Con la sentenza n. 29072/2025, la Corte di Cassazione ha chiarito la natura reddituale delle somme percepite da un ex socio unico a seguito della liquidazione di una S.r.l., stabilendo che esse costituiscono reddito di capitale e non già reddito diverso e precisando le condizioni imposte dalla legge per l’applicazione delle norme contro la doppia tassazione.
La vicenda sub specie riguardava un ex socio unico che, anni dopo la liquidazione della sua società, aveva conseguito un ingente credito in origine spettante alla società medesima.
Più dettagliatamente, la controversia traeva origine dalla liquidazione di una S.r.l., il cui patrimonio, incluso un cospicuo credito risarcitorio vantato verso un Ministero, veniva assegnato in toto all’unico socio.
Ad avviso del contribuente, tali somme erano qualificabili come redditi diversi, derivandone l’applicazione di un’imposta sostitutiva pari al 12,50%, sul presupposto che si trattasse di un credito ormai personale ed autonomo rispetto alle vicende societarie.
A tale proposito, il contribuente sosteneva altresì che, anche se si fosse trattato di un reddito da capitale, l’importo avrebbe dovuto essere tassato solo per il 49,72%, come previsto dalla normativa per evitare la doppia imposizione economica.
Di opposto avviso l’Agenzia delle entrate che, a seguito dell’espletamento di una verifica fiscale, aveva notificato un avviso di accertamento.
L’Ente impositore riqualificava, infatti, le somme controverse come reddito da capitale derivante dalla liquidazione della società, ai sensi dell’art. 47 del TUIR (applicando, quindi, il trattamento ordinario ai fini IRPEF), contestando l’errata applicazione dell’aliquota ridotta ed irrogando le relative sanzioni.
La Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la tesi propugnata dell’Amministrazione finanziaria.
In primo luogo, secondo il Collegio, il fatto che il pagamento sia avvenuto molto tempo dopo la liquidazione della S.r.l. non rileva ai fini della qualificazione reddituale del cespite.
Ciò che conta, infatti, è la natura del credito (nel caso di specie, utile derivante dalla partecipazione sociale, distribuito in sede liquidatoria) sicché, alla luce di un’esegesi sistematica dell’art. 47 TUIR, le somme o i beni ricevuti dai soci in tale contesto, per la parte che eccede il costo di acquisto della partecipazione, costituiscono un profitto rientrante nella categoria del reddito di capitale.
La Corte ha ulteriormente precisato che la limitazione della base imponibile per evitare la doppia imposizione (sulla società prima, e sul socio poi) non si applica qualora la società estinta non abbia mai versato imposte su tali somme, rendendo il cespite pienamente imponibile in capo al socio beneficiario.
Infatti, nella vicenda in esame, la società, ormai estinta da tempo, non aveva mai subito alcun prelievo su quelle somme: venendo a mancare il presupposto genetico della doppia imposizione, non vi sarebbe stata alcuna ragione per applicare la riduzione della base imponibile.
Il socio sarà perciò tenuto a pagare le imposte sull’intero ammontare percepito.