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Giurisprudenza

Le misure protettive nel Codice della Crisi: l’orientamento del Tribunale di Roma

10 Novembre 2022

Tommaso Senni, Senni&Partners Studio Legale

Tribunale di Roma, 21 luglio 2022 – G.U. Miccio

Di cosa si parla in questo articolo

La presente nota affronta il tema delle misure protettive nel Codice della Crisi partendo dalla pronuncia del Tribunale di Roma del 21 luglio 2022.


A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza d’Impresa (“CCII”), gli operatori del settore (imprenditori, banche, intermediari creditizi, consulenti e creditori in genere) si sono trovati a far fronte ad un quadro normativo in gran parte rinnovato. I criteri di interpretazione e le prassi consolidate nel vigore della Legge Fallimentare dovranno essere riconsiderate e poste a confronto con le norme di nuova introduzione, con la conseguente incertezza nell’impostazione delle proprie strategie. Per porvi rimedio, nelle ultime settimane, sono intervenute alcune prime pronunce della giurisprudenza, che potrebbero avere una valenza importante nel definire i criteri interpretativi per l’avvenire (seppur in via ancora provvisoria).

In questo solco si colloca un importante decreto emanato dal Tribunale di Roma il 21 luglio 2022 (dunque, breve tempo dopo la data di entrata in vigore del CCII), che puntualizza alcuni fondamentali aspetti delle c.d. misure protettive.

1. La pronuncia del Tribunale di Roma

Al Tribunale era stata sottoposta una istanza di concessione di misure protettive, presentata dal debitore contestualmente alla domanda di concessione del termine previsto dall’articolo 44 CCII (“Accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza con riserva di deposito di documentazione”), sulla falsariga del concordato preventivo “con riserva” nel vigore della Legge Fallimentare. Ritenuto, peraltro, che tale domanda (unitaria) veniva depositata nel periodo di vigenza del CCII, si concludeva per la piena applicazione delle norme del codice della crisi, in virtù di quanto previsto dall’articolo 390 CCII. Le misure protettive richieste, in quel caso, rientravano, peraltro, tra quelle previste dall’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo CCII (e potevano, dunque, classificarsi come misure protettive “tipiche”, in base ai criteri definitori su cui si tornerà nel seguito).

Il Tribunale coglie, così, l’occasione per fare il punto sul tema del rispetto del principio del contraddittorio, chiarendo se, a seconda della fattispecie di volta in volta in rilievo, si renda o meno necessario coinvolgere i creditori (e i controinteressati in genere) a cui la misura è destinata ad applicarsi.

Nel valutare se sia necessario assicurare il contraddittorio prima della concessione delle misure protettive, il Tribunale prende in esame le norme materiali e procedurali applicabili (essenzialmente, gli articoli 54 e 55 CCII), fornendo alcune utili indicazioni interpretative.

Il Tribunale precisa che, nel caso in esame, il giudice non è tenuto a convocare un’apposita udienza di trattazione, né a concedere ai creditori alcun diritto di formulare osservazioni o contestazioni nel procedimento di valutazione e concessione (rectius, di conferma o modifica) delle misure protettive richieste. Il Tribunale afferma, inoltre, che l’articolo 55, comma 3, CCII “non dispone che la domanda venga portata a conoscenza dei controinteressati; non detta forme di comunicazione del decreto differenti dalla iscrizione del registro delle imprese”: tale aspetto, secondo il Tribunale, differenzierebbe le misure protettive previste dagli articoli 54 e seguenti CCII da quelle previste nella composizione negoziata della crisi (in quest’ultimo caso, infatti, sono previsti la fissazione di una specifica udienza, l’obbligo di sentire le parti e l’emanazione di una ordinanza – anziché di un decreto, come avviene invece nel caso contemplato dall’articolo 54 CCII – il che confermerebbe, ancora una volta, il doveroso rispetto del principio del contraddittorio).

Tali elementi autorizzano, secondo il Tribunale, l’”adozione di una misura con efficacia erga omnes, ossia verso tutti coloro i quali hanno già assunto ovvero astrattamente potrebbero assumere iniziative che, mediante la richiesta di conferma avanzata in questa sede, si vuole che vengano inibite, ferma la possibilità per ciascuno di essi di proporre reclamo” e fermi restando, comunque, gli effetti previsti dall’articolo 46 CCII (anche indipendentemente dalla concessione di misure protettive), che, come noto, inibisce la possibilità, per i creditori, di acquisire, in via unilaterale, diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti (salvo che intervenga specifica autorizzazione) e dichiara l’inefficacia nei confronti dei creditori anteriori delle ipoteche giudiziale iscritte nei novanta giorni precedenti la data di pubblicazione della domanda di accesso al Registro delle Imprese.

Le conclusioni del Tribunale di Roma (che conducono alla conferma delle misure protettive richieste), peraltro, vengono basate sull’assunto che non vi siano “ragioni ostative” all’accoglimento (aspetto sul quale, tuttavia, il Tribunale non si sofferma)[1].

La pronuncia del Tribunale di Roma offre lo spunto per azzardare alcune prime riflessioni riguardo al contenuto e alla procedura di conferma, proroga, modifica e revoca delle misure protettive, con particolare riguardo al principio del contraddittorio (e, dunque, al coinvolgimento dei creditori nel procedimento di concessione delle misure protettive). Le misure in questione verranno, dunque, qui esaminate, con la stessa chiave di lettura adottata dal Tribunale di Roma, a seconda che si tratti di misure relative agli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (si rinvia al paragrafo 2 di cui infra) oppure alla composizione negoziata della crisi (si rinvia al paragrafo 3). Da ultimo, verranno prese in esame alcune tipiche implicazioni delle misure protettive nei confronti del creditore bancario, il quale rischia di subirne gli effetti senza che gli sia concessa la possibilità di sollevare osservazioni o contestazioni nel procedimento di conferma delle stesse (paragrafo 4).

2. Le misure protettive previste dagli articoli 54 e seguenti CCII

In termini generali, le misure protettive vengono definite (dall’articolo 1, comma 1, lett. (p) CCII) come le “misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori[2] possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.

Se ne ricava, in prima battuta, che le misure in esame sono necessariamente collegate ad uno “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (come definiti dalla medesima norma, al paragrafo (m-bis)), in quanto funzionali, per loro natura, a preservare – per quanto possibile – il buon esito delle trattative avviate con il ceto creditorio[3]; per inciso, come si vedrà nel seguito[4], le misure protettive possono essere richieste anche in connessione alla composizione negoziata della crisi, pur se non comprese nella definizione di “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, in virtù di quanto previsto dall’articolo 18 CCII.

Le misure protettive riflettono la ratio indicata nel considerando 32 della direttiva c.d. insolvency[5], in base al quale “un debitore dovrebbe poter beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, sia essa concessa da un’autorità̀ giudiziaria o amministrativa oppure per legge allo scopo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, così da poter continuare a operare o almeno mantenere il valore della sua massa fallimentare durante le trattative. Ove previsto dal diritto nazionale, la sospensione dovrebbe essere possibile anche a beneficio dei terzi garanti, fra cui fideiussori e prestatori di garanzie reali. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter disporre che le autorità̀ giudiziarie o amministrative abbiano la facoltà̀ di rifiutare la concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali qualora tale sospensione non sia necessaria o non soddisfi l’obiettivo di agevolare le trattative. Tra i motivi di rifiuto potrebbero figurare la mancanza di sostegno da parte della maggioranza richiesta dei creditori o, se previsto dal diritto nazionale, l’effettiva incapacità̀ del debitore di pagare i debiti in scadenza”.

In secondo luogo, se ne ricava, prima facie, che le misure protettive possono essere richieste anche prima del deposito della domanda di accesso ad uno “strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza: le misure protettive, dunque, possono anticipare l’accesso ad uno di tali strumenti ovvero (a seconda dei casi) sovrapporsi ad esso. In particolare, l’art 54, comma 3 CCII prevede la facoltà di depositare la richiesta di concessione delle misure protettive anche durante le trattative propedeutiche alla conclusione di un accordo di ristrutturazione del debito, ex articolo 57 CCII. Le misure protettive (anche se solo quelle “classiche”, cioè quelle previste di cui al comma 2, primo e secondo periodo) “possono essere richieste dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, allegando la documentazione di cui all’articolo 39, comma 1, e la proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente che attesta che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. La disposizione si applica anche agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all’articolo 61[6].

In terzo luogo, considerato che le misure protettive hanno ad oggetto, testualmente, il patrimonio del debitore e i beni di cui lo stesso si avvale per l’esercizio dell’impresa (le misure incidono “sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”), le misure inibiscono qualsiasi azioni dei terzi, non solo sui beni di cui il debitore sia pieno proprietario (beni che fanno parte del patrimonio), ma anche quelli di cui egli abbia solo la mera disponibilità, il possesso o il godimento (ad es., beni in locazione o in leasing)[7].

Poste tali premesse sull’estensione oggettiva delle misure protettive, occorre, però, fare il punto sulle norme procedurali applicabili alla concessione e, nello specifico, sul contraddittorio. Come noto, l’art. 54, comma 2 CCII prevede che “se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all’articolo 40 [cioè nella domanda di accesso ad uno dei c.d. “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolenza”, ndr], dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano e la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata”.

Tuttavia, oltre alle misure protettive (che potremmo definire “classiche”) individuate dai primi due periodi del comma 2 (cioè quelle richieste con la domanda di accesso ad uno “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, per inibire le procedure esecutive e cautelari, nonché l’apertura della liquidazione giudiziale, sospendendo il decorso delle prescrizioni e impedendo le decadenze), il CCII ammette anche la concessione di misure protettive atipiche, cioè non tipizzate a priori dal legislatore nel loro contenuto[8]. È prevista, infatti, la facoltà del debitore di “richiedere al tribunale, con successiva istanza, ulteriori misure temporanee per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”. In base ad una lettura letterale di tale inciso, sembra, peraltro, che le misure atipiche possano essere richieste solo in via accessoria rispetto alle misure protettive “classiche” (le prime, infatti, vengono definite come misure “ulteriori”, del tutto eventuali, e da richiedersi con “successiva istanza”); se questa premessa è (come crediamo) corretta, una misura protettiva “atipica” non potrebbe essere concessa qualora non fosse stata concessa, in precedenza, una misura di tipo “classico”.

Ci si è chiesto quale possa, in concreto, essere il contenuto delle misure “atipiche”, considerato che al debitore è rimessa la facoltà di determinare le restrizioni da imporre ai creditori, evidenziando che, in caso di mancata concessione della misura protettiva, potrebbero essere compromessi gli effetti della trattativa in corso (qualora questa risulti fruttuosa). Va considerato che l’avvio o la prosecuzione di azioni esecutive e cautelari è già inibita per effetto delle misure protettive “classiche” (e che è dubbia la possibilità di assoggettare a misure protettive un’azione di mera cognizione avviata – o da avviarsi – da parte di un soggetto terzo): di conseguenza, posto che le misure “atipiche” potrebbero consistere solo nell’imposizione di un obbligo di non fare, esse potrebbero riguardare, per ipotesi, l’inibitoria dei poteri “di autotutela negoziale” (si può pensare, ad esempio, ad una richiesta volta ad impedire temporaneamente al creditore la risoluzione di un contratto, l’anticipazione della sua scadenza o la modifica unilaterale di quel contratto, in senso sfavorevole al debitore, qualora quest’ultimo intenda, poi, proporre un concordato preventivo in continuità, con la conseguente – ma non immediata – applicazione dell’art. 94-bis CCII).

È appena il caso di ricordare che le misure protettive previste dagli articoli 54 e seguenti CCII (in collegamento con gli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”) rappresentano il contraltare delle analoghe misure protettive previste dall’articolo 18 CCII per la composizione negoziata dalla crisi. Come vedremo nel prosieguo, però, e come messo in luce dal Tribunale di Roma, sono molteplici le differenze tra i due istituti (a dispetto della identica denominazione).

Per quanto attiene al procedimento applicabile, l’art. 55 CCII prevede “binari” differenziati, a seconda che siano richieste: (i) le misure protettive previste dall’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo (dunque, le misure di tipo “classico”)[9]. (ii) le misure protettive di cui all’articolo 54 commi 2, terzo periodo, e 3 (dunque, le misure “atipiche”, ovvero quelle “classiche”, se concesse nel corso delle trattative prima della domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione del debito)[10].

Nel caso di cui al punto (i) (cioè nel caso delle misure “classiche”), il giudice, “assunte, ove necessario, sommarie informazioni, conferma o revoca le misure protettive entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese con decreto reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile. La durata delle misure è fissata al massimo in quattro mesi. Il decreto è trasmesso al registro delle imprese per l’iscrizione”. In questo caso, dunque, il debitore è esentato dall’obbligo di conformarsi al principio del contraddittorio. Ai creditori, per converso, non viene riconosciuto alcun diritto di esprimere osservazioni o contestazioni in udienza (non ne è prevista alcuna) o in altro modo: da un lato, si prevede la pubblicazione della domanda nel Registro delle Imprese (assicurandosi, così, almeno la conoscibilità ex ante dell’istanza da parte dei controinteressati); tuttavia, il giudice potrebbe interpellare i soggetti controinteressati solo in via eventuale, ove ritenuto necessario, e solo per l’assunzione di “sommarie informazioni”.. È escluso invece, il diritto dei creditori di essere sentiti prima della conferma delle misure (salvo il diritto di reclamo, da vedersi come una sorta di “contraddittorio successivo”). In breve, il giudice non è obbligato a fissare alcuna udienza, né a stabilire il contraddittorio tra le parti.

Nel caso di cui al punto (ii) (nel caso, cioè, delle misure protettive “atipiche” o delle misure “classiche” concesse nel corso delle trattative ante-omologa di un accordo di ristrutturazione del debito), viene imposto, invece, il rispetto del principio del contraddittorio (sia pur nei limiti di quanto ritenuto essenziale dal giudice), prevedendosi il necessario coinvolgimento dei creditori interessati. Infatti, “sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”, il giudice “procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione alla misura richiesta”. In casi eccezionali, la misura protettiva richiesta può essere emanata, in via anticipatoria, con decreto inaudita altera parte (sia pur assunte, se del caso, “sommarie informazioni”), salva, però, la fissazione di una successiva udienza per la conferma, revoca o modifica delle misure così concesse. La norma prevede, infatti, che:

quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato, assunte, ove occorra, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé, […] assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. All’udienza, il giudice conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile. Le misure perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza”.

Ne deriva un quadro in cui, ai fini della conferma delle misure protettive, il principio del contraddittorio può applicarsi con diverse gradazioni. Nel primo caso, come detto, possono essere “assunte, ove necessario, sommarie informazioni”, prima di confermare o revocare senz’altro le misure protettive (salvo, però, il diritto dei creditori interessati di proporre reclamo avverso le misure protettive), mentre, nel secondo, vengono sentite le parti (ferma restando la flessibilità concessa al giudice nella gestione della fase istruttoria). Anche nel primo caso, però, è prevista comunque la conoscibilità ex ante dell’istanza del debitore da parte dei controinteressati, mediante la pubblicazione al Registro Imprese.

Ci si potrebbe interrogare sulla ratio di questa discrepanza nel trattamento delle misure protettive (discrepanza che riflette, dal punto di vista procedurale, una differenziazione nei contenuti delle misure richieste): il contraddittorio può essere, come detto, compresso in alcuni dei possibili scenari, mentre viene confermato (seppur in misura ridotta all’essenziale) in altri.

Al riguardo, né la direttiva insolvency, né la precedente raccomandazione della Commissione Europea del 12 marzo 2014, volta a definire “un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza[11], forniscono supporti interpretativi precisi. La direttiva dedica solo qualche cenno al principio del contraddittorio, prevedendo, tra l’altro, nei propri considerando, che “gli Stati membri dovrebbero avere la facoltà di limitare la possibilità di revoca della sospensione [i.e., della misura protettiva, che comporta, appunto, la sospensione delle azioni esecutive e cautelari a carico del debitore, ndr] a situazioni in cui i creditori non hanno avuto l’opportunità di essere ascoltati prima dell’entrata in vigore della sospensione o della sua proroga” (previsione poi riprodotta nell’art. 6, comma 9 della medesima direttiva). La citata raccomandazione della Commissione, al paragrafo 24, prevede, in termini molto generali (e con riguardo al piano di ristrutturazione nel suo complesso), alla voce “diritti dei creditori”, che “tutti i creditori potenzialmente interessati dal piano di ri­strutturazione dovrebbero essere informati dei suoi conte­nuti e godere del diritto di opporsi e proporre ricorso contro il piano di ristrutturazione. Tuttavia, nell’interesse dei creditori favorevoli al piano, sarebbe opportuno che, in linea di principio, il ricorso non ne sospenda l’attuazio­ne”. Nessun riferimento specifico viene dedicato, invece, al rispetto del principio del contraddittorio, ai fini della concessione delle misure protettive.

È ragionevole ritenere, al riguardo, che la ragione del diverso trattamento stia nell’opportunità di garantire ai creditori, nelle misure “atipiche” e in quelle concesse nel corso delle trattative, un livello di protezione più elevato: considerata, infatti, l’indeterminatezza ex ante del contenuto delle misure, si ritiene opportuno che i controinteressati (ricevuta notizia in anticipo dell’intenzione del debitore) possano, se lo ritengono opportuno, formulare osservazioni o contestazioni (in udienza). Un’analoga ratio non sembra ravvisabile, invece, nel caso delle misure protettive “classiche”: in questo caso, infatti, si presuppone che l’istanza di concessione delle misure protettive sia contenuta nella domanda di accesso ad uno “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza” ai sensi dell’articolo 40 CCII. Ricordiamo che tale domanda deve essere pubblicata al Registro delle Imprese e che, se la stessa contiene una richiesta di concessione di misure protettive, l’iscrizione “ne fa espressa menzione”, come prescritto dall’articolo 30, comma 3 CCII. Pur considerato, dunque, che al creditore non viene data occasione di esporre le proprie ragioni in senso contrario alla misura protettiva, il sistema di pubblicità-notizia – assicurato (in via indiretta) dagli articoli 30 e 40 CCII – assicura la conoscibilità ex ante dell’istanza[12] (e, quanto meno dal punto di vista del tempo disponibile, potrebbe consentire ai controinteressati di definire, con un certo anticipo, un proprio approccio nei confronti del debitore, ponendo in essere le misure organizzative ritenute opportune). Nel caso delle misure “classiche”, del resto, il contenuto delle misure è già tipizzato ex ante dal legislatore, per cui l’esigenza di interloquire e di essere sentiti prima della conferma appare, in questo caso, leggermente attenuata.

Inoltre, è ragionevole ritenere che l’esclusione del contraddittorio (nell’esame delle misure “classiche”) possa essere controbilanciata dall’analisi approfondita, da parte del giudice, della copiosa documentazione che il debitore è tenuto a depositare unitamente alla domanda di accesso allo “strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza: l’art. 39 CCII (rubricato “obblighi del debitore che chiede l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza o di una procedura di insolvenza”) elenca una serie di documenti riguardanti la situazione economico-patrimoniale e finanziaria e lo stato particolareggiato ed estimativo delle attività, nonché l’elenco dei creditori e delle rispettive cause di prelazione. La norma richiede anche l’indicazione degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nei cinque anni precedenti. A ciò si aggiunge l’obbligo del debitore di descrivere lo specifico “strumento di regolazione” e le relative ragioni, motivando la propria scelta alla luce (presumibilmente) dei relativi obiettivi, delle cause della crisi e della propria situazione contingente. Non è irragionevole ritenere, dunque, che, pur a fronte di una compressione del contraddittorio, sia previsto comunque un presidio (indirettamente) a beneficio dei creditori, rappresentato da un’analisi ampia sul progetto di ristrutturazione nel suo complesso, così come delineato (seppur in nuce) nella documentazione depositata dal debitore.

Il principio di contraddittorio, ancora, si presta ad alcune considerazioni anche nelle fasi successive alla conferma delle misure protettive: pensiamo alla eventuale proroga e alla revoca o alla modifica delle misure. Per quanto attiene alla proroga, ai sensi dell’art. 55, comma 4 CCII, questa può essere disposta, “in tutto o in parte”, su istanza del debitore o di un creditore e acquisito il parere del commissario giudiziale (se nominato), nel rispetto del termine massimo di cui all’articolo 8[13], “se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e se la proroga non arreca ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate”. Non pare, dunque, che, in questo caso, sia previsto alcun coinvolgimento dei controinteressati, che non vengono necessariamente convocati o resi edotti del procedimento di proroga, nonostante l’evidente impatto che la stessa potrà produrre sui loro interessi: la procedura di proroga, peraltro, non viene differenziata a seconda del tipo a cui appartiene la misura protettiva che viene in rilievo. D’altra parte, il tribunale dovrà tener conto dell’esigenza di non arrecare “ingiusto pregiudizio” ai diritti e agli interessi delle parti interessate (dunque, un qualche pregiudizio viene implicitamente ammesso, mentre dovrebbe essere esclusa la proroga in caso di pregiudizio “ingiusto” e, dunque, verosimilmente, in caso di sproporzione tra l’obiettivo della proroga e, appunto, il pregiudizio che si prospetta per i creditori interessati).

La revoca o la modifica, invece, prevedono, quanto al contraddittorio, un regime più rigoroso (quello previsto dall’articolo 55, comma 5 CCII). Le stesse possono essere disposte, su richiesta del debitore o del commissario giudiziale o, in caso di atti di frode, su istanza dei creditori o del pubblico ministero, “sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”. La stessa disposizione, peraltro, si applica anche qualora il tribunale accerti che le misure protettive concesse non soddisfano più l’obiettivo di agevolare le trattative.

3. Le misure protettive nella composizione negoziata della crisi

In termini analoghi – ma diversi per quanto attiene al contraddittorio – si pongono le misure protettive relative alla composizione negoziata della crisi.

Il contenuto delle misure è sostanzialmente analogo a quello delle misure “tipiche” previste dall’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo CCII). Tuttavia, nella composizione negoziata, già dal giorno della pubblicazione al Registro delle Imprese, i creditori interessati non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. La sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata. D’altra parte – aspetto di non poco conto – non sono inibiti i pagamenti e l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’azienda (salve le eventuali manifestazioni di dissenso da parte dell’esperto, con la conseguente revoca della procedura da parte del Tribunale competente).

Con l’istanza di concessione delle misure, l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori: come si vedrà più approfonditamente nel seguito[14], i creditori “destinatari” delle misure protettive non potranno, dunque, unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza.

Gli articoli 18 e 19 CCII prevedono che l’imprenditore possa formulare la richiesta di conferma delle misure protettive con ricorso presentato al Tribunale[15] entro il giorno successivo alla pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto, chiedendo la conferma (o la modifica) delle stesse misure (e, ove occorre, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative). Dell’avvio del procedimento per la conferma delle misure protettive viene data notizie mediante pubblicazione nel Registro delle Imprese. Il Tribunale, a sua volta, fissa, con decreto, l’udienza di trattazione ed il ricorso, unitamente al decreto, è notificato dal ricorrente ai controinteressati e all’esperto (con le modalità prescritte dal Tribunale per garantire la celerità del procedimento).

All’udienza, il tribunale, “sentite le parti e chiamato l’esperto a esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, nomina, se occorre, un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile e procede agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti ai sensi del comma 1 e ai provvedimenti di conferma, revoca o modifica delle misure protettive”. Il Tribunale può, peraltro, assumere informazioni dai creditori indicati nell’elenco di cui al comma 2, lettera c) CCII. In ogni caso, qualora le misure protettive possano incidere sui diritti dei terzi, questi devono essere sentiti. A conferma della piena vigenza del principio del contraddittorio, il Tribunale provvede con ordinanza (e non con decreto, come nel caso previsto dall’articolo 55, comma 3, per gli strumenti di regolazione della crisi – caso in cui, come si è visto, il principio del contraddittorio è significativamente compresso, se non eliminato, almeno nella conferma delle misure “classiche”).

Gli interpreti hanno avviato una riflessione volta ad accertare la ratio della diversità di trattamento tra le misure protettive previste per gli strumenti di regolazione della crisi e quelle previste per la composizione negoziata. Al riguardo, non pare potersi aderire all’opinione per cui tale differenza sarebbe dovuta al diverso ambito soggettivo delle misure: come noto, nelle misure protettive previste nella composizione negoziata, il debitore può selezionare i creditori a cui le misure dovranno essere applicate[16] (facoltà, invece, inibita nella richiesta di misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi, almeno per quelle “tipiche”). Secondo alcuni primi commenti, la diversa applicazione del principio del contraddittorio sarebbe, appunto, giustificata dalla (potenziale) diversa “platea” dei destinatari della misura protettiva (nei due scenari considerati): nella composizione negoziata, i destinatari delle misure sarebbero i naturali legittimi contraddittori del procedimento di conferma delle misure protettive (il debitore, così come può scegliere chi invitare al tavolo delle trattative, può stabilire da chi proteggere il proprio patrimonio). Non pare, però, che il restringimento della platea dei destinatari della misura sia, di per sé, un argomento utilizzabile per giustificare l’esclusione del contraddittorio.

In ogni caso, una volta concessa, la misura protettiva può essere, poi, prorogata su istanza delle parti, previa acquisizione del parere dell’esperto, “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative”. All’opposto, le misure possono essere revocate (o la loro durata può essere abbreviata), in qualunque momento, su istanza dell’imprenditore o di un creditore o su segnalazione dell’esperto, sentite le parti interessate (e, in ogni caso, a seguito dell’archiviazione dell’istanza ai sensi dell’articolo 17, commi 5 e 8 CCII), quando esse “non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti”.

4. Alcune implicazioni delle misure protettive per il creditore bancario: in particolare, il caso del concordato preventivo e della composizione negoziata della crisi

Sulla base dell’analisi di cui sopra, occorre chiedersi, a questo punto, quale possibile impatto possano avere le misure protettive sulla posizione del creditore bancario, specie nei casi (statisticamente più ricorrenti) del concordato preventivo e della composizione negoziata della crisi.

Nel caso in cui il piano concordatario sia fondato sulla continuità (diretta o indiretta), trova applicazione l’articolo 94-bis CCII. Ai sensi dei commi 1 e 2 di tale norma:

“1. I creditori non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato in continuità aziendale, dell’emissione del decreto di apertura di cui all’articolo 47 e della concessione delle misure protettive o cautelari. Sono inefficaci eventuali patti contrari.

2. Fermo quanto previsto dal comma 1, i creditori interessati dalle misure protettive concesse ai sensi dell’articolo 54, comma 2, non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti essenziali in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità aziendale”.

Ai sensi della medesima norma, devono intendersi come “essenziali” i contratti “necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore”.

Le nuove norme riducono, dunque, significativamente la libertà delle banche di sospendere o revocare gli affidamenti a breve termine (tipicamente, i fidi di cassa o quelli di natura autoliquidante), qualora il debitore chieda e ottenga le misure protettive previste dall’articolo 54, comma 2 CCII: in caso di concessione di misure protettive, la norma in commento impedisce, infatti, alle banche di sospendere o revocare gli affidamenti per il sol fatto del mancato pagamento di insoluti (in nome della ratio di impedire comportamenti potenzialmente opportunistici da parte delle banche). Va notato, peraltro, che, sulla base di una interpretazione lettera della norma, il divieto previsto dall’articolo 94-bis CCII si applica in tutti i casi in cui siano concesse misure protettive ai sensi dell’articolo 54, comma 2 e, di conseguenza, a tutte le misure protettive “classiche” e “atipiche”, con la sola esclusione, dunque, delle misure protettive previste dall’articolo 54, comma 3 (che non viene richiamato dall’articolo 94-bis), dunque delle misure richieste nel corso delle trattative propedeutiche al deposito della domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione del debito.

Tale previsione riflette, nella sostanza, quella contenuta nell’articolo 7, commi 1 e 4 della direttiva insolvency, che prevede quanto segue:

1. Qualora un obbligo di un debitore, previsto dal diritto nazionale, di presentare istanza di apertura di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività̀ del debitore sorga durante una sospensione delle azioni esecutive individuali, esso è sospeso per la durata della sospensione. […]

4.Gli Stati membri prevedono norme che impediscono ai creditori cui si applica la sospensione di rifiutare l’adem­pimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore. I contratti pendenti essenziali devono essere intesi come i contratti pendenti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione comporterebbe la paralisi dell’attività̀ del debitore.

Il primo comma non impedisce agli Stati membri di conferire a tali creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio in conseguenza di tale comma”.

L’ultimo inciso della norma, che si riferisce (opportunamente) ad “adeguate garanzie” da stabilire a favore dei creditori, non sembra essere stato colto dal legislatore nazionale, in sede di trasposizione della direttiva: alla luce delle considerazioni di cui sopra, infatti, non si può escludere che le misure protettive vengano concesse e applicate senza il rispetto del principio del contraddittorio. L’istituto di credito potrebbe, così, vedersi applicate misure protettive concesse senza il coinvolgimento dei destinatari delle medesime misure (pur considerato che, nei casi sopra descritti, il creditore avrebbe comunque beneficiato di un regime generale di pubblicità-notizia, sia pur indirettamente, per effetto della pubblicazione a Registro Imprese della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi).

Restrizioni analoghe sono previste dagli artt. 16 e 18 CCII, in caso di concessione di misure protettive nella composizione negoziata della crisi. In particolare, ai sensi dell’articolo 16, comma 5 CCII:

l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. In ogni caso, la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta“.

L’articolo 18, comma 5 CCII prevede, inoltre, quanto segue:

i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza”, con la precisazione (di non scarso rilievo) che “i medesimi creditori possono sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza fino alla conferma delle misure richieste”.

Le implicazioni delle misure protettive appaiono, dunque, decisamente significative per i creditori bancari. Come detto, viene ridotta la facoltà di sospensione o revoca degli affidamenti bancari in essere al momento della introduzione delle misure prospettive. È pensabile, peraltro, che, in questo contesto, la diversificazione delle misure protettive a seconda dei creditori (e, per ipotesi, la restrizione dell’ambito di applicazione delle misure solo ad alcuni creditori) si presti a comportamenti opportunistici da parte del debitore, specie laddove comportino una elusione di fatto dell’ordine dei privilegi previsti dalla legge. Si tratta di scenari che, idealmente, richiederebbero, quanto meno, il coinvolgimento dei controinteressati prima che le misure divengano definitivamente efficaci, per permettere al giudice di soppesare i vari fattori che vengono in rilievo, così da giungere ad una decisione adeguatamente motivata (che garantisca, successivamente, il più ampio contraddittorio in sede di successivo reclamo): tale possibilità sembra essere preclusa, invece, sia pur per le sole misure protettive “classiche”, per la conferma delle quali è escluso sia il contraddittorio, sia la necessità di sentire i controinteressati.

Il potenziale impatto è, in generale, ancor più evidente, se si considera che le misure protettive, una volta concesse, conservano efficacia anche qualora il debitore, prima della scadenza fissata dal giudice, proponga una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione diverso da quello citato nella domanda originaria. Gli effetti della misura protettiva, quindi, potrebbero “perpetuarsi” (fino alla loro scadenza) anche in uno scenario del tutto diverso e imprevisto all’epoca della prima conferma della misura. Tale scenario si verificherebbe qualora il debitore “virasse” improvvisamente verso uno strumento di regolazione del tutto diverso da quello “anticipato” ab origine: come si è detto, infatti, la misura protettiva, al momento della concessione, è caratterizzato da un rapporto di stretta funzionalità con lo strumento di regolazione prefigurato (rapporto, che, però, può finire per essere smentito o interrotto per iniziativa unilaterale del debitore, senza che ciò comporti la decadenza dagli effetti della misura protettiva).

Si tratta di fattori che rendono verosimilmente arduo, per il creditore bancario, impostare una strategia di gestione della propria posizione creditizia. È raccomandabile un’attenta analisi del contesto e delle reali ragioni che giustificano la concessione delle misure protettive: un comportamento formalmente legittimo potrebbe risultare, nella sostanza, arbitrario o contrario alla ratio sottostante le norme del CCII e della direttiva insolvency. Quest’ultima, come si è detto, aveva attribuito agli Stati membri la facoltà “di conferire a tali creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio in conseguenza di tale comma[17]. Tali aspetti, a giudizio di chi scrive, dovrebbero indurre i Tribunali ad utilizzare, nella misura più ampia possibile, gli strumenti a disposizione per contemperare la compressione del principio del contraddittorio (nei termini sopra descritti). Per ipotesi, tali strumenti comprendono sia quelli già previsti dal CCII, come nel caso dell’assunzione delle “sommarie informazioni”, sia quelli non previsti dal CCII, come l’obbligo di motivazione analitica delle decisioni del giudice sulla conferma delle misure protettive, così da porre le premesse per un pieno e consapevole contraddittorio in sede di reclamo.

[1] Si rinvia, sul punto, a quanto più diffusamente descritto al paragrafo 2 di cui infra. In particolare, tale inciso, potrebbe essere interpretato ala luce del considerando 32 della direttiva c.d. insolvency, che, come dirà, raccomanda la revoca delle misure protettive laddove le stesse non siano necessarie o non soddisfino l’obiettivo di agevolare le trattative.

[2] Sono esclusi dalle misure protettive, peraltro, i diritti di credito dei lavoratori.

[3] Va notato che il perimetro delle misure protettive è più ampio di quello previsto dalla Legge Fallimentare: sotto il profilo soggettivo, le misure protettive coinvolgono, infatti, la generalità dei creditori (e non soltanto coloro che hanno titolo o causa anteriore al momento della domanda di apertura dello strumento di regolazione della crisi). Nel contempo, a differenza di quanto avviene per le misure protettive previste nella composizione negoziata della crisi, nelle misure “tipiche” (come infra definite) non si prevede la facoltà del debitore di modulare l’ambito soggettivo delle misure, prevedendo l’applicazione delle stesse ad un numero ristretto di creditori.

[4] Si rinvia al successivo paragrafo 3.

[5] Direttiva (UE) 2019/2023 del 20 giugno 2019 “riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132” (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza), in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 172/18 del 26 giugno 2019.

[6] Ci si potrebbe chiedere, al riguardo, se le misure protettive possano anticipare il deposito di una qualsiasi domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi (non soltanto una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione). Al riguardo, il già citato articolo 1, comma 1 (p) CCII, contenente la definizione di “misure protettive”, sembra prevedere in via generale il possibile sfasamento temporale delle misure protettive rispetto alla domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi. Va, però, considerato l’art. 54, comma 4 CCII, in base al quale “prima del deposito della domanda di cui all’articolo 40, le misure protettive di cui al comma 2, primo e secondo periodo [i.e., le misure protettive c.d. “classiche”, ndr], possono essere richieste dall’imprenditore presentando la domanda di cui agli articoli 17, 18 e 44, comma 1”. In secondo luogo, argomentando sulla base dell’art. 94-bis, comma 2 CCII, sembra di poter affermare che, anche nel concordato preventivo, non sia preclusa l’anticipazione delle misure protettive rispetto alla domanda di accesso alla procedura (a parere di chi scrive, l’art. 94-bis, comma 2 CCII potrebbe essere interpretato nel senso di confermare che le misure protettive non necessariamente si sovrappongono – anche dal punto dell’applicazione pro rata temporis – con le tempistiche del concordato preventivo). Ad ulteriore conferma della tesi del possibile sfasamento temporale tra misure protettive e strumento di regolazione, si potrebbe citare anche l’art. 55, comma 5 CCII: capovolgendo il ragionamento, le misure protettive possono essere concesse, invece, anche dopo la conclusione del procedimento legato allo strumento di regolazione della crisi prescelto: ai sensi dell’art. 54, comma 6, “i provvedimenti di cui all’articolo 54, commi 1 e 2 possono essere emessi anche dalla corte di appello nei giudizi di reclamo previsti dagli articoli 47, comma 5, e 50”.

[7] Tale conclusione, pur essendo disallineata a quanto previsto dall’articolo 168 Legge Fallimentare, era già stata avallata dalla giurisprudenza di merito, ancora prima dell’entrata in vigore del CCII. Trib. Milano 19 agosto 2015, in Dir. Fall., 2016, II, 539; Trib. Milano 17 luglio 2015, in Ilcaso.it; Traverso, Concordato preventivo, divieto di esecuzioni e nozione di “patrimonio del debitore” ai sensi dell’art. 168 l.f.: commento alle ordinanze del tribunale di Milano del 17 luglio 2015 e 19 agosto 2015; Cfr. anche Spadaro, La protezione del patrimonio del debitore in concordato preventivo, tra interpretazione estensiva dell’art. 168 l. fall. e nuove misure protettive e cautelari previste dal codice della crisi, in Il Fall. 2017, 521.

[8] Sul punto, cfr. Baccaglini e Calcagno, Le misure protettive e cautelari nel CCII, in Il Diritto della Crisi, ottobre 2022.

[9]  In questo caso, si applicherà l’articolo 55, comma 3 CCII.

[10]  In questo caso, troverà applicazione l’articolo 55, comma 2 CCII.

[11] In Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 74/65 del 14 marzo 2014.

[12] La disparità di trattamento sembra, d’altra parte, temperata dal fatto che le misure “atipiche” (concesse senza assicurare il contraddittorio) sono, per loro natura, accessorie rispetto alle misure “classiche”. Le prime, infatti, vengono definite come misure “ulteriori”, del tutto eventuali, e da richiedersi con “successiva istanza”): per poter accedere alle misure “atipiche”, occorre aver prima richiesto e ottenuto misure “classiche”. Per poter raggiungere tale risultato, però, il debitore dovrebbe “accettare” di sottoporsi al contraddittorio con i creditori (anche perché la richiesta rappresenta un upgrade delle misure protettive già ottenute senza contraddittorio). Il rispetto del principio del contraddittorio (per la concessione delle misure “atipiche”) si giustifica in quanto, nel primo round di misure protettive, quel principio non era stato applicato (ma non è pensabile che l’esenzione si applichi in entrambi i round).

[13] La durata complessiva delle misure protettiva, fino alla omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (o all’apertura della procedura di insolvenza), non può superare, anche in via continuativa, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe, “tenuto conto delle misure protettive di cui all’articolo 18” (dunque, di quelle eventualmente concesse nella precedente fase della composizione negoziata della crisi). Tale previsione è allineata, del resto, con il considerando 35 della direttiva insolvency, in base al quale “al fine di garantire il giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori, una sospensione delle azioni esecutive individuali dovrebbe applicarsi per un periodo massimo di quattro mesi. Le ristrutturazioni complesse, tuttavia, potrebbero richiedere più̀ tempo. Gli Stati membri dovrebbero poter determinare che in tali casi l’autorità̀ giudiziaria o amministrativa possa concedere una proroga del periodo iniziale di sospensione. Qualora l’autorità̀ giudiziaria o amministrativa non decida sulla proroga della sospensione prima della scadenza della stessa, questa dovrebbe cessare di produrre effetti alla scadenza del termine di sospensione. Nell’interesse della certezza del diritto, il termine totale della sospensione dovrebbe essere limitato a dodici mesi. Gli Stati membri dovrebbero poter prevedere una sospensione a durata indeterminata una volta che il debitore diventi insolvente a norma del diritto nazionale. Gli Stati membri dovrebbero poter decidere se una breve sospensione temporanea in attesa di una decisione dell’autorità̀ giudiziaria o amministrativa sull’accesso al quadro di ristrutturazione preventiva sia soggetta ai termini temporali previsti dalla presente direttiva”. In dottrina, ci si è domandati, peraltro, se la durata delle misure protettive possa estendersi (nel rispetto del limite massimo di dodici mesi) anche oltre l’omologa di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza: al riguardo, i primi commenti forniscono indicazioni contrastanti: cfr. Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Le Società, 2019, 438; Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi di impresa, in Riv. Dir. proc., 2019, 849; Bozza, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Ilcaso.it; Baccaglini e Calcagno, Le misure protettive e cautelari nel CCII, in Il Diritto della Crisi, ottobre 2022.

[14] Si rinvia al paragrafo 4 di cui infra.

[15] Al ricorso devono essere allegati, tra l’altro, i bilanci degli ultimi tre esercizi, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima del deposito del ricorso e un elenco dettagliato dei creditori.

[16] Tale previsione riflette la ratio prevista dal considerando 34 della direttiva insolvency, in base al quale “una sospensione delle azioni esecutive individuali può essere generale, riguardando tutti i creditori, o può interessare solo alcuni singoli creditori o categorie di creditori. Gli Stati membri dovrebbero poter escludere determinati crediti o categorie di crediti dall’ambito di applicazione della sospensione in circostanze ben definite, come i crediti che sono garantiti da attività̀ la cui eliminazione non pregiudicherebbe la ristrutturazione dell’impresa, o come quando i crediti vantati da creditori nei cui confronti una sospensione causerebbe un ingiusto pregiudizio nella forma, ad esempio, di perdite non compensate o di un deprezzamento della garanzia reale”.

[17] Con l’espressione “in conseguenza di tale comma”, ci si riferisce alla norma che vieta ai creditori l’interruzione di contratti pendenti essenziali (come sopra descritti), per il sol fatto di aver registrato il mancato pagamento di crediti anteriori (si tratta della norma poi trasfusa nell’articolo 94-bis, comma 2 CCII, applicabile al concordato preventivo in continuità).

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