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Editoriali

La tutela del risparmio nel “Contratto per il governo del cambiamento” e la “revisione radicale” del bail-in bancario

7 Giugno 2018

Sido Bonfatti

Professore Ordinario di Diritto commerciale, Università di Modena e Reggio Emilia

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il “contratto per il cambiamento”, concluso tra Lega e Movimento 5 Stelle in funzione della definizione del Programma di Governo seguito alle elezioni politiche del 4 marzo u.s., contiene un punto (il n. 5) intitolato a “Banca per gli Investimenti e Risparmio”.

Il primo tema – sul quale ci si riserva di ritornare in altra occasione – è incentrato sulla costituzione di una Banca che “deve usufruire di una esplicita e diretta garanzia dello Stato” allo scopo di “reperire più facilmente le risorse per attuare le iniziative affidatele (investimenti, sviluppo dell’economia e delle imprese italiane)”; e dovrà “agire sotto la supervisione di un organo di controllo pubblico nel quale siano presenti il M.E.F. ed il M.I.S.E.” : quindi, una Banca sottoposta “all’occhiuta supervisione dei Ministri economici” [1] – che magari proprio per questo avrà bisogno della garanzia dello Stato per trovare sul mercato i mezzi finanziari con i quali operare….. -.

Il secondo tema (“tutela del Risparmio”) si sviluppa in diversi sottopunti, al primo dei quali è dedicato questo breve commento.

2. Il primo sottopunto riguarda “il sistema del bail-inbancario”, di cui si programma una “revisione radicale”.

Al bail-in si attribuiscono:

– la destabilizzazione del credito in Italia;

– la espropriazione dei risparmi delle famiglie (“che supponevano di avere investito in attività sicure”);

e per ovviare a tali effetti, si programma:

– una maggiore responsabilizzazione del management e delle autorità di controllo, “anche attraverso l’inasprimento delle pene esistenti per i fallimenti dolosi”;

– l’utilizzo di risorse provenienti da “assicurazione (sic!) e polizze dormienti”, per il risarcimento dei risparmiatori “espropriati”;

– l’allargamento della platea dei risparmiatori da risarcire (anche parzialmente) “ai piccoli azionisti della banca oggetto di risoluzione”.

Non è il caso, in questa sede, di soffermarsi sulle “sbavature” che pure non è difficile cogliere (“che c’azzeccano” con il bail-in bancario “le pene esistenti per i fallimenti dolosi”? Perché circoscrivere la tutela che fosse predisposta per i piccoli azionisti a quelli soli che avessero partecipato al capitale di banche assoggettate alla “risoluzione”, e non a quelli di banche assoggettate a procedure “di crisi” diverse?): ma è necessario esprimere qualche considerazione sul principio che governerebbe il “cambiamento”: la “revisione radicale” del bail-in.

E’ questo un obiettivo probabilmente non conseguibile – atteso il radicamento che caratterizza il principio contestato, nell’ambito della disciplina delle crisi bancarie in ambito comunitario -; e, in ogni caso, fortemente discutibile.

Bail-in significa “cauzione interna”: in altre – e più chiare – parole, ciascuno si gratti le rogne proprie.

Parlando di dissesti bancari, nel passato il costo dei salvataggi bancari è rimasto:

– sul sistema bancario, in varie forme;

– sullo Stato, in ultima battuta: e siccome “lo Stato siamo noi”, è ricaduto su tutti noi (almeno quelli di noi che pagano le tasse, e sono qualificati “contribuenti”).

Il costo del salvataggio della Banca di Milano – nome di fantasia – è stato pagato anche dai clienti della Banca di Palermo (che avrà pure dovuto recuperare da qualche parte il contributo spettantele nel concorrere all’intervento del sistema bancario per il salvataggio della Banca di Milano); quando ciò non è bastato, il salvataggio della Banca di Milano è stato pagato anche da chi non aveva alcun rapporto con alcuna Banca (i “contribuenti”: lo Stato, cioè, avrà pure dovuto recuperare, con le imposte, il costo sopportato per fronteggiare il dissesto bancario della Banca di Milano).

Il bail-in fa giustizia di tutto ciò.

Non interviene lo Stato, e come contribuente rimango indifferente al dissesto della Banca di Milano.

Non interviene (salvo che non sia disciplinato per legge: quindi nei soli casi, e nei soli limiti, nei quali l’intervento è obbligatorio) il sistema bancario [2]: e come cliente, o azionista, o obbligazionista della Banca di Palermo, rimango indifferente al dissesto della Banca di Milano.

La composizione del dissesto della Banca di Milano avviene, unicamente, a spese dei suoi stakeholders: e di chi, se non?

Poi, tra costoro, si procede ad una graduazione, secondo la maggiore propensione al rischio, da ciascuno accettata al momento della costituzione di un rapporto con quella Banca (del resto: chi glielo ha fatto fare?).

In primis, pertanto, gli azionisti (il capitale che hanno conferito, non si chiama “capitale di rischio” per niente!).

Secondariamente, gli obbligazionisti subordinati (i mezzi che hanno impiegato, non si chiamano “quasi-capitale” per niente!).

Infine, i creditori – con la precisazione che i depositanti, per quanto creditori, sono sottratti al bail-in, in certo modo e in certa misura, che qui non rileva puntualizzare -.

3. Nei recenti dissesti bancari, che inducono i redattori del “Contratto” a “prendersela” con il bail-in, i creditori (non solo i depositanti) delle banche risolte (o assoggettate a Liquidazione Coatta Amministrativa) non sono stati incisi da perdite di sorta.

Gli azionisti, sì.

I “quasi- azionisti” – gli obbligazionisti subordinati -, pure: ma non è così in qualsiasi dissesto di una impresa?

Si è mai visto che nel dissesto di una impresa gli azionisti (e i “quasi-azionisti”) non vedano perduto il capitale che avevano “messo a rischio”?

Non si è mai visto: nemmeno in Italia; e nemmeno per i dissesti bancari italiani [3].

Naturalmente non si vuole con questo negare la “destabilizzazione” provocata dal coinvolgimento nei recenti dissesti bancari anche degli obbligazionisti subordinati (non del tutto “azionisti”): ma ciò è conseguenza di “difetti” :

(i) del passato, e

(ii) tutti italiani (o per lo meno, che gli italiani avrebbero potuto risparmiarsi), principalmente costituiti da:

– inadeguata educazione finanziaria “di base” dei risparmiatori;

– inadeguata attività di prevenzione delle Autorità deputate al controllo di questi fenomeni (difficile giudicare sufficiente la tutela del risparmiatore-casalinga, o del risparmiatore-pensionato, affidata all’obbligo delle banche emittenti i P.O. subordinati di pubblicare “Prospetti” di centinaia di pagine);

– ottimistica aspettativa di una applicazione non retroattiva del bail–in (nel senso che esso ha finito per investire anche i P.O. subordinati già emessi alla data della entrata in vigore della riforma comunitaria nella sua complessità (1° gennaio 2016)) [4].

Che c’entra il principio (che si vorrebbe “rivedere radicalmente”) della “cauzione interna” con le inadeguatezze che ne hanno accompagnato la prima applicazione nel nostro Paese?

 


[1] M. Onado, “Contratto Lega – M5S, le misure sul risparmio peccano di faciloneria”, Il Sole 24 Ore, 18 maggio 2018.

[2] Prescindo in questo contesto dalla considerazione del c.d. “Schema volontario” costituito alla fine del 2015 all’interno del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, sia per la “improvvisazione” che sembra averne caratterizzato la costituzione, sia perché, allo stato, a quanto risulta, non ha risorse finanziarie per interventi ulteriori.

[3] “Fin dai tempi dei dissesti di Sindona e Calvi, i piccoli azionisti hanno visto respingere le loro richieste di essere trattati in modo diverso dai grandi azionisti”: M.Onado, cit.

[4] Del resto una certa inadeguatezza nell’adozione di misure preventive, in vista dell’introduzione di nuove disposizioni comunitarie in campo finanziario, può essere colta anche nella vicenda della c.d. depositor preference “estesa”.

Trattasi del principio in forza del quale, in caso di dissesto bancario, i crediti originati da depositi, anche se diversi dai cc.dd. “depositi protetti” – essenzialmente: i depositi delle persone fisiche di importo non superiore a 100.000 euro -, saranno preferiti agli altri crediti chirografari. Ciò avrebbe generato una potenziale penalizzazione dei clienti che avessero investito i loro risparmi non nella forma del “deposito”, ma – per esempio – nella forma delle obbligazioni bancarie (benché non subordinate).

Tale effetto è stato evitato – o si è cercato di farlo – differendo l’entrata in vigore della depositor preference “estesa” al 1° gennaio 2019: ma ciò non impedirà che, negli eventuali dissesti bancari di quell’anno o dopo, gli odierni obbligazionisti – non necessariamente subordinati –, si troveranno postergati ai depositanti, senza che di ciò nessuno li abbia avvertiti mai, quando hanno sottoscritto le loro obbligazioni: e senza che nessuno li avverta più di tanto neppure oggi, quando vanno sottoscrivendone.

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