilità, non si avrebbe il mutamento della natura del contratto originario bensì verrebbe unicamente preclusa la portata applicativa di talune norme di favore e specializzanti, previste per il mutuante.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, “il mutuo fondiario non può cioè definirsi un tipo contrattuale autonomo, anziché una particolare forma di mutuo ipotecario. […] In tale contesto il limite di finanziabilità può bene identificarsi come elemento conformativo della species mutuo fondiario del genus di ogni altro mutuo ipotecario. […] In conclusione, il mutuo fondiario altro non è se non una specie di mutuo, tra le tante che possono essere erogate con la peculiarità che esso è regolato da una disciplina di particolare favore per i mutuanti”.

Secondo la Cassazione, quindi, “nei rapporti tra i contraenti, la questione va risolta sul piano della qualificazione giuridica del contratto, sicché, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, l’operatività del corpus normativo che postula il rispetto di quel limite viene meno ove sia venuto meno il presupposto di tale rispetto (e, così, sia superato il limite)”.

Concludendo, la Corte sostiene che il superamento del limite di finanziabilità non comporta la nullità del mutuo fondiario ma esclusivamente la disapplicazione della disciplina di privilegio dettata per questa tipologia contrattuale.

In attesa della decisione delle Sezioni Unite, questa sembra quindi la base da cui partire per giungere a pronunce che meglio contemperino tutti gli interessi in gioco, soprattutto senza frustrare la ratio delle norme ed evitando di pervenire a conclusioni paradossali, spesso negative per gli stessi soggetti che il legislatore aveva inteso tutelare.

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